Giacomo Carboni: differenze tra le versioni

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|Comandanti =
|Guerre = [[Guerra italo-turca]]<br />[[Prima guerra mondiale]]<br />[[Guerra d'Etiopia]]<br />[[Seconda guerra mondiale]]
|Campagne = * [[Fronte italiano (1915-1918)|Fronte italiano]]<BR>[[Occupazione italiana della Corsica]]<br>[[Campagna d'Italia (1943-1945)|Campagna d'Italia]]
|Battaglie = [[Battaglie dell'Isonzo]]<br>[[Battaglia di Vittorio Veneto]]<br>[[Mancata difesa di Roma|Difesa di Roma (1943)]]
* [[Campagna d'Italia (1943-1945)|Campagna d'Italia]]
|Battaglie = [[Mancata difesa di Roma|Difesa di Roma (1943)]]
|Comandante_di = [[22ª Divisione fanteria "Cacciatori delle Alpi"]]<br />[[20ª Divisione fanteria "Friuli"]]<br />[[Corpo d'Armata Motocorazzato]]<br />[[Servizio Informazioni Militare|SIM]]
|Decorazioni = [[Croce al merito di guerra]]
|Studi_militari = [[Accademia militare di Modena]]
|Pubblicazioni = [[#Opere principali|vedi opere]]
|Frase_celebre =
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|immagine =
|didascalia =
|partito =
|coalizione =
|mandatoinizio = 30 novembre [[1942]]
|mandatofine = febbraio [[1943]]
|titolo di studio =Accademia militare
|professione = Militare di carriera
|vice =
|alma mater=[[Accademia militare di Modena]]
|predecessore = ''carica istituita''
|successore = [[Giovanni Magli]]
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Divenuto capitano degli [[alpini]], nel corso della [[prima guerra mondiale]] fu destinato al fronte dolomitico come addetto al comando nella 2ª divisione di fanteria, e venne decorato al valor militare. Dopo il conflitto, comandò l'[[81º Reggimento fanteria "Torino"]] a Roma nel 1936-37 e svolse una serie di operazioni speciali in [[Guerra d'Etiopia|Etiopia]] che lo avvicinarono al SIM ([[Servizio informazioni militare]]).
 
Il 1º luglio 1937 fu promosso [[generale di brigata]] e nominato vicecomandante a Spoleto della [[22ª Divisione fanteria "Cacciatori delle Alpi"]] con sede a Spoleto.
 
Dal 3 novembre 1939 al 20 settembre 1940 fu a capo del [[Servizio informazioni militare]] (SIM), di cui fu anche Commissario straordinario dall'agosto al settembre 1943 con pessimi risultati <ref>Giuseppe De Lutiis, ''I servizi segreti in Italia: dal fascismo alla seconda Repubblica'', Editori Riuniti, 1998 - p. 394.</ref>. Il 1º gennaio 1940 fu promosso generale di divisione.
 
===Seconda guerra mondiale===
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Alle ore 5.15 del 9 settembre, a battaglia in corso , il generale [[Mario Roatta]] impartì al generale Carboni l'ordine di spostare su [[Tivoli]] parte del Corpo d'Armata Motocorazzato posto alla difesa mobile di Roma ([[135ª Divisione corazzata "Ariete II"]] e [[10ª Divisione fanteria "Piave"]]) e di disporvi una linea di fronte escludente la difesa della Capitale. Roatta informò inoltre Carboni che a Tivoli avrebbe ricevuto ulteriori ordini dallo Stato Maggiore che si sarebbe provvisoriamente insediato a [[Carsoli]]. Più tardi pervenne a Carboni il formale ordine scritto con il quale lo si nominava anche comandante di tutte le truppe dislocate in Roma<ref>Ruggero Zangrandi, ''1943: 25 luglio-8 settembre'', cit., pp. 488 e succ.ve.</ref>. Nel frattempo (dalle ore 5.30 in poi), [[Vittorio Emanuele III]] e la sua famiglia, il Primo Ministro, Maresciallo Badoglio, i capi di Stato maggiore Ambrosio e Roatta (in abiti civili) , e i ministri militari (tranne il generale [[Antonio Sorice|Sorice]]) [[Fuga di Vittorio Emanuele III|si erano messi]] in viaggio sulla Tiburtina alla volta di [[Brindisi|Pescara.]]
 
Poco dopo le ore 7.30, indossati abiti civili e presa con sé la cassa del servizio informazioni, Carboni si recò con auto diplomatica a Tivoli -come egli sostenne in maniera poco credibile- per organizzare il nuovo schieramento di truppe e ricevere ulteriori ordini. Secondo la sua difesa, non riuscendo a rintracciare Roatta, invece di raggiungere il suo Comando rimasto a Roma, proseguì sino ad [[Arsoli]] dove apprese che la colonna dei sovrani e del Maresciallo Badoglio era ormai lontana. Rimase alcune ore ospite del produttore [[Carlo Ponti]], presso il castello del conte Massimo, sino a quando il suo aiutante di campo non gli comunicò che l'ordine di Roatta delle ore 5.15 era stato confermato e, pertanto, provvide a riportarsi a Tivoli, la sera del 9 settembre, dove si era insediato il comando del Corpo d'Armata. Nel frattempo, a Roma, in virtù del grado gerarchicamente più elevato e della mancanza sul campo del comandante delle truppe incaricate della difesa della Capitale e dello Stato Maggiore, il Maresciallo d'Italia [[Enrico Caviglia]], di sua iniziativa aveva assunto il ruolo di comandante in capo e di fatto anche quello di capo del governo d'intesa con il Ministro della Guerra Antonio Sorice e stava procedendo a contattare i tedeschi per la cessazione del fuoco.
 
[[File:Bundesarchiv Bild 101I-316-1151-10, Albert Kesselring.jpg|thumb|upright=0.65|Il generale Albert Kesselring]]
Alle ore 14.00, a Tivoli, Carboni incontrò il colonnello [[Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo|Giuseppe di Montezemolo]], inviato da Caviglia, mentre l{{'}}''Ariete'' e la ''Piave'' stavano iniziando il ripiegamento previsto. NonSecondo la difesa di Carboni, senza possibilità di contraddittorio, poiché il colonnello Montezemolo fu trucidato alle Fosse Ardeatine, non sembra che Montezemolo sia stato particolarmente esplicito nel comunicare a Carboni le intenzioni di Caviglia di trattare con i tedeschi. Nel primo pomeriggio del 9 settembre, secondo le affermazioni di Carboni che secondo altre fonti non dette segnali di vita per tre giorni, dette ordine alla [[Brigata meccanizzata "Granatieri di Sardegna"|Divisione Granatieri di Sardegna]], che stava combattendo la [[2. Fallschirmjäger-Division|2ª Divisione Paracadutisti]] tedesca al [[Ponte della Magliana]] ed a Porta San Paolo, di resistere ad oltranza e alle divisioni ''Ariete'' e ''Piave'' di predisporsi, a sud, per prendere alle spalle la "paracadutisti" e a nord, per tagliare la strada alla [[3. Panzergrenadier-Division|3ª Divisione Panzergrenadier]] che stava sopraggiungendo dalla [[Via Cassia]]<ref>Ruggero Zangrandi, ''1943: 25 luglio-8 settembre'', cit., p. 676.</ref>.
 
Mentre ciò avveniva, Montezemolo e il generale [[Giorgio Carlo Calvi di Bergolo]], a [[Frascati]], incontravano il comandante tedesco[[Albert Kesselring|, il feldmaresciallo Albert Kesselring]] che chiese, quali condizioni per il prosieguo delle trattative, la resa dell'intero Corpo d'Armata Motocorazzato italiano<ref>Ruggero Zangrandi, ''1943: 25 luglio-8 settembre'', cit., p. 677.</ref>. In seguito ai contatti presi fra gli alti comandi italiano e tedesco, tra le 16.00 e le 17.00 del 9 settembre, da Roma, fu verbalmente ordinato alla ''Granatieri di Sardegna'' di lasciare il conteso ponte della Magliana per un concordato transito delle truppe germaniche verso il nord. In serata, le nuove posizioni su cui si erano attestati i granatieri furono nuovamente investite dalla divisione tedesca che continuò a procedere verso il centro di Roma.
 
La mattina del 10, Carboni rientrò nella Capitale ormai assediata, installando il suo personale Comando in un appartamento di Piazzale delle Muse (senza uno stato maggiore e trovòreparti addetti alle comunicazioni) affermando di aver trovato le strade tappezzate di manifesti, fatti stampare da Caviglia, che avvertivano la popolazione che le trattative con i tedeschi erano a buon punto. L'accordo di resa fu firmato al Ministero della Guerra alle ore 16.00 del 10 settembre, tra il tenente colonnello Leandro Giaccone, per conto del generale Calvi di Bergolo e il generale Siegfried Westphal, per conto di Kesselring.
 
Dopo la resa, Carboni fece distruggere buona parte degli archivi del SIM, custoditi nelle due sedi di Forte Braschi e Palazzo Pulcinelli, occultandone una parte superstite nelle [[catacombe di San Callisto]] <ref>Marco Patricelli, ''Tagliare la corda. 9 settembre 1943. Storia di una fuga'', Solferino, Milano, 2023, p. 112: "Il generale Carboni, comandante della piazza di Roma, in quel fatidico 9 settembre aveva dunque fatto perdere le sue tracce per buona parte della giornata. Non era al comando e non comandava nonostante fosse suo preciso dovere.(...) La cosa che più preme a Carboni è quella di bruciare i documenti del Sim negli archivi di Forte Braschi e Palazzo Pulcinelli, e di occultare quelli che ritiene importanti nelle catacombe di San Callisto.".</ref>
 
====Le accuse====
Nonostante la resa, lo storico [[Ruggero Zangrandi]] ritiene, abbastanza comicamente,(inspiegabilmente) il generale Giacomo Carboni il vero vincitore della "battaglia di Roma" del 1943, per aver impedito alle efficienti 2ª Divisione Paracadutisti e 3ª Divisione Panzergrenadier, tenendole completamente impegnate, di ricongiungersi al resto dell'armata germanica nei pressi di [[Salerno]], permettendo così agli anglo-americani di effettuare lo [[sbarco a Salerno|sbarco sulla Piana del Sele]] del 9 settembre 1943, già di per sé difficoltoso e ampiamente contrastato. In realtà i reparti tedeschi furono costretti ad attaccare le truppe italiane, che si batterono prive di ordini per la fuga dei Vertici e la "sparizione" di Carboni, per non correre il rischio di essere presi alle spalle mentre erano impegnati ad affrontrare gli Alleati <ref>Ruggero Zangrandi, ''1943: 25 luglio-8 settembre'', cit., p. 703.</ref>. Tuttavia la maggior parte degli autori, storici e memorialisti (Monelli, Caviglia, Castellano, Musco, Marchesi, Trionfera, Montanelli, Bartoli, Susanna Agnelli, Bertoldi, Petacco, Aga Rossi) ritengono, a ragione, del tuttogiustamente riprovevole l'operato di Carboni, specialmente nei giorni 7, 8, 9 e 10 settembre.
 
Nel giugno 1944 venne spiccato nei suoi confronti un mandato di cattura per la [[mancata difesa di Roma]], ma eluse il provvedimento e si rese latitante grazie, si ipotizza senza prove, alle protezioni dei servizi di ''Intelligence'' degli Alleati anglosassoni, in particolare l'[[Office of Strategic Services|OSS]] americano che invece avrebberoavrebbe dovuto perseguirlo per aver fatto abortire l'operazione Giant 2 che avrebbe abbreviato di mesi la guerra sul fronte italiano.
La Commissione d'inchiesta chiese il suo deferimento e fu posto in congedo assoluto con decreto luogotenenziale 1º marzo 1945).
 
===Nel dopoguerra===
Finita la guerra venne processato in contumacia e, il 19 febbraio [[1949]], venne assolto dal tribunale militare da ogni accusa, con una sentenza scandalosa, per aver adottato ''"determinazioni indirizzate all'intendimento di arrestare fuori dalle porte della Capitale l'invasione ad opera delle forze germaniche"''<ref>Ruggero Zangrandi, ''1943: 25 luglio-8 settembre'', cit., pagg. 646-647</ref>. Nel [[1951]], il precedente ordine di congedo assoluto emesso nei suoi confronti venne annullato e fu deciso il suo trasferimento nella riserva.
 
Nel secondo dopoguerra, Carboni si avvicinò ai partiti della sinistra - aderì infatti al [[Partito Comunista Italiano|PCI]]<ref name="cecini">[[Giovanni Cecini]], ''I generali di Mussolini'', Newton Compton, Roma, 2016, p. 544.</ref> - e fornì loro numerosi faziosi elementi di lettura sulla ''Intelligence'' italiana, dal SIM al [[SIFAR]] nel quale non aveva mai militato. Si schierò su posizioni [[antiamericanismo|antiamericane]] e bocciò sia la [[NATO]] che la [[Comunità europea di difesa|CED]], considerando quest'ultima una «frode» bella e buona per mortificare ancora una volta la dignità nazionale dell’Italia sotto l’egida di un riarmo tedesco<ref name=cecini/>.
 
Giacomo Carboni fece parte della [[Massoneria in Italia|Massoneria]]<ref>F. Zanello, ''Italia. La Massoneria al potere'',Castelvecchi, Roma, 2011, p. 26.</ref>.
 
== Opere principali ==
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==Note==
<references/>
 
== Bibliografia ==
* Marco Patricelli, ''Tagliare la corda. 9 settembre 1943. Storia di una fuga'', Solferino, Milano, 2023 ISBN 978-88-282-1262-1
 
==Altri progetti==
{{interprogetto}}
 
== Collegamenti esterni ==
* {{Collegamenti esterni}}
* {{DBI|volume = 34 |anno = 1988|autore = Giuseppe Sircana}}
 
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[[Categoria:Fronte militare clandestino|Carboni, Giacomo]]
[[Categoria:Cavalieri di Vittorio Veneto]]
[[Categoria:Massoni]]