Sydney Pollack

regista statunitense

Sydney Irwin Pollack (Lafayette, 1º luglio 1934Pacific Palisades, 26 maggio 2008) è stato un regista, attore e produttore cinematografico statunitense, appartenente alla schiera dei registi della New Hollywood.

Sydney Pollack alla Metropolitan Opera House nel 2006
Statuetta dell'Oscar Oscar al miglior film 1986
Statuetta dell'Oscar Oscar al miglior regista 1986

Fu attivo, da un lato, nella promozione di nuovi talenti cinematografici, dall'altro, nella preservazione dei capolavori del passato: è stato membro fondatore sia del Sundance Institute di Robert Redford, sia della Film Foundation di Martin Scorsese.

Biografia

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Pollack nacque a Lafayette, nell'Indiana, nel 1934 in una famiglia ebraica ashkenazita d'origini russe[1], figlio di David Pollack, un farmacista ed ex pugile semiprofessionista, e di Rebecca Miller[1]. Crebbe a South Bend (Indiana), dove si era stabilito da bambino al seguito dei genitori, che successivamente finirono per separarsi. Sua madre, un'alcolizzata sofferente inoltre di disturbi emotivi, morì all'età di 37 anni, quando Sydney ne aveva 16.[2]

Gli inizi in televisione

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Trasferitosi dall'Indiana a New York, studiò recitazione al Neighborhood Playhouse con Sanford Meisner, di cui diventò assistente insegnando per sette anni arte drammatica. Per il Playhouse ricoprì anche ruoli come attore in alcuni allestimenti teatrali off-Broadway, distinguendosi abbastanza per essere chiamato a recitare in alcune serie televisive.

John Frankenheimer, uno dei nomi più importanti della prima generazione di registi televisivi passati al cinema, lo diresse in alcuni drammi hemingwayani e nel 1960 lo chiamò a Hollywood per affidargli la regia di alcuni film televisivi. Diresse episodi di diverse serie, ottenendo anche un premio Emmy, e si permise uno sperimentalismo inaudito per la televisione dell'epoca con Something About Lee Wiley, su una cantante blues anni trenta.

In questo periodo conobbe alcune persone chiave della sua futura carriera: in televisione lavorò con David Rayfiel, che sarà il suo sceneggiatore abituale; sul set di Il giardino della violenza (1961) di Frankenheimer, dove lavorò come ripetitore di dialoghi, incontrò Burt Lancaster, che due anni dopo lo chiamerà per supervisionare il doppiaggio americano di Il Gattopardo di Visconti (benché Pollack non credesse alla validità del doppiaggio in quanto tale) e sarà la star dei suoi primi film; sul set di Caccia di guerra di Denis Sanders esordì come attore cinematografico insieme a Robert Redford, che diventerà l'interprete simbolo di tutta la sua carriera registica.

I primi film per il cinema

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Quando la Paramount gli offrì l'occasione di dirigere un film per il grande schermo, Pollack colse al volo l'occasione di concretizzare la sua maggiore aspirazione, lasciare la televisione per il cinema, pur sapendo di non poter avere il pieno controllo sul progetto. Il suo film d'esordio, La vita corre sul filo (1964), è un dramma familiare di chiaro stampo televisivo, che si rivelò un discreto successo di pubblico, ma fu anche l'unico proprio film che il regista affermò di non amare[3].

Il successivo Questa ragazza è di tutti (1966) è quello che si può considerare il suo primo vero film, un melodramma di origine teatrale alla Elia Kazan, con Natalie Wood, che costò tre volte più del precedente ed ebbe molto meno successo[4]. Fu anche l'inizio del fortunato sodalizio artistico con Robert Redford. Durante l'estate dello stesso anno venne chiamato per terminare le riprese di Un uomo a nudo a causa della dipartita del regista Frank Perry. Il film verrà distribuito nelle sale solo nel 1968.

In seguito affrontò due generi classici, il western e il film bellico, rispettivamente con Joe Bass l'implacabile (1968) e Ardenne '44, un inferno (1969), dei quali Burt Lancaster era l'interprete principale. In entrambi i casi, rispettò le forme e le figure canoniche del genere, ma riuscì a esprimere un approccio molto personale. Il primo è un western farsesco, che affronta in modo inedito il problema razziale, mettendo in scena sia l'indiano sia il nero, ma è completamente privo delle pretese e della retorica delle molte, più celebri riletture del genere di quegli anni, quali Soldato blu, Piccolo grande uomo, La ballata di Cable Hogue, I compari. Il secondo è uno strano film di guerra, sul tema della cultura contrapposta alla violenza, onirico, dalla forte stilizzazione figurativa.

Questa prima fase di maturazione culminò in un capolavoro, il dramma della disperazione Non si uccidono così anche i cavalli? (1969), che lo impose all'attenzione generale come una delle personalità più interessanti del rinnovamento hollywoodiano. Il film ottenne ben nove candidature agli Oscar, compresa quella per il miglior regista, ma fu l'anno del trionfo per John Schlesinger e il suo Un uomo da marciapiede, titolo fondamentale della New Hollywood.

Gli anni settanta

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Il nuovo decennio si aprì per Pollack con il western Corvo rosso non avrai il mio scalpo! (1972), presentato in concorso a Cannes, «uno dei contributi più significativi nella revisione del genere»[5], e si chiuse con una variazione di ambientazione moderna dello stesso genere, Il cavaliere elettrico (1979), nuovamente interpretato da Redford, stavolta affiancato da Jane Fonda. Entrambi i film sono caratterizzati da una celebrazione del mito della Natura piuttosto insolita per il "nuovo cinema americano", a dimostrazione di una personalità autoriale che lo distanziava dai colleghi movie brats.

In mezzo, altri quattro titoli, fra cui spiccano il nostalgico affresco storico-sentimentale Come eravamo (1973) che, malgrado i pesanti rimaneggiamenti, risultò un efficace veicolo divistico per l'insolita coppia formata da Redford e Barbra Streisand, ottenne due Oscar (su sei candidature) e diventò una delle storie d'amore più celebri del cinema americano (sesta nella classifica dell'American Film Institute del 2002), l'avvincente thriller politico I tre giorni del Condor (1975), che dimostrò chiaramente l'adesione di Pollack allo "spirito dei tempi" (è dell'anno prima l'analogo Perché un assassinio di Alan J. Pakula), e il violento noir Yakuza (1974), dall'originale ambientazione giapponese, scritto da quel Paul Schrader che darà il suo apporto maggiore al cinema di quegli anni con la sceneggiatura di Taxi Driver (1976) di Martin Scorsese. Il risultato meno convincente di questo periodo fu il mélo Un attimo, una vita (1977), con Al Pacino.

A partire da Yakuza si impegnò direttamente nella produzione dei propri film, per difendersi dalle tensioni con gli studios, e dal decennio successivo produsse regolarmente lavori diretti da altri, attraverso la Mirage Productions.

Gli anni ottanta

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Dopo aver diretto Diritto di cronaca (1981), sugli eccessi della stampa, che poté vantare l'ennesima star di prima grandezza del suo cinema, Paul Newman, l'anno successivo Pollack decise di cimentarsi per la prima volta nella commedia romantica con Tootsie (1982), film ambientato nel mondo dello spettacolo, brillantemente interpretato da Dustin Hoffman e Jessica Lange, che a sorpresa si rivelò un successo clamoroso: ottenne addirittura dieci candidature agli Oscar (comprese quelle per miglior film e regista), anche se solo una (quella alla Lange come la miglior attrice non protagonista) si tramutò in statuetta (a causa dell'ostacolo insormontabile costituito dal kolossal impegnato Gandhi di Richard Attenborough), ma soprattutto incassò 177 milioni di dollari negli Stati Uniti, secondo solo al blockbuster E.T. l'extra-terrestre di Steven Spielberg nella stagione cinematografica 1982[6][7]. A dimostrazione che non si trattava di un fenomeno stagionale e di breve durata, nel 2000, a distanza di quasi vent'anni l'American Film Institute nella sua classifica delle migliori cento commedie statunitensi lo pose in seconda posizione, superato solo dall'indimenticabile A qualcuno piace caldo di Billy Wilder.

I crediti di stima artistica e di fiducia nelle sue potenzialità commerciali, accumulati con un simile successo, gli permisero di ottenere un budget di oltre trenta milioni di dollari[8] per realizzare un kolossal vecchio stile, alla David Lean, La mia Africa (1985). Il film non fu particolarmente apprezzato dalla critica, ma fu accolto da un vasto successo di pubblico (con 87 milioni di dollari fu il quinto incasso stagionale negli Stati Uniti, mentre a livello internazionale superò i 128 milioni)[8][9] e trionfò agli Oscar, conquistando sette premi su undici candidature (a scapito di Il colore viola di Steven Spielberg).

Gli anni novanta

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Il suo ritorno alla regia, dopo cinque anni, con Havana (1990), fu un insuccesso di critica e pubblico. Nella stessa stagione riuscì però a rifarsi nelle vesti di produttore, con il giallo processuale Presunto innocente (1990), diretto da Alan J. Pakula, tratto da Scott Turow, che superò i duecento milioni di dollari a livello internazionale, fra i migliori dieci incassi dell'anno[10]. Traendone un'utile lezione, si cimentò a sua volta con l'adattamento per il grande schermo da un maestro del thriller legale letterario, John Grisham, e ritrovò il grande successo: Il socio (1993), realizzato con assoluta professionalità ma privo della personalità di un tempo, costruito su misura per il divo Tom Cruise, incassò 158 milioni di dollari negli Stati Uniti (quarto posto stagionale)[11] e 270 nel mondo (quinto posto stagionale)[12].

Ma, di nuovo, dopo essere tornato ai vertici delle classifiche, ebbe una battuta d'arresto con Sabrina (1995), remake dell'omonima commedia sentimentale di Billy Wilder, infelice tanto nelle intenzioni quanto nel risultato. Di medio successo il film successivo, Destini incrociati (1999), che tuttavia non lo liberò dalla temporanea impasse creativa e commerciale.

Gli anni duemila

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Si rifece pertanto partecipando come attore a diversi film come Mariti e mogli (1992), Eyes Wide Shut (1999), Ipotesi di reato (2002), Un po' per caso, un po' per desiderio (2005), Michael Clayton (2007), Un amore di testimone (2008) e telefilm come Frasier, Innamorati pazzi, Will & Grace, I Soprano. Nel 2005, dopo la pausa più lunga della sua carriera, tornò alla regia con il thriller politico The Interpreter e con il primo documentario della sua carriera, Frank Gehry - Creatore di sogni, sul celebre architetto e suo amico personale.

Morì il 26 maggio 2008 nella sua abitazione di Pacific Palisades, vicino a Los Angeles a causa di un cancro allo stomaco[13].

Vita privata

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Sostenitore del Partito Democratico statunitense[14], nel 1958 si sposò con l'attrice Claire Griswold, da cui ebbe tre figli: Steven (1959-1993); Rebecca (1963); Rachel (1969). Suo figlio Steven morì nel 1993 a 34 anni per un incidente aereo, mentre sua figlia Rebecca fu vicepresidente nelle produzioni cinematografiche negli anni novanta.

Filmografia

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Regista

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Televisione

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  • The Wrecker (1962) Episodio della serie Target: The Corruptors
  • The Big Trouble with Charlie, For the Ladybug One Dozen Roses, Monument to an Aged Hunter, When You See an Evil Man, The Night That Nothing Happened (1962) Episodi della serie Ben Casey
  • I'll Be Alright in the Morning, A Cardinal Act of Mercy: Part 1, A Cardinal Act of Mercy: Part 2, For This Relief, Much Thanks, Suffer the Little Children (1963) Episodi della serie Ben Casey
  • Kill or Be Killed (1963) Episodio della serie The Defenders
  • The Black Curtain (1963) Episodio della serie L'ora di Hitchcock (The Alfred Hitchcock Hour)
  • Solo for B-Flat Clarinet (1963) Episodio della serie Breaking Point
  • Something About Lee Wiley (1963) Episodio della serie Bob Hope Presents the Chrysler Theatre
  • Man on a String (1964) Episodio della serie Il fuggiasco
  • Question: What Became of the White Tortilla? Episodio della serie Slattery's People
  • Two Is the Number, Murder in the First (1964) Episodio della serie Bob Hope Presents the Chrysler Theatre
  • The Watchman, The Last Clear Chance (1964) Episodio della serie Bob Hope Presents the Chrysler Theatre
  • The Fliers, The Game (1965) Episodio della serie Bob Hope Presents the Chrysler Theatre

Produttore

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Attore (parziale)

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Televisione

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Doppiatori italiani

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Nelle versioni in italiano delle opere in cui ha recitato, Sydney Pollack è stato doppiato da:

Da doppiatore è sostituito da:

Riconoscimenti

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  1. ^ a b Geoffrey MacNab, The secret of my success?, in The Guardian, London, 14 agosto 2002. URL consultato il 29 maggio 2008.
  2. ^ Dennis McLellan, Sydney Pollack: 1934–2008, Prolific director known for A-list casts, in SFGate, 27 maggio 2008. URL consultato il 15 ottobre 2020.
  3. ^ La Polla 1978, p. 15
  4. ^ La Polla 1978, p. 23
  5. ^ Il Mereghetti - Dizionario dei Film 2000, p. 441
  6. ^ (EN) IMDb - Box Office/Business for Tootsie, su imdb.com. URL consultato il 3 novembre 2017.
  7. ^ (EN) Box Office Mojo - 1982 DOMESTIC GROSSES, su boxofficemojo.com. URL consultato il 3 novembre 2017.
  8. ^ a b (EN) IMDb - Box Office/Business for Out of Africa, su imdb.com. URL consultato il 3 novembre 2017.
  9. ^ (EN) Box Office Mojo - 1985 DOMESTIC GROSSES, su boxofficemojo.com. URL consultato il 3 novembre 2017.
  10. ^ (EN) Box Office Mojo - 1990 WORLDWIDE GROSSES, su boxofficemojo.com. URL consultato il 3 novembre 2017.
  11. ^ (EN) Box Office Mojo - 1993 DOMESTIC GROSSES, su boxofficemojo.com. URL consultato il 3 novembre 2017.
  12. ^ (EN) Box Office Mojo - 1993 WORLDWIDE GROSSES, su boxofficemojo.com. URL consultato il 3 novembre 2017.
  13. ^ È morto il regista Sidney Pollack, su Corriere della Sera, 27 maggio 2008. URL consultato il 3 novembre 2017.
  14. ^ (EN) NEWSMEAT - Sydney Pollack's Federal Campaign Contribution Report, su newsmeat.com. URL consultato il 3 novembre 2017 (archiviato dall'url originale il 18 gennaio 2013).

Bibliografia

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  • Franco La Polla. Sydney Pollack. Firenze, La Nuova Italia, 1978.
  • Sydney Pollack. Cineasta e gentiluomo, a cura di Franco La Polla. Torino, Lindau, 1997. ISBN 88-7180-130-X

Altri progetti

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Collegamenti esterni

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