Fernando Santi

sindacalista e politico italiano (1902-1969)

LabriolaTambroniUILTurati

Fernando Santi

Deputato della Repubblica Italiana
Durata mandato1948 –
1968
LegislaturaI, II, III, IV
Gruppo
parlamentare
Partito Socialista Italiano - Partito Socialista Democratico Italiano unificati
CollegioParma
Incarichi parlamentari
    • Vicepresidente della commissione speciale per l'esame dei provvedimenti a favore delle zone e delle popolazioni colpite dalle alluvioni
    • Componente della XI commissione lavoro e previdenza sociale
    • Componente della commissione speciale per l'esame del disegno di legge N. 2422: "Ordinamento e attribuzioni del consiglio nazionale dell'economia e del lavoro"
    • Componente della giunta per i trattati di commercio e la legislazione doganale
  • II
    • Presidente della commissione speciale per l'esame del disegno di legge N. 618: "Attuazione di iniziative intese ad incrementare la produttività"
    • Componente della XI commissione lavoro e previdenza sociale
    • Componente della commissione speciale per l'esame del disegno di legge N. 568: "Ordinamento ed attribuzioni del consiglio nazionale della economia e del lavoro"
    • Componente della commissione speciale per l'esame della proposta di legge Angelini Armando N. 427: "Dichiarazione di pubblica utilità; e norme per l'espropriazione degli stabilimenti industriali inattivi"
  • III
    • Componente della XIII commissione lavoro e previdenza sociale
  • IV
    • Vicepresidente della XIII commissione lavoro e previdenza sociale
Sito istituzionale

Dati generali
Partito politicoPartito Socialista Italiano
ProfessioneSindacalista

Fernando Santi (Parma, 13 novembre 1902Parma, 15 settembre 1969) è stato un sindacalista e politico italiano. Fu un sindacalista riformista sebbene la sua formazione sia avvenuta in una delle celle più feconde del sindacalismo rivoluzionario. Segretario dei tranvieri di Torino e della Camera del lavoro di Milano fu anche segretario nazionale della federazione giovanile socialista schierata con Turati e Matteotti. Per lungo tempo fu leader della componente socialista della CGIL dal 1947 al 1965.

Biografia

Nato a Parma nella frazione di Golese,da Eugenio Santi e Clementina Bambozzi il 13 novembre 1902. A cavallo tra il XIX e il XX secolo si diffondono capillarmente gli ideali socialisti che conducono alla formazione di numerose società di mutuo soccorso di leghe di cooperative. Eugenio Santi vi partecipa direttamente contribuendo a costruire una delle prime roccaforti del movimento socialista italiano. In quegli anni il movimento operaio italiano tenta di creare un collegamento diretto tra azione, politica e rivendicazioni sindacali abbandonando le posizioni originariamente egemoni di ispirazione bakuniana, in più generale contrarie a qualunque forma di legittimazione degli istituti tipici delle democrazie borghesi e a qualsiasi ipotesi di collaborazione di classe. Santi afferma di ispirarsi a uomini di azione come Andrea Costa, Nullo Baldini, Camillo Prampolini.

Le lotte sociali nel parmense all’inizio del XX secolo.

Fin dall’inizio della sua attività politica Santi milita nelle file del socialismo riformista con una serrata critica al gradualismo e al determinismo riformista, esaltando però, l’azione diretta, il mito soreliano dello sciopero generale; grande fascino tra i lavoratori agricoli. Alla testa del movimento sindacalista- rivoluzionario si pongono importanti intellettuali: Antonio Labriola, Leone, Merlino, Alceste De Ambris. è stato nel 1917 che Santi si iscrive al PSI e comincia a lavorare presso la Federazione delle cooperative di Parma; la sezione giovani non esisteva più quindi si iscrive direttamente a quella degli adulti. Sarà lui a fondare un circolo giovanile socialista concretizzando l’attività politica in comizi tenuti in piccoli comuni della provincia e nella distribuzione "Dell'avanguardia". Nel 1919 è eletto segretario del circolo giovanile socialista della cooperativa di consumo di Parma e nel 1920 viene nominato alla guida della federazione provinciale giovanile socialista; comincia a lavorare con la carica di vice segretario presso la Camera del Lavoro di via Imbriani guidata da Simonini. In quei mesi si è verificato un conflitto insanabile tra fazione comunista e la corrente riformista guidata da Turati a causa di una imputazione dei primi verso i secondi di mancato sostegno verso il movimento dei consigli di fabbrica e gli stessi adoperati. Santi si riconosce nella corrente di Turati nonostante la passione per Lenin e i soviet. Nel gennaio del 1921 si tiene il XVII Congresso del Partito Socialista Italiano del PSI durante e al termine del quale avvengono due fondazioni: una a Fiesole dove nacque la federazione giovanile socialista e il 21 gennaio la fondazione ufficiale del Partito Comunista Italiano, sezione italiana della Terza internazionale.

L'affermarsi del Fascismo e la crisi del movimento operaio.

Nel 1921 lo scenario politico appare profondamente diverso rispetto al biennio precedente; infatti, i rapporti di forza tra gli attori politici e sociali subiscono cambiamenti in luce anche del fallimento dell’occupazione delle fabbriche e delle durissime polemiche tra i vari componenti del movimento operaio. Il Fascismo si afferma e ottiene il sostegno e la simpatia delle élite economiche, componenti che fino a quel momento avevano appoggiato i liberali e Giolitti; nel contempo le organizzazioni sindacali e politiche sembrano non in grado di porre un argine alle metodiche violenze fisiche delle squadracce. Il Partito Socialista Italiano continua a percorrere la strada semi-rivoluzionaria e del semi-riformismo che di fatto ne limita la capacità di incidere sulla situazione politica. è in questo contesto che Santi si dedica all'opera della riorganizzazione e nella ricostruzione della federazione giovanile socialista che, in pochi mesi, torna a contare centinaia di circoli e quasi ventimila iscritti. Ciò lo induce a viaggiare e a stringere rapporti con numerosi giovani militanti del partito e ciò gli permette di creare una rete di contatti che cercherà di mantenere in vita e di mettere a frutto. Mentre l’Italia capitola al fascismo,Parma riesce a porre una forte resistenza; l'assedio dei fascisti si protrae sino alla notte tra il 5-6 agosto. Anche Santi è presente alle barricate erette nella zona di Borgo del Naviglio e redige una cronaca di quelle giornate per conto della davanti. L'episodio, sottolineato da Santi stesso, non è un atto insurrezionale ma una legittima reazione popolare. Il giovane militante socialista svolge il servizio militare a Padova e quindi non partecipa direttamente al Congresso di Roma da cui nascono due importanti conseguenze: il Partito Socialista Unitario (1922) e la rottura del patto di alleanza e di collaborazione tra il PSI e il Confederazione Generale del Lavoro. Il 28 ottobre si concretizza la famosa Marcia su Roma; Benito Mussolini ottiene la fiducia della Camera due giorni più tardi. Molti anni dopo, Santi, riferendosi all'atteggiamento avuto dalla Corona. A partire dall'autunno le spedizioni punitive riprendono in grande stile e anche Santi subisce un vero e proprio attentato, perciò è costretto a riparare a Torino dove è chiamato a dirigere il locale sindacato dei tranvieri e continua a svolgere attività politica tra le file del PSU. Nel 1925 si trasferisce a Milano dove assume la carica di segretario provinciale del PSU e dove ha la possibilità di conoscere Filippo Turati, Oddino Morgari e Claudio Treves e diventare loro amico. Il PSU viene soppresso e Santi continua ad essere sorvegliato dalla polizia. Lavorando come agente di commercio per una ditta di profumi e saponi, sua copertura, riesce a mantenere vivi rapporti e personali e politici. Nonostante le difficoltà non abbandona la lotta politica e collabora con il gruppo clandestino dell'antifascismo milanese non comunista entrando così in contatto con Ferruccio Parri, Nello Rosselli, Ernesto Rossi, Albini. Successivamente alla fuga di Turati, Parri e Rosselli sono arrestati, ma l'organizzazione cospirativa, costituitosi a Milano, continua la propria opera di opposizione al regime mussoliniano. La piccola rete di solidarietà di cui Santi fa parte ottiene qualche parziale successo nella sua testarda lotta contro il regime. è negli anni Trenta però che l’attività politica di Santi si affievolisce tentando di mantenere in vita una rete di contatti personali con alcuni degli ultimi demoralizzati socialisti. Il ritorno alla militanza è da datarsi 1941-1942 con i primi segnali di cedimento del regime. Il 4 aprile Santi è arrestato, ma viene presto liberato nel luglio del 1943 dopo la sfiducia del Gran consiglio del fascismo a Mussolini. Dopo il Proclama Badoglio dell'8 settembre 1943 si rifugia all'estero, a Lugano, dove assume la direzione della sezione del comitato svizzero del soccorso operaio, occupandosi dell'assistenza ai rifugiati politici e antifascisti.

Il ritorno alla democrazia.

Con il ritorno ad un governo democratico Santi lascia definitivamente l'attività di rappresentante di commercio e si dedica a tempo pieno al lavoro sindacale e politico. Dopo un brevissimo periodo alla guida del CDL di Milano assume la carica di segretario del sindacato di categoria dei rappresentanti di commercio della nuova Confederazione generale italiana del lavoro. I profondi mutamenti del contesto internazionale si ripercuotono inevitabilmente sulla situazione politica italiana. I socialisti vivono da un lato, non possono contare sul sostegno politico e finanziario dell'URSS, dall'altro sono interessati da un'ennesima lacerante scissione, evento che ne indebolisce il peso elettorale, contrattuale e politico. La scissione si concretizza nel 1947 quando Saragat, presidente della Assemblea Costituente, in disaccordo con la maggioranza del partito abbandona il congresso della PSIUP e si riunisce a Palazzo Barberini dove costituisce il PSLI, formazione che intende essere erede dell'antica tradizione riformista di Turati e Matteotti. Santi non aderisce a questa scissione e con il tempo diventa uno dei più intransigenti critici del nuovo partito. La progressiva polarizzazione del clima politico interno internazionale non può non ripercuotersi anche sulla vita della CGIL dove i contrasti tra le differenti correnti dell'organizzazione si acquisiscono sempre di più. Il primo congresso della CGIL mostra quanto siano profonde le divergenze politiche tra le varie anime del sindacato. Santi, concorde con Di Vittorio, si schiera contro la tesi dell'incompatibilità e redige un emendamento finalizzato all’accrescimento del potere di veto delle minoranze; ritiene che la confederazione in quanto strutturata da tutti i lavoratori italiani non si può limitare alla semplice contrattazione dei rapporti di lavoro bensì, deve elaborare e sostenere attivamente una più ambiziosa politica di piano e delle profonde riforme di struttura. Sostiene, ancora, che uno stato democratico in quanto espressione della volontà popolare ha il preciso compito di indirizzare e di guidare lo sviluppo economico di un Paese. Le elezioni politiche in programma il 18 aprile del ‘48 si svolgono in un clima teso e fortemente influenzato dalle variabili internazionali: la DC e il fronte Popolare che riunisce in un'unica lista PC e PSI. Gli USA sostengono massicciamente la Democrazia Cristiana e con il piano Marshall forniscono aiuti per 176 milioni di dollari; mentre sul fronte interno la DC ha come alleato la chiesa e le differenti organizzazioni ad essa legate. Il fronte Popolare è fortemente egemonizzato dal PC allora disciplinatamente allineato alle posizioni provenienti dall'Unione Sovietica, situazione che favorisce la campagna elettorale democristiana. Nonostante la disfatta Santi viene eletto deputato nel collegio di Parma, Modena, Piacenza e Reggio. L'unità sindacale nonostante gli sforzi del nostro si rompe ed egli mette in guardia dal pericolo che la CGIL possa diventare uno strumento del PCI in quanto molto influenzata dal fronte comunista; per scongiurare tale eventualità che condurrebbe alla ghettizzazione e all'isolamento politico dell'organizzazione, il segretario della corrente socialista sostiene che la confederazione deve essere un organismo libero, unitario, indipendente, democratico, aperto a tutte le correnti politiche, a tutte le fedi religiose, così da evitare una organizzazione di una determinata colorazione politica.

Gli anni del frontismo.

Successivamente alle elezioni politiche, il PSI convoca Genova un congresso straordinario nel quale la politica frontista, rappresentata da Nenni e Morandi, è messa in discussione. Si costituisce, quindi, una nuova provvisoria maggioranza centrista che intende dare alla partita una linea politica più autonoma da quella del Partito Comunista Italiano; sostengono una politica di neutralità tra i blocchi internazionali e negano all’URSS il ruolo di Stato guida del proletariato mondiale, dogma alla base della tesi del Cominform. Tuttavia, questa direzione non riesce a consolidare la propria posizione all’interno del partito. Santi stesso riconosce le carenze e gli errori commessi dalla direzione centrista, gruppo del quale è stato autorevole esponente. La nuova maggioranza guidata da Nenni e Rodolfo Morandi si dedica con decisione alla bolscevizzazione del partito, processo che conduce a un rafforzamento dell'organizzazione e inaugura una stagione di conformismo e unanimismo politico. A differenza del centralismo democratico le decisioni assunte dal nuovo vertice sono disciplinate dal vrtice stesso e seguite dal resto del partito. Il leader sindacalista pur non condividendo alcune delle posizioni politiche del PC è convinto che, sul piano sociale e sindacale, esista una sostanziale omogeneità di interessi tra i due maggiori partiti della sinistra italiana. Il periodo che va dalla rottura dell'unità sindacale e giunge oltre la metà degli anni cinquanta è per la confederazione del lavoro momento di notevole difficoltà e debolezza: i cosiddetti anni duri. Le cause di tale debolezza sono da rintracciarsi sia in fattori derivanti dal contesto politico nazionale e internazionale sia da carenze interne alla stessa CGIL. I rapporti interni tra i sindacati, infatti, sono estremamente tesi: è il periodo della guerra fredda sindacale; la CGIL è accusata di essere assoggettata ai voleri del PC e di Mosca, la CISL e la UIL sono bollate come serve dei padroni americani. In questo periodo Santi partecipa attivamente alla stesura del Piano del Lavoro finalizzato a ridurre la disoccupazione e ad ampliare il mercato interno. L'iniziativa dovrebbe essere finanziata attraverso una tassazione fortemente progressiva e tramite il coinvolgimento del risparmio nazionale verso investimenti in produttivi. Nel dettaglio si proseguono alcuni precisi scopi: la nazionalizzazione delle Industrie operanti nel settore elettrico e la costruzione di nuove centrali; l'avvio di un programma di bonifica e di irrigazione dei terreni; la realizzazione di un vasto piano edilizio destinato ad alleviare il problema della carenza di case, scuole e ospedali. Tuttavia tali richieste non trovano alcun interlocutore. Il clima politico è troppo teso e conflittuale [1]. Pur criticando apertamente la linea frontista Santi lavora per ridurre la portata e le conseguenze politiche opponendosi a qualsiasi ipotesi di scioglimento della componente sindacale socialista, cercando di non chiudere del tutto le porte al dialogo con le altre organizzazioni sindacali. La CGIL fin dal dopoguerra sostiene con ardore la decisione di una contrattazione centralizzata da svolgersi su scala nazionale; con il passare del tempo tale scelta impedisce alla confederazione di comprendere e tutelare i bisogni più immediati e diretti dei lavoratori spesso sono chiamati a impegnarsi in grandi battaglie di principio decise e gestite dai vertici sindacali. Per Santi si stanno scontando gli errori di una scarsissima democrazia sindacale per cui i dirigenti prendono le decisioni senza il consenso delle mosse non interpellate. In questo periodo la politica frontista è definitivamente accantonata.

L'apertura ai cattolici.

Il cambiamento di linea politica del PSI e il progressivo allontanamento da perito comunista è ribadito due anni più tardi nel corso del trentunesimo congresso, svoltosi a Torino tra il 31 marzo e il 3 aprile del 1955. Le assise sono caratterizzate dal lancio della strategia del dialogo con i cattolici e dal definitivo abbandono della politica frontista degli anni precedenti. Anche la CGIL nel 1955 opta per una drastica revisione della propria strategia. è necessario per Santi adottare un nuovo disegno sindacale consapevole dei cambiamenti avvenuti nel sistema produttivo, nell'organizzazione del lavoro e che favorisca e valorizzi le vertenze svolte su scala aziendale. La contrattazione aziendale, oltre che essere uno strumento di lotta più efficace e più rispondente alla necessità del tempo, può anche costituire il terreno sul quale ricostruire una qualche forma di unità di intenti ed azione con gli altri sindacati[2]. Seppur con lentezza le decisioni prese durante il congresso romano consentono di riprendere i dialoghi con gli altri maggiori sindacati italiani, ponendo così le premesse per il superamento della già citata guerra fredda sindacale costituendo, di fatto, uno dei fattori della riscossa operaia degli anni 60. Nel 1956 si consuma la definitiva rottura dell’unità d’azione tra il PSI e il PCI, improvvisamente ciò che era propaganda borghese diventa linea ufficiale del PCUS. Togliatti, dirigente del PC, conscio dell'effetto traumatico e destabilizzante della nuova linea sulla maggior parte dei propri militanti, tenta di minimizzare le conclusioni del congresso moscovita e persegue un atteggiamento prudente chiedendo, con questa occasione, più autonomia dei singoli movimenti e partiti comunisti dei rapporti bilaterali tra essi. Nenni, dal canto suo, decide di portare avanti il processo di sganciamento dal PC e da Mosca affermando che la deriva totalità dell’URSS non è attribuibile solo a Stalin ma è insita nella teoria nella pratica leninista e bolscevica stessa. Le reazioni di molti dirigenti del PSI sono di diffidenza. Infatti, per loro sono condivisibili l’abbandono della politica frontista e la ritrovata autonomia dal PC, meno condivisibile il riavviamento con Saragat con il quale da sempre i rapporti sono tesi e caratterizzati da insulti e polemiche. Lo stesso Santi è decisamente contrario alla ricomposizione della scissione di Palazzo Barberini ed è contrario, contestualmente, al dispiegarsi della politica alternativa socialista, al dialogo con i cattolici e all’ipotesi di rompere l’unità della CGIL. Più precisamente il leader sindacalista non può accettare la proposta di costruire un sindacato socialista grazie allo sfociamento della CGIL nella UIL così da riunire tutti i lavoratori non comunisti; in questo modo questi lavoratori rimarrebbero emarginati. Il Partito Socialista subisce un'ulteriore spaccatura a causa degli eventi ungheresi e Santi cerca di smussare gli angoli adoperandosi affinché le polemiche sugli eventi ungheresi non si traducono in un ulteriore fattore di divisione della CGIL e del fronte sindacale. Egli è inoltre concorde con la strategia nenniana favorevole ad accentuare l'autonomia politica delle scelte del Partito Comunista. Forse la prima volta dal dopoguerra, all'interno del partito, cominciano a strutturarsi delle vere e proprie correnti e la necessità di trovare un punto di equilibrio tra esse porta delegati ad approvare un documento finale di compromesso sostanzialmente ambiguo ed elusivo.

Il riformismo padano.

Dalla biografia di Santi risulta ben evidente il rapporto del leader sindacalista con il riformismo padano, cioè con la tradizione operaia e bracciantile dell'inizio del secolo che non accettava di isolare gli obiettivi di trasformazione socialista dalla conquista graduale di nuovi rapporti sociali ed una nuova maturità nelle masse. Dalla fine della guerra in tutto il discorso sindacale e politico di Santi è legato l’aggiornamento dei valori democratici e socialisti della tradizione padana nelle nuove condizioni di un capitalismo industrializzato e organizzato. Ciò che particolarmente lo intrigava era il mantenere l’autonomia operaia pur in un quadro di collaborazione con le forze borghesi; questo lo accompagnò fino allo spegnersi della sua vita quando ragionava con arguzia e profondità sulle proposte del Partito Comunista come partito di governo e analizzava retrospettivamente le condizioni che avevano presieduto alla nascita del centro-sinistra i rapporti di forza fra le classi e le e illusioni che si crearono con la ripetizione di formule verbali di successo. Egli richiama frequentemente al riformismo padano dandogli una connotazione politica ben precisa. Avvertì, infatti, che nelle correnti della sinistra e delle organizzazioni sindacali ci fossero delle gravi carenze e quindi le volle superare attraverso un’attenta riconsiderazione della elaborazione e del metodo del vecchio riformismo padano, respingendo ogni concezione puramente strumentale[3]. Seppe vedere gli elementi permanenti e insostituibili di ogni organizzazione classista che perseguano fini di trasformazione strutturale della società, in cui il cambiamento del regime dei rapporti sociali di produzione rappresenti la base per creare una civiltà a dimensione umana per mutare in libere scelte quello che ancora sembra destino. Da queste convinzioni, dal dopoguerra, condusse una lotta continua contro le concezioni del partito demiurgico del centralismo democratico o burocratico che provocarono una netta divisione tra chi decide e chi deve eseguire; vuole ricondurre di classe alle sue vere funzioni di dare espressioni e sintesi alle esigenze che maturano dal basso, di agire come strumento per la loro soddisfazione, di accrescere con la libera discussione e la piena partecipazione, il livello di coscienza sindacale e poetica dei lavoratori. L'apporto di Santi è sostanziale in un'economia e capitalistica in ascesa. Rifiutò la prassi delle divisioni operaie che avrebbe facilitato la riuscita del disegno neo capitalistico di integrarla, in tutto o in parte, nel sistema; nel ricondurre alle reali proporzioni di passo graduale l'eventuale partecipazione di esperimenti governativi con forze socialiste, ed anche dirette dai moderati; nel demistificare la versione di un riformismo che copre la sua natura subalterna con una altisonante fraseologia e col richiamo ad una suggestiva tradizione; e, soprattutto, nell'aprire all'interno del movimento operaio un discorso metodologico, politico e organizzativo al fine di promuovere la ricerca unitaria di una strategia socialista, capace di colmare le attuali lacune e di rappresentare un'alternativa al capitalismo nei paesi industrialmente avanzati.

In sua memoria il PSI crea l'Istituto Fernando Santi, che si occupa soprattutto dei problemi degli emigranti. Organo ufficiale dell'istituto è, dal 1968 al 1993, la rivista “Avanti Europa” edita a Parigi, che porta come sottotitolo "Mensile dell'Emigrazione Italiana", cui collaborano vari dirigenti del PSI all'estero.

Bibliografia

  • F. Persio, L'uomo, il sindacalista, il politico. Con saggi e testimonianze a cura di Sergio Negri. Prefazione di Guglielmo Epifani, Ediesse;
  • L'ora dell'unità. Scritti e discorsi di Ferdinando Santi (a cura di Idomeo Barbadoro), La Nuova Italia, 1968;



 
Targa sulla casa natale di Fernando Santi.

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  1. ^ F.Persio, L'uomo, il sidacalista, il politico. Con saggi e testimonianze a cura di Sergio Negri. Prefazione di Guglielmo Epifani, Ediesse, pag. 113
  2. ^ F.Persio, L'uomo, il sidacalista, il politico. Con saggi e testimonianze a cura di Sergio Negri. Prefazione di Guglielmo Epifani, Ediesse, pag. 127
  3. ^ L'ora dell'unità. Scritti e discorsi di Ferdinando Santi ( a cura di Idomeo Barbadoro), La Nuova Italia 1968, pag. 23