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=== La fondazione dell'IRI ===
La costituzione dell'IRI, avvenuta nel gennaio [[1933]], fu patrocinata a [[Benito Mussolini]] dal ministro delle finanze [[Guido Jung]]<ref>[https://www.treccani.it/enciclopedia/guido-jung_(Dizionario-Biografico) Dizionario biografico Treccani]</ref>. L'Iri nacque come ente temporaneo durante il periodo fascista con lo scopo prettamente di salvataggio delle banche e delle [[Azienda|aziende]] a loro connesse. Primo presidente, oltre che uno dei principali artefici della creazione dell'ente, fu [[Alberto Beneduce]], economista di formazione socialista, che godeva della fiducia del PresidenteCapo del Consiglio dei MinistriGoverno.
 
Il nuovo ente era formato da una "Sezione finanziamenti" e una "Sezione smobilizzi".
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* tra l'80% ed il 90% del settore di costruzioni navali e dell'industria della navigazione
 
Nel complesso, con la costituzione dell'Iri il 21,49% del capitale delle società italiane esistenti al 31 dicembre 19331934 era, direttamente o indirettamente, controllato dall'Istituto.<ref>Archivio Storico Iri, Sezione Finanziamenti, Relazione del consiglio di amministrazione sul bilancio al 31 dicembre 1934, citato in AA VV, ''Storia dell'Iri'' (a cura di Valerio Castronovo), Editori Laterza, Roma-Bari, 2012, vol. 1, pag. 186</ref>
 
=== IRI ente permanente ===
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Poiché gli obiettivi dello Stato erano sviluppare l'economia del Mezzogiorno e mantenere la piena occupazione, l'IRI doveva concentrare i propri investimenti nel [[Sud Italia|Sud]] ed incrementare l'occupazione nelle proprie aziende. La posizione di Petrilli rifletteva quelle già diffuse in alcune correnti della DC, che cercavano una "[[terza via]]" tra il [[liberismo]] ed il [[comunismo]]; il sistema misto delle imprese a partecipazione statale dell'IRI sembrava realizzare questo ibrido tra due sistemi agli antipodi.
 
=== Gli investimenti ede i salvataggi ===
L'IRI effettivamente poneva in essere grandissimi investimenti nel Sud Italia, come la costruzione dell'[[Italsider]] di [[Taranto]] e quella dell'AlfaSud di [[Pomigliano d'Arco]] e di [[Pratola Serra]]; altri furono programmati senza mai essere realizzati, come il centro siderurgico di [[Gioia Tauro]]. Per evitare gravi crisi occupazionali, l'IRI venne spesso chiamato in soccorso di aziende private in difficoltà: ne sono esempi i "salvataggi" della [[Motta (alimentari)|Motta]] e dei Cantieri Navali Rinaldo Piaggio e l'acquisizione di aziende alimentari dalla [[Montedison]]; questo portò ad un incremento progressivo di attività e dipendenti dell'Istituto.
 
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=== L'accordo Andreatta-Van Miert ===
{{chiarire|Per le sorti dell'IRI fu decisiva l'accelerazione del processo di unificazione europea, che prevedeva l'unione doganale nel 1992 ed il successivo passaggio alla moneta unica sotto i vincoli del [[Trattato di Maastricht]].|poco chiaro}} Per garantire il principio della libera concorrenza, la Commissione Europea negli anni ottanta aveva incominciato a contestare alcune pratiche messe in atto dai governi italiani, come la garanzia dello Stato sui debiti delle aziende siderurgiche e la pratica di affidare i lavori pubblici all'interno del gruppo IRI senza indire gara d'appalto europea.
Le ricapitalizzazioni delle aziende pubbliche e la garanzia dello Stato sui loro debiti furono da allora considerati aiuti di stato, in contrasto con i principi su cui si basava la [[Comunità Europea]]; l'Italia si trovò quindi nella necessità di riformare, secondo criteri di gestione più vicini a quelli delle aziende private, il suo settore pubblico, incentrato su IRI, [[ENIEni]] ed [[EFIM]]. Nel luglio [[1992]] l'IRI e gli altri enti pubblici furono convertiti in Società per azioni. Nel luglio dell'anno successivo il commissario europeo alla Concorrenza [[Karel Van Miert]] contestò all'Italia la concessione di fondi pubblici all'EFIM, che non era più in grado di ripagare i propri debiti.
 
Per evitare una grave crisi d'insolvenza, Van Miert concluse, alla fine del 1993, con l'allora ministro degli Esteri [[Beniamino Andreatta]] un accordo<ref>[http://europa.eu/rapid/press-release_IP-96-1197_it.htm europa.eu: press release IP-96-1197]</ref>, che consentiva allo Stato italiano di pagare i debiti dell'EFIM, ma a condizione dell'impegno incondizionato a stabilizzare i debiti di IRI, ENI ed [[Enel]] e poi a ridurli progressivamente ad un livello comparabile con quello delle aziende private entro il [[1996]]. Per ridurre in modo così sostanzioso i debiti degli ex-enti pubblici, l'Italia non poteva che privatizzare gran parte delle aziende partecipate dall'IRI.
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Le poche aziende ([[Finmeccanica]], [[Fincantieri]], [[Fintecna]], [[Alitalia]] e [[RAI]]) rimaste in mano all'IRI furono trasferite sotto il diretto controllo del [[Ministero del tesoro]]. Nonostante alcune proposte di mantenerlo in vita, trasformandolo in una non meglio precisata "agenzia per lo sviluppo", il 27 giugno [[2000]] l'IRI fu messo in liquidazione e nel [[2002]] fu incorporato in [[Fintecna]], scomparendo definitivamente. Prima di essere incorporato dalla sua ex controllata ha però versato al Tesoro un assegno di oltre 5000 miliardi di lire, naturalmente dopo aver saldato ogni suo debito.
 
== GovernanzaStruttura ==
Per la maggior parte della sua storia l'IRI è stato un [[ente pubblico economico]] dipendente funzionalmente dal [[Ministero delle partecipazioni statali]], che fino agli anni ottanta fu quasi ininterrottamente ricoperto da esponenti della [[Democrazia Cristiana|DC]].
 
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== Partecipazioni ==
Le partecipazioni dell'IRI erano strutturate in una serie di ''holding'' di settore, che a loro volta controllavano le società operative. È degnobene di notanotare come la gestione di quote societarie rimaste nell'ambito delle partecipazioni statali anche dopo gli anni 1990 (principalmente in [[Finmeccanica]] e [[Fincantieri]]) spetti alla [[Fintecna]], la quale assolverebbe quindi a una funzione parzialmente analoga a quella dell'IRI, di cui era nata come controllata.

L'elenco seguente segnala comunque anche le aziendeattività in seguito eventualmente tornate, in tutto o anche solo in parte, nell'ambitosotto dellecontrollo partecipazioni statalistatale (tramite la già citata Fintecna, il [[Ministero dell'economia e delle finanze]], [[Cassa depositi e prestiti]] o [[Invitalia]]), e quindi considerabili [[Impresa pubblica|imprese pubbliche]].
Le principali aziende controllate dall'IRI sono state:
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**[[Finsider]]: 99,82%. Fu ricostituita come [[ILVA]] nel 1989, che fu quindi privatizzata "a pezzi" (con operazione conclusa nel [[1995]]), dal [[2021]] divenuta [[Acciaierie d'Italia]], partecipata (38%) da [[Invitalia]] (agenzia pubblica).<ref>{{Cita news|titolo=L'Ilva diventa Acciaierie d'Italia|pubblicazione=Milano Finanza|autore=Paola Valentini|data=23 aprile 2021|url=https://www.milanofinanza.it/news/l-ilva-diventa-acciaierie-d-italia-202104231016413092|accesso=14 ottobre 2021}}</ref>
*'''Meccanica'''
**[[Finmeccanica]]: 86,6%. LaProprietaria proprietàfino al 1986 della casa automobilistica [[Alfa Romeo]], ceduta poi alla FIAT, la Finmeccanica fu trasferita al [[Ministero dell'economia e delle finanze]].
*'''Cantieristica'''
**[[Fincantieri]]: 99,9%. La proprietà fu trasferita al [[Ministero dell'economia e delle finanze]].
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== Bibliografia ==
* AA VV, ''Storia dell'IRI'' (a cura di [[Valerio Castronovo]]), Editori Laterza, Roma-Bari, 2012 (6 volumi) [http://www.archiviostoricoiri.it/index/pagina-70.html] {{Webarchive|url=https://web.archive.org/web/20170812181239/http://www.archiviostoricoiri.it/index/pagina-70.html |date=12 agosto 2017 }}
* Vera Lutz, ''Italy: A Study in Economic Development'', [[Oxford]], Oxford University Press, 1962.
* [[Pasquale Saraceno]], ''Il sistema delle imprese a partecipazione statale nell'esperienza italiana'', [[Milano]], Giuffrè, 1975.