Partenope (città antica)
Partenope (in greco antico: Παρθενόπη?; in latino Parthenŏpe)[3][4][5] fu una sub-colonia greca edificata tra il Vesuvio ed i Campi Flegrei nell'VIII secolo a.C. dai cumani. Venne rifondata dagli stessi come Neapolis[6] nell'ultimo trentennio del VI secolo a.C.[7]
Partenope | |
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Ricostruzione verosimile in 3D di Partenope | |
Nome originale | Παρθενωπη |
Cronologia | |
Fondazione | Fine VIII secolo a.C. |
Rifondazione | VI secolo a.C. col nome di Neapolis, dopo la battaglia di Aricia del 507-506 a.C. |
Territorio e popolazione | |
Superficie massima | 20 ettari il centro urbano (escluso l'isolotto di Megaride)[1] |
Localizzazione | |
Stato attuale | Italia |
Località | Napoli |
Coordinate | 40°50′N 14°15′E |
Cartografia | |
Origini del nome
modificaPartenope, che significa «quella che sembra una vergine», era una delle sirene ammaliatrici che, secondo una versione di una leggenda, si suicidò lanciandosi in mare con le sorelle (Ligea e Leucosia) per l’insensibilità di Ulisse al loro canto; il suo corpo fu trasportato dalle onde alla foce di uno degli affluenti del fiume Sebeto, dove fu chiamata Parthenope la città detta poi Neapolis (Napoli).[8]
Storia
modificaLe origini
modificaLe prime tracce archeologiche dell'area risalgono al Neolitico Medio, tipo Serra d'Alto, e sono state ritrovate innanzi alla basilica di Santa Maria degli Angeli a Pizzofalcone (ossia tra l'acropoli e la necropoli di Partenope, alle spalle della collina di Pizzofalcone).[9] Nello stesso punto sono stati ritrovati, inoltre, un importante strato archeologico risalente all'Eneolitico Antico e uno all'antica/media Età del bronzo.[9] L'Eneolitico Medio, tipo Gaudo, è noto più all'interno di Partenope dai vecchi ritrovamenti di Materdei,[10] mentre il Bronzo Medio avanzato è presente nei fondali marini dell'insenatura di piazza del Municipio e nel pianoro di Neapolis (e anche in altri siti meno importanti), ove sono stati riportati alla luce materiali testimonianti due villaggi[11] che ebbero certamente contatti col mondo miceneo.[12]
Presso la stazione Duomo, infine, soprattutto abbondanti rinvenimenti ceramici (olle ovoidi), databili tra il Bronzo Finale e l'inizio del Ferro, documentano l'esistenza di un sito forse a carattere produttivo deputato allo svolgimento di attività costiere.[9] Per le popolazioni dell'Età del bronzo e poi del Ferro presenti in quest'area del golfo di Napoli, le fonti greche usano i nomi di Ausoni e Opici.
Fondazione di Partenope
modificaL'insediamento di Partenope ebbe la sua fondazione ad opera dei cumani.[6]
Le ricerche archeologiche fanno risalire la nascita della colonia alla fine dell'VIII secolo a.C.,[13] anche se la più antica documentazione è risalente al II-III quarto dell'VIII secolo, ossia tra il 750 e il 720 a.C., non lontana dalle fasi più antiche di Pithecusa e dell'abitato di Cuma rilevate dai recenti scavi dell'Università "L'Orientale" e "Federico II".[N 1][14][11]
L'insediamento, sorto in posizione particolarmente favorevole su di uno sperone roccioso circondato su tre lati dal mare, nacque come scalo marittimo (epineion)[7] subalterno al centro principale, che il metodo storico-critico convenzionalmente gli attribuisce in relazione alla colonia euboica.[11]
Le indagini hanno permesso di individuare il porto, utilizzato poi anche per Neapolis, nell'attuale piazza del Municipio (all'epoca un bacino chiuso e riparato che a sua volta faceva parte di un'ampia insenatura localizzata fra castel Nuovo e la chiesa di Santa Maria di Portosalvo).[13]
Poiché per l'ubertà e l'amenità dei luoghi la colonia cominciò ad essere maggiormente frequentata (o meglio a riscontrare una progressiva crescita, visto che l'evidenza materiale di piazza Santa Maria degli Angeli e quella del bacino portuale di piazza del Municipio mostri appunto un crescente incremento nel corso del VII secolo a.C., ma soprattutto dalla fine del secolo e nel VI secolo a.C., e sia molto più numerosa rispetto a quella sinora esaminata per altri epineion cumani, come Pozzuoli o Miseno, nonché del tutto somigliante per qualità e varietà a quella di Cuma),[11] i cumani, preoccupati che la propria città venisse depauperata, decisero di «distruggerla».[15]
La rifondazione come Neapolis
modifica«Parthenope non può essere disgiunta da Neapolis, formando un unico sistema storico-archeologico, geologico e territoriale.»
Neapolis (in greco antico Νεάπολις) venne fondata, senza tema di errare, dai Cumani. Tale responsabilità di fondazione è asserita unanimemente da Strabone, Velleio Patercolo, Scimno di Chio, Lutazio e Tito Livio, autori che da un lato rientrano in un'ottica cumana, dipendendo da fonti cumane, Patercolo, Strabone e Pseudo-Scymno, e dall'altro rientrano in un'ottica neapolitana, dipendendo da fonti neapolitane, Livio e Lutazio. Il sussistere di una fratria di Kymaioi e l'accoglienza con pieni diritti concessi ai Cumani dopo la caduta di Cuma in mano sannita non fanno altro che confermare quanto appena enunciato.[6]
La fondazione della città si fissa in quel clima di stasis (discordia tra fazioni) vigente a Cuma per tutta la parabola di Aristodemo. Il momento decisivo corrisponde all'instaurazione della Tirannide di Aristodemo, dopo la battaglia di Aricia del 507 a.C.. La tradizione ricorda dell'espulsione forzata degli oligarchi che trovarono rifugio a Capua. È probabile che in questa circostanza essi abbiano deciso di dare spazio alla Nea Polis (Nuova Città).[7] Ad ogni modo è certo che la fondazione della città sia avvenuta per mano di oligarchi mossi dalla volontà di dar vita ad una «seconda Cuma», del tutto somigliante alla città dalla quale erano stati cacciati; lo provano a sufficienza ad esempio il prosieguo di culti come quello di Demetra e la fedele ripresa dell'organizzazione in fratrie.[7] Tale inquadramento cronologico è confermato da rinvenimenti ceramici in un tratto delle mura e in vari punti della città,[7][16]nonché dal reticolo viario della polis che rimanda a modelli tardo arcaici, quali quelli, più antichi, di Poseidonia e Agrigento, e quelli più recenti di Naxos e Himera.[17]
Neapolis sorse su un pianoro, in declivio da nord a sud (delimitato da via Foria a nord, da corso Umberto I a sud, da via Santa Maria di Costantinopoli a ovest e da via Carbonara a est) e digradante verso il mare dall'altura della collina di Caponapoli nel settore nord-occidentale. Scandito al suo interno da una serie di rilievi e cinto da fossati naturali, solcati da torrenti che scendevano dalle colline retrostanti, il pianoro era circondato da possenti mura che ne assecondavano la morfologia.
La città venne edificata secondo i criteri greco classici: acropoli (area di Sant'Aniello a Caponapoli), agorà (area di piazza San Gaetano) e necropoli (ne rimangono vari esempi, il più famoso dei quali è la necropoli di Castel Capuano).
L'impianto urbano si fondava su tre strade maggiori e più larghe (in greco antico: πλατεῖαι?, platêiai) che erano incrociate ortogonalmente con l'intreccio di strade più strette (in greco antico: στενωποί?, stenōpói). Il caso di studio neapolitano risulta concepito su uno schema razionale di pianificazione connesso alla fondazione della nuova collettività, concettualmente riconosciuta come "Città Nuova". Secondo questa ottica, nuovi studi hanno messo in luce l'esistenza di un progetto geometrico alluso al tracciato delle strade e degli isolati, che vede come centro il tempio dei Dioscuri dell'agorà.[18]
La nuova città, come si è visto, non nacque inglobando e di conseguenza sviluppando la città vecchia[6] come avvenne ad esempio nel caso di Costantinopoli, bensì sorse giustapposta a quest'ultima per motivi commerciali: Neapolis nacque infatti tutta proiettata verso la valle del Sarno.[6] Il pianoro a nord-est della collina di Pizzofalcone, inoltre, doveva rappresentare per caratteristiche naturali e dimensione, una rilevante riserva di sviluppo. A onor del vero, tale territorio, come dimostrano le indagini archeologiche, era diffusamente occupato già nella seconda metà del VI secolo a.C.. Partenope, in piena espansione, ha esteso il controllo all'area del vicino pianoro.[11] L'insediamento più antico sul colle di Pizzofalcone sopravvisse dopo la fondazione della "Città Nuova" come un secondo polo periferico della polis (la Palepolis),[19][20] fino al III secolo a.C..[21]
Partenope nelle fonti antiche
modificaDi Partenope non fanno espresso accenno le fonti che fanno riferimento ad un punto di vista cumano. Per quanto riguarda la prospettiva neapolitana, ne parlano sia Lutazio, sia Tito Livio. Quest'ultimo in particolare si riferisce ad essa chiamandola Palepolis (città vecchia).[6]
Lutazio ne parla quando narra della storia e delle vicende di Neapolis. Egli riportò che alcuni cumani oppositori, allontanatisi dalla loro patria, fondarono una città chiamata Parthenope, dal nome della sirena che era lì sepolta. Tuttavia, una volta che l'insediamento vide una maggiore frequentazione a causa della sua felice posizione, Cuma, timorosa di cadere in rovina, decise di distruggerlo. Per questo atto i cumani subirono una punizione divina e per ordine di un oracolo furono costretti a reistituire la città e ad assumersi il compito di encomiare i Sacra per la sirena Partenope.[6] Per questo rinnovamento posero alla città il nome di Neapolis (nuova città).
Gli studi di questa parentesi storica inducono a captare una comprovata tradizione neapolitana che mostra una marcata analogia fra il culto della sirena e l'esistenza del sito.[6] Oltremodo in tutto il resoconto si evince una marcata polemica anticumana: il ripercorrere di tutte quelle vicende passate induce ad affermare che le disposizioni di tali fonti siano da constatare nelle trascorse relazioni tra Cuma e Neapolis, non nel II secolo a.C. Come si vedrà dall'opposta tradizione cumana, tali critiche nacquero quando le due città si ritrovarono scisse in particolar modo su quel diverso interfacciarsi nei confronti dei Sanniti e dei Campani (periodo che riguarda la fine del V secolo a.C.).[6] A questo lasso di tempo risale quindi quel particolare modo di ripercorrere il passato di Neapolis.
Livio ne riferisce quando parla dell'assedio posto a Neapolis, nell'ambito delle guerre sannitiche. All'inizio di tale racconto viene delineata una breve descrizione sulla nascita di Neapolis: c'erano due urbes, Palepolis la città vecchia e Neapolis quella nuova, poste una accanto all'altra, abitate dal medesimo popolo e costituenti un'unica città.
Gli avvenimenti che conducono alla dedizione romana e all'allontanamento dei Sanniti ingannati, si riferiscono soltanto ad una di queste[6] e si tratta di quella lì dove agiscono i principes civitatis (Charilaus e Nymphius), dove si sono installati i Sanniti e i Nolani e dove vengono lasciati entrare i Romani; ci si riferisce dunque alla Neapolis, con la quale sarà tuttavia stabilito il foedus Neapolitanum.
A Palepolis invece avevano sede gli organi di rappresentanza.[N 2] Quindi è a quest'ultima che Roma manda i Feziali ottenendo una risposta negativa, sono i Palepolitani a ricevere la dichiarazione di guerra e i presidi sanniti e nolani, i principes di Neapolis stipulano trattative a nome dei Palepolitani, nei confronti di questi ultimi e dei Sanniti si acclama la vittoria.[6] Palepolis quindi assume accezione sia di città vecchia topograficamente distaccata da quella nuova, sia di abitato che designa la civitas nella sua interezza. In tale direzione il vocabolo Palaepolitani lo si riscontra anche nei fasti trionfali.
A quest'ultimo proposito è doveroso pertanto rimarcare certi aspetti. La collettività neapolitana, come si intuisce in Livio, nasce in coabitazione con vecchi residenti: un insediamento antico quindi ed uno più recente che si è aggiunto in un secondo momento.[22] Non si riscontrano di conseguenza cancellazioni fisiche o aggregazioni topografiche ma epoikia come accostamento. Ciò è sottinteso anche nella fonte straboniana.
Tuttavia Livio e i Fasti non fanno mai accenno al vecchio nome della Palepolis (Parthenope).[6] Il racconto parallelo di tali vicende Dionisio di Alicarnasso, seppur frammentario, ne espone come di avvenimenti riguardanti Neapolis e i suoi abitanti.
Il modo di fare di Livio e dei Fasti è da riscontrare nel modo in cui tale vicenda venne giostrata e riferita dai Romani.
In tale episodio storico, come dimostrano l'atteggiamento di Quinto Publilio Filone e il convenevole foedus Neapolitanum, si riscontra una certa magnanimità nei confronti di Neapolis. Nel racconto dionigiano i Sanniti occupano Neapolis con astuzia ed angherie.[6] Un fattore che è presente anche nella fonte liviana: la presenza dei presidi sanniti e nolani era stata alquanto pesante, la preferenza verso la controparte romana è mostrata da Charilaus come fatto positivo sia per i Palepolitani che per il popolo romano, la rottura dell'amicizia con Roma era stato per quest'ultimo un comportamento azzardato, il generale Filone è descritto come disponibile a riconoscere tali interpretazioni delle vicende, l'assunto di una capitolazione della città per causa sannita è pressoché rifiutato, la natura del foedus è presentata come un riconoscimento per la buona condotta tenuta dai Neapolitani.
È in tale ambito dunque che deve essere ricercato il ricorso ai Palepolitani ed il silenzio sul vecchio nome della Palepolis: menzionare quest'ultima piuttosto che Neapolis, affermando che questo era l'allora centro precursore del comando, voleva dire considerare la maggior importanza del vecchio centro, al fine indi di far cadere su quest'ultimo e non su Neapolis, la quale si voleva esimere, tutto il marcio del caso. Nell'ambito dello stesso criterio, omettere Partenope voleva dire non rammentare che il culto della divinità poliade di tutta la civitas faceva testa alla Palepolis e conseguentemente mettere a rischio l'intero intervento filoneapolitano che si intendeva accreditare.
Strabone ne dà soltanto un'idea bensì anonimamente, nel passo in cui parla di Neapolis. Quest'ultima venne fondata per mano cumana e conferma il proprio nome con la venuta degli epoikoi Ateniesi e Pithecusani. In tale luogo si trovava la tomba della sirena Partenope e per via di un oracolo si commemorava per lei un agone ginnico. Dopo tale periodo la cittadinanza di Neapolis, scissa in due schieramenti, aprì le porte ad una parte dei nemici Campani e fu obbligata a trattarli come i loro più diretti congiunti, mentre i cumani, veri parenti dei neapolitani, furono del tutto ripudiati.
La prospettiva è senza dubbio solo quella della città calcidese. Cuma, fondatrice dell'insediamento, sì sentì profondamente tradita da Neapolis che, al fine di salvaguardare la propria incolumità e sovranità, decise di aprire le porte ai terribili antagonisti dei cumani. Questi ultimi infatti, come rammenta sempre Strabone, conquistarono Cuma con angherie e terribili devastazioni.[6] È alquanto evidente il nesso polemico all'alleanza con la popolazione osca (verificatasi nello stesso periodo del crollo di Cuma) e che ad esprimesi sono i cumani ancora arrabbiati per quello che gli è successo. A tal punto si comprendono dunque vari fatti: la motivazione di una determinata modalità percorsa nel descrivere le vicende passate del sito, il grado temporale della fonte immesso nel geografo in oggetto, le generalità di quest'ultima.
Si evince un vero e proprio occultamento delle vicende passate del sito: queste ci sono state se Neapolis, di fondazione cumana, si chiamò proprio «città nuova», ma dell'insediamento che era prima e di come si chiamava non si parla più del dovuto. Se si tiene in considerazione il blocco distruttivo presente nell'opposta attestazione di Lutazio, il tutto diventa esplicito. E che il nocciolo della questione sia questo viene confermato dal resto del racconto: il nome del sito fu dovuto all'arrivo di nuovi coloni, non ad una rifondazione come atto riparativo ad una punizione divina (la pestilenza), il responso sacro affiancò la seguente ricostituzione e si riferì esclusivamente all'agone ginnico in onore della sirena, non certo alla fondazione in sé per la quale si riporta solamente che si verificò per mano cumana.[6] L'inciso di Strabone nel suo intrigo lo si decifra dunque raffrontandolo con quello lutaziano, giacché in una prospettiva neapolitana ne rivolta l'organizzazione mostrando il sito nato come Parthenope e non Neapolis, scaturito non da una iniziativa di Cuma, ma a causa di un gruppo di cumani oppositori e presentando la città madre non sotto una luce benevola, ma sotto una luce alquanto infida e rancorosa.[6] Se il nome di Partenope non compare in questa sede è solo a causa delle tendenze centrifughe della fonte, a cui Strabone è rimasto semplicemente congruente.
Partenope e i Rodii
modificaOltre al riquadro precedente, che riguarda fonti di ottica neapolitana o cumana, esiste un'attestazione straboniana che riconduce piuttosto a fonti rodie. Il geografo, nel rievocare la grandezza di Rodi, parla delle fondazioni di Partenope, Elpie e Rhodos.
L'informazione a proposito di Partenope è come di consuetudine soltanto ribadita da Stefano Bizantino alla sezione Parthenope, mentre, come è stato riportato precedentemente, la città ritorna come fondazione cumana nelle fonti di ottica neapolitana accolte da Lutazio. L'informazione su Rhodos si ripresenta nello scritto Pseudo Scymno, mentre per quanto riguarda Elpie, oltre alla notizia ripetuta anche qui da Stefano Bizantino, si ricorda che Vitruvio faceva presente che l'oppidum Salapia vetus era stato costituito da Diomede di ritorno da Troia o, come stilarono alcuni, grazie ad un Elpias rodiese.
Da ciò si evince che le tre fondazioni rodie appaiono tali solamente per la tradizione in oggetto. Esse risalgono a prima dell'istituzione delle Olimpiadi (776 a.C.),[6] il che significa almeno al IX secolo a.C. (epoca di fondazioni mitiche piuttosto che concrete). In maniera significativa, tutti e tre gli insediamenti fanno riferimento ad una eponimia o ad un eponimo (Partenope sta al nome di una sirena, Elpie a quello del suo fondatore Elpias e Rhodos si riferisce alla ninfa eponima di Rodi, sua metropolis). Ad ogni modo neanche in una delle località in oggetto le rivendicazioni rodie trovano attestazioni archeologiche e per questo motivo vengono ritenute delle ideazioni di una tradizione improntata verso una maiorem gloriam di quelle terre.
Attestazioni archeologiche
modifica«Intanto dobbiamo prendere atto di acquisizioni che vengono dai recentissimi scavi di Cuma; si tratta della scoperta di ceramica del Tardo Geometrico I (750-725 a.C.) che ridurrebbe di molto la differenza cronologica tra la fondazione di Pithecusa e quella di Cuma: i lavori sono ancora in corso e il risultato di queste ricerche non può certo dirsi conclusivo, ma sicuramente queste scoperte dovranno in futuro indurci a rivedere la storia degli insediamenti greci nel Golfo di Napoli, cui vanno ad affiancare, come vedremo nelle pagine seguenti, anche gli straordinari rinvenimenti a Napoli-Pizzofalcone»
I ritrovamenti archeologici di Partenope consistono in una porzione di necropoli del VII secolo a.C., riscoperta in via Giovanni Nicotera nel 1949, ed in due gruppi di materiali di abitato. Il primo gruppo fu rinvenuto, ad inizio Novecento, in vico Pallonetto a Santa Lucia (dal passaggio tra VIII e VII secolo a.C. ad almeno lo scorcio del IV secolo a.C.),[23] mentre il secondo gruppo fu rinvenuto in piazza Santa Maria degli Angeli nel 2011 (prevalentemente fine VIII - V secolo a.C.).[24] Da quest'ultimo scavo provengono anche reperti di ceramica geometrica, probabilmente di fabbrica pithecusana, datati tra il 750 e il 720 a.C.. A ciò si aggiunge il dato (uno skyphos del Tardo Geometrico I di importazione euboica)[14] che proviene dalla zona portuale ai piedi del Castel Nuovo.[13] Tali ritrovamenti, seppur frammentari, fanno pensare ad una stabilizzazione di un avamposto a Partenope molto a ridosso della fondazione di Cuma stessa, forse già nel Tardo Geometrico I.[14]
Miti e leggende su Partenope
modificaNell'Alessandra di Licofrone, Partenope e le sue sorelle (Leucosia e Ligea) morirono per l'insensibilità di Ulisse alla magia del loro canto essendosi esse gettate nel mare che ne trasportò, in vari luoghi, i corpi. Partenope giunse sul luogo dove sarebbe sorta Neapolis.
Apollonio Rodio riferisce che Orfeo, traversando il Mediterraneo, trasse la lira e cantò meglio di loro per impedire ai propri commilitoni di cadere vittime dell'inganno delle sirene che si mutarono in rocce; solo uno dei marinai cercò di seguirle, scampando la morte grazie all'intervento fortuito di Afrodite.[25] L'argonauta, al fine di ringraziare adeguatamente l'eroico atto, decise di fondare un piccolo villaggio laddove fosse sbarcato, chiamandolo col proprio nome «Falero». Secondo un'altra versione l'uomo, mentre era in viaggio verso Cuma con la sua famiglia, perse la figlia Partenope in mare, laonde conservarne imperituro ricordo, conferì alla zona il nome proprio della fanciulla.[26]
Altre tradizioni ricollegano Partenope al rituale di passaggio tra la vita e la morte. Ovidio racconta che le sirene non furono solo dei mostri ma che in principio erano delle ancelle di Persefone, dea degli inferi e che, in seguito al suo rapimento da parte di Plutone, ottennero il permesso di cercarla nelle profondità della terra, cioè nella «ctonia» e che da qui furono ricacciate in mare con l'ordine di ricevere i naviganti sfortunati, di incantarli con melodie incantevoli e di introdurli presso di lei.[27] La tomba della sirena era situata tra le altre ipotesi nei pressi della foce di uno dei rami fluviali del Sebeto, l'antico corso d'acqua che bagnava Neapolis.
Note
modificaAnnotazioni
modificaFonti
modifica- ^ Il mare e la città metropolitana di Napoli, in TERRITORIO DELLA RICERCA SU INSEDIAMENTI E AMBIENTE (Rivista internazionale della cultura urbanistica), Università degli Studi di Napoli - Centro Interdipartimentale di Ricerca L.U.P.T., 2014, p. 221.
- ^ In quel momento, come dimostra a sufficienza la testimonianza di Livio che prenderemo in esame tra poco, Parthenope era solo la palepoli di Neapolis (tratto da: M. Lombardo, F. Frisone, Colonie di colonie: le fondazioni sub-coloniali greche tra colonizzazione e colonialismo. Atti del Convegno Internazionale di studi, Lecce 22-24 giugno 2006, Galatina, Congedo edit., 2010, p. 187)
- ^ PARTENOPE, in Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
- ^ partenopeo, in Treccani.it – Vocabolario Treccani on line, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
- ^ La pronuncia sdrucciola segue l'uso latino ben affermato per molti nomi greci: si vedano le regole dell'accento latino; la penultima sillaba, rappresentata in greco da omicron, è breve.
- ^ a b c d e f g h i j k l m n o p q M. Lombardo, F. Frisone, Colonie di colonie: le fondazioni sub-coloniali greche tra colonizzazione e colonialismo. Atti del Convegno Internazionale di studi, Lecce 22-24 giugno 2006, Galatina, Congedo edit., 2010, pp. 183; 185-186; 192-193; 195-197.
- ^ a b c d e Daniela Giampaola, Bruno d'Agostino, Osservazioni storiche e archeologiche sulla fondazione di Neapolis, in William V. Harris ed Elio Lo Cascio (a cura di), Noctes Campanae. Studi di storia antica e archeologia dell'Italia preromana e romana in memoria di M. W. Frederiksen, Napoli, Luciano edit., 2005, pp. 59;61;62;62;59-60.
- ^ Partenope, in Treccani.it – Enciclopedie on line, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. URL consultato il 2 gennaio 2023.
- ^ a b c Giuliana Boenzi, Interazione tra attività vulcanica e vita dell’uomo: evidenze archeologiche nell’area urbana di Napoli, in Miscellanea INGV, Academia.edu, 31 maggio 2013, pp. 39; 39-40; 42. URL consultato il 1º aprile 2020.
- ^ Parthenope, su ganapoletano.it. URL consultato il 16 aprile 2020.
- ^ a b c d e f g Daniela Giampaola, Emanuele Greco, Napoli prima di Napoli. Mito e fondazioni della città di Partenope, Roma, Salerno edit., 2022, pp. 13;51;52;52-53-80;43;80;36-37.
- ^ Le più antiche di esse furono quelle che le città di Eretria e Calcide nell'Eubea inviarono, prima nell'isola di Ischia a Pithecusa, poi sulla costa che le sta di fronte, a Cuma, certamente prendendo conoscenza anche della costa orientale della Sicilia e dello stretto. Quest'area del golfo di Napoli con le isole antistanti e i campi Flegrei era abitata da popolazioni dell'Età del bronzo e poi del ferro, per le quali le fonti greche usano i nomi di ausoni e opici, incerte se identificarle o distinguerle tra loro, ma che non vanno comunque confuse - come talvolta in esse - con le più tardi genti osche che verranno a impadronirsi dei centri coloniali greci e di quelli etruschi. Gli abitanti dell'Età del bronzo erano stati in contatto, certamente, con i navigatori micenei spintisi al di là delle Eolie fino alle isole (Vivara specialmente) e alla costa del golfo (tratto da: Di Moses I. Finley, Ettore Lepore, Le colonie degli antichi e dei moderni, Donzelli, Roma 2000, pag. 44-45).
- ^ a b c Parco Archeologico Urbano di Napoli (PDF), su naus-editoria.it, p. 9. URL consultato il 21 luglio 2022.
- ^ a b c APPUNTI MAGNA GRECIA, Appunti di Archeologia (Professore Associato in Archeologia Classica, presso l'Università degli Studi di Napoli “L'Orientale", Matteo D'acunto), su Docsity.com. URL consultato il 22 luglio 2022.
- ^ La notizia della distruzione, una volta tenuto conto del fatto che proviene da una fonte interessata a presentare sotto una luce particolarmente negativa il comportamento di Cuma, trova sostanziale conferma in una serie di fatti. Le tradizioni di ottica cumana, Pseudo Scymno, Strabone, Velleio, puntano tutte sul rapporto Cuma-Neapolis, lasciando nell'ombra, e quindi in un certo senso, distruggendo la storia precedente del sito [...]. D'altro canto, se il problema è posto, come la fonte di Lutazio fa nei termini di una frequentatio di Neapolis che non può svilupparsi se non in concorrenza con quella di Cuma, è evidente che la frequentatio di Cuma non può tollerare lo sviluppo di Neapolis e quindi la oscura (tratto da: M. Lombardo, F. Frisone, Colonie di colonie: le fondazioni sub-coloniali greche tra colonizzazione e colonialismo. Atti del Convegno Internazionale di studi, Lecce 22-24 giugno 2006, Galatina, Congedo edit., 2010, p. 185). A parte le ipotesi - che rimango pura speculazione - che tendono a connettere la notizia della distruzione con un evento effettivamente verificatosi che non prendiamo neanche in esame, dopo i tentativi, a questo riguardo, di trovarne conferma nella documentazione archeologica per niente perspicua (tratto da: Daniela Giampaola, Emanuele Greco, Napoli prima di Napoli. Mito e fondazioni della città di Partenope, Salerno ed., Roma 2022 p.69). Tuttavia non esiste traccia materiale e archeologica di distruzione di questo primitivo nucleo, come si usa invece raccontare interpretando male il racconto di Lutazio Dafnide (tratto da: Teresa Tauro, Napoli greca. Alla scoperta della città antica, Intra Moenia editore, 2023, p. 17).
- ^ IL PROGETTO “ceraNEApolis”: UN SISTEMA INFORMATIVO CARTOGRAFICO DELLE PRODUZIONI CERAMICHE A NEAPOLIS (IV A.C.-VII D.C.) (PDF), su Archcalc.cnr, p. 29.
- ^ Gli studi recenti consentono ormai di ricondurre l'organizzazione dell'impianto a una concezione unitaria, superando l'ipotesi di uno sviluppo in due tempi formulata da Mario Napoli, secondo il quale a un impianto irregolare risalente ai tempi della fondazione del 470 a.C., limitata alla collina dell'Acropoli e alla parte settentrionale dell'area poi occupata dall'agora/foro, sarebbe seguito un progetto regolare, sotto l'influenza dell'impianto di Thuri del 444 a.C. assegnato a Ippodamo di Mileto. [...] Il caso di studio neapolitano è confrontabile con impianti urbani datati fra gli ultimi decenni del VI e il primo quarto del V secolo, quali quelli, più antichi, di Poseidonia e Agrigento, e quelli più recenti di Naxos e Himera (tratto da: Daniela Giampaola, Emanuele Greco, Napoli prima di Napoli. Mito e fondazioni della città di Partenope, Salerno ed., Roma 2022 pp.88-89)
- ^ Fausto Longo, Teresa Tauro, Alle origini dell'urbanistica di Napoli, Pandemos editore, 2017.
- ^ Neapolis (fine VI sec. – 89 a.C.) dall’astu alla chora: definizione del proasteion e rilettura della polis (PDF), su dottoratomem.it, aprile 2020. URL consultato il 14 maggio 2022.
- ^ Atti del I Convegno Internazionale di Studi, Dialoghi sull'archeologia della Magna Grecia e del Mediterraneo (Paestum, 7-9 settembre 2016), Pandemos edit., pag. 321.
- ^ Cir.campania.beniculturali.it. URL consultato il 17 dicembre 2013 (archiviato dall'url originale il 12 ottobre 2013).
- ^ Tito Livio, Ab Urbe condita libri, VIII, 22, 5.
- ^ William V. Harris ed Elio Lo Cascio (a cura di), Noctes Campanae. Studi di storia antica e archeologia dell'Italia preromana e romana in memoria di M. W. Frederiksen, Napoli, Luciano edit., 2005, pp. 50-51.
- ^ Millennial variability of rates of sea-level rise in the ancient harbour of Naples (Italy, western Mediterranean Sea) (PDF), su Ancientportsantiques.com, 2019, p. 3. URL consultato il 18 febbraio 2024.
- ^ Apollonio Rodio, Argonautiche, IV, 890-912.
- ^ A. Lazzarini, Neapolis: civiltà, tradizioni, miti e leggende di Partenope, Tavernier, 1998, pag. 104.
- ^ Ovidio, Metamorfosi, V, 51.
Bibliografia
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