Utente:Margherita/sandbox 4
«"La storia letteraria di un popolo non è già un elenco delle opere scritte nella lingua nazionale; ovvero una successione di giudizi estetici e di biografie di autori: è invece la rappresentazione della vita spirituale del popolo rintracciata nei canti e nelle funzioni dei suoi poeti, nella meditazione e nelle memorie dei suoi sapienti, insomma nella sua letteratura la quale riflette perciò le vicende della civiltà e l'opera dei fattori che agirono in questa" - Natalino Sapegno[1]»
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La storia della letteratura italiana nasce nel Duecento, o secolo XIII, quando nelle diverse regioni della penisola italiana si iniziò a scrivere in italiano con finalità letterarie.
Come scrive Giuseppe Petronio[2]"Il carattere distintivo che ci permette di parlare di una letteratura italiana è la lingua"
Le Origini
modifica«...sarebbe impossibile determinare un momento in cui il latino abbia cessato di essere la lingua comunemente usata dal popolo e abbia ceduto il posto alle lingue nuove: sia perché tale trapasso dovette svolgersi diversamente e in diversi tempi nei differenti luoghi, sia perché soprattutto è assurdo scientificamente parlare del nascimento di una linguaggio, il quale non nasce mai e non muore bensì continuamente si trasforma". - Natalino Sapegno [3]»
In Italia infatti vi erano già state precedentemente due letterature: quella latina o romana e quella medievale o mediolatina.
L'Italia nel periodo romano e la letteratura latina
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Nell'VIII secolo avanti Cristo Roma aveva iniziato ad espandersi conquistando, nel corso di alcuni secoli, le varie regioni della penisola italiana, abitate da popoli differenti sia per lingua che per razza, unificandoli e dando così l'avvio ad una letteratura latina che produsse grandi scrittori tra i quali Lucrezio, Catullo, Cicerone, Virgilio, Orazio, Livio, Ovidio e [[Tacito
Ma qualche secolo dopo Cristo l' Impero romano iniziò progressivamente a decadere e nel territorio penetrarono popolazioni di razze diverse, prevalentemente di origine germanica, che i Romani chiamarono barbari. Questo portò allo sfasciarsi dell'impero che si divise in diversi stati con storie separate, anche se alcuni di essi rimasero legati tra di loro, sia per il fatto di parlare la lingua latina, sia per il fatto di aver aderito alla religione del Cristianesimo.
L'Italia nel periodo medievale e la letteratura medievale
modificaCon la detronizzazione dell'ultimo imperatore romano, nel 476 a.C., il potere passò a un re barbarico e l'Italia venne soggiogata dai germanici fino al 553 quando, con la battaglia del Vesuvio, l' Impero romano d'Oriente, costituito dai Bizantini, riuscì a rioccupare una parte dell'Italia. Nel 568 però, con la discesa in Italia dei Longobardi, che riuscirono a conquistare un'altra parte della penisola, si assistette ad una divisione politica, amministrativa e linguistica.
In questo periodo la cultura della penisola italiana, sia a causa delle condizioni economiche che si erano notevolmente abbassate, sia per le invasioni barbariche e altre cause, si abbassò notevolmente e la lingua iniziò una evoluzione diversa a secondo delle regione e dei differenti strati sociali.
Da una parte ci sono le persone colte, i cosidetti chierici appartenenti al clero e in grado di leggere e di scrivere, che continuaro a parlare, e anche a scrivere, in latino e dall'altra le persone non colte, i laici, che, incapaci di leggere e di scrivere, utilizzavano dialetti che avevano una origine latina ma che col passare del tempo si andavano da essa sempre più allontanandosi e diversificandosi.
Nacque così in Italia una letteratura nuova composta in latino medievale o mediolatino che rispecchiava la nuova civiltà: la civiltà medievale.
Come scrive Alberto Asor Rosa[4]"...è dall'intera maturazione di questa (con tutti i fenomeni linguistici, ideologici e sociologici che l'accompagnano e ne derivano) che si produce a un certo punto una nuova cultura fondata essenzialmente sull'uso dei linguaggi volgari".
L'Italia del periodo comunale e le letterature in volgare
modificaCon la ripresa economica che si manifestò dopo il Mille e che vide la nascita delle città, nacquero dei nuovi ceti cittadini appartenenti agli artigiani, ai mercanti o agli industriali, che, pur essendo laici, sentivano il bisogno di possedere una cultura e di esprimersi in modo letterario. Costoro pertanto iniziarono ad utilizzare i loro dialetti di origine latina, i volgari per rivolgersi non solamente ai chierici, ma a tutti i laici che erano in grado di comprendere il volgare, spesso se letto o recitato da altri.
I primi scritti in volgare sono di carattere religioso nei quali si obbligano gli ecclesiastici a rivolgersi ai fedeli, nel corso delle prediche, nella loro stessa lingua come viene stabilito da Carlo Magno nell'813 durante il Concilio di Tours e spesso formule di giuramenti come il Giuramento di Strasburgo del 14 febbraio dell'842, quando si assistette al giuramento di Carlo il Calvo e Ludovico il Germanico davanti ai propi eserciti, il primo in francese antico e il secondo in francone.
Dalla letteratura latina a quella italiana
modificaPer quanto riguarda l'Italia non è facile indicare con precisione l'inizio di questo nuovo processo anche se dal secolo VIII si possono trovare già testi che utilizzano per iscritto il volgare. Alberto Asor Rosa riferisce che nel 1189 si era recato presso la chiesa delle Carceri di Padova il patriarca di Aquileia per tenere un sermone in latino che venne prontamente tradotto ai fedeli presenti in lingua volgare.[5]
Si è quindi propensi a pensare che la lingua volgare, già dall'VIII secolo al XII fosse utilizzato in modo sempre più frequente non solo per uso pratico ma anche per usi che dimostravano l'esigenza di esprimere un bisogno letterario.
I primi documenti
modificaTra i documenti più antichi che dimostrano questa esigenza vi è in primo luogo un semplice indovinello, l' Indovinello veronese, composto da quattro brevi versi che vennero scoperti nel 1924 in un Codice della Biblioteca Capitolare di Verona verso la fine del secolo VII e l'inizio del IX, dove l'atto dello scrivere, ripreso dalla letteratura scolastica del secolo VIII, viene paragonato all'atto del seminatore che sparge nei solchi il seme nero su un prato bianco.
«Se pareva boves, alba pratalia araba. - albo versorio teneba, negro semen seminaba [6]»
Tra i primi documenti nei quali il volgare assume carattere di linguaggio già ufficiale e colto sono quattro testimonianze giurate che riguardono certe controversie sull'appartenenza di alcuni lotti di terreno ai benedettini del monastero di Capua, di Sessa e di Teano che vennero registrate tra il 960 e il 963, noti come i quattro placiti cassinesi.
Le formule usate in queste testimonianze sono la ripetizione di quanto preparato in precedenza dal giudice in testo latino e in seguito stilate in volgare perché esse fossero comprese dai tutti i presenti al giudizio. Tra questi vi è quello che il Natalino Sapegno [7], chiama il placito capuano[8] Il critico scrive:"In un placito capuano del 960 è riprodotta la formula pronunciata dai testimoni in una lite di confini tra il monastero di Montecassino e tal Rodelgrino d'Aquino:"Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte Sancti Benedicti".[9]
Così, a poco a poco, con il passare del tempo i documenti di questo genere, e non solo, diventano sempre più frequenti, come i libri di memorie contabili, i tre versi inseriti in un dramma scritto in latino sulla Passione, una iscrizione sulla facciata della chiesa di San Clemente a Roma dove il servitore riferisce parole in volgare e il santo in latino, un privilegio sardo e una confessione di origine marchigiana o umbra tutti appartenenti al secolo XI.
Del XII secolo ci è poi pervenuta una carta di origine calabrese e una scritta piuttosto semplice formata di quattro endecasillabi che si poteva leggere , nel Duomo di Ferrara "Li mille cento trenta cenqe nato - fo questo templo a San Gogio donato -da Glelmo ciptadin per so amore - e mea fo l'opra. Nicolo scolptore", come riporta il Sapegno in note[10]
Al XIII secolo risalgono poi dei frammenti d'un manoscritto appartenente a certi banchieri fiorentini e, sempre in Toscana, seguono altri documenti che riguardano questioni di interessi privati o appartenenti a istituzioni pubbliche.
Uso del volgare e suo uso letterario
modificaPer queste prime testimonianze in volgare bisogna tener conto che"...il volgare, che passa nelle scritture e diventa a poco poco lingua letteraria, non è il linguaggio del popolo così come questo direttamente lo parla, ma è quello stesso linguaggio come una persona colta, e che generalmente sa di latino, lo tratta e lo sistema, perché sia comprensibile al popolo ma al tempo stesso abbia la dignità grammaticale e stilistica di stare accanto al latino".[11]
Per trovare, in Italia, testi a carattere propriamente letterario in un volgare solido bisogna risalire intorno alla metà del XII secolo con il Ritmo laurenziano ritrovato in un codice della Biblioteca Mediceo Laurenziana di Firenze, che consiste nella cantilena di un giullare toscano, o al Ritmo su Sant'Alessio trovato nelle Marche nel secolo XIII [12]
Le lingue romanze
modificaIl passaggio delle nuove lingue volgari da documenti stilati per fini pratici a mezzo letterario nel senso concreto del termine, avviene lentamente e, in Italia, più tardi che altrove.
Per questo motivo si fanno risalire alle origini della letteratura italiana quei testi letterali romanzi già nati nel X - XI secolo nella Francia settentrionale e, a partire dalla metà del secolo XI, quei testi provenzali sorti nella Francia meridionale.
La lingua d'oc
modificaIn Provenza era infatto già nata una letteratura in lingua d'oc che si era rapidamente diffusa in quelle regioni territorialmente più vicine, come la Liguria, il Piemonte, la Lunigiana, la Marca Trevigiana, facendo nascere poesie improntate ai temi provenzali e in lingua provenzale, da parte di autori italiani com il genovese Lanfranco Cigala, il veneziano Bartolomeo Zorzi e Sordello da Goito che sarà nominato da Dante nel Canto VI del Purgatorio.
La lirica provenzale
modificaNotevole importanza ebbe in Italia l'influsso della lirica provenzale, essenzialmente di carattere amoroso e di contenuto povero e monotono composta con grande e faticoso artificio di stile che veniva appunto chiamata "Art de trobar".
Le liriche dei poeti provenzali, come Bertrand de Born e Jaufré Rudel giunsero così in Italia per essere raccolte in fiorilegi da dedicare per diletto ai signori delle corti italiane.
Durante la Crociata contro gli Albigesi del 1209 molti trovatori si rifugiarono in Italia soggiornando presso diverse corti italiane e tra i più noti si ricorda Sordello da Goito che, visse a lungo a Verona e a Treviso e poi, dopo essere ritornato in Provenza, rientrò con Carlo d'Angiò in Italia. A lui si deve il famoso Compianto per la morte di ser Blacatz, un noto feudatario di Provenza, dove trova l'occasione per rivolgere una feroce satira politica ai maggiori sovrani del tempo.
La lingua d'oil
modificaAnche nella zona settentrionale della Francia era già sorta una letteratura in lingua d'oil, dalla quale vennero assimilati dagli scrittori italiani i francesismi e i motivi.
I due cicli francesi più famosi furono il ciclo carolingio e il ciclo bretone.
Il ciclo carolingio era formato da canzoni, dette chansons de geste (canzoni di gesta) che narravano le grandi imprese dei paladini di Carlo Magno e delle sue battaglie contro i Mori per difendere la Francia. Soprattutto la Chanson de Roland, che narra la sconfitta a Roncisvalle dei paladini dell'imperatore tra cui Orlando sarà presto conosciuta in Italia e in seguito ripresa con grandi sviluppi poetici come nell' Orlando innamorato del Boiardo e nell' Orlando Furioso di Ludovico Ariosto.
Nel ciclo bretone venivano invece narrate le imprese dei cavalieri della tavola rotonda che si riunivano in Bretagna intorno al re Artù. Questi racconti leggendari ebbero molto successo in Italia dove si diffusero rapidamente e si ritroveranno nei secoli futuri in tanti dei motivi della nostra letteratura di novelle e romanzi.
Accanto a questi due cicli se ne formò un terzo detto dei Ciclo dei cavalieri antichi che riprese gli eroi dell'antichità, come Enea, Cesare, Alessandro e altri grandi, trasformando le loro imprese secondo la concezione medioevale e cortese.
I troveri[13], che erano i poeti autori che componevano le storie leggendarie e i poemi e li cantavano sulla viola, insieme ai giullari, tipici personaggi della vita medievale. "...cantori e saltimbanchhi,, buffoni, avventurieri e professionisti della letteratura e della penna.... giravano di corte in corte, di città in città, di mercato in mercato e ben presto si diffusero in Italia.Mario Sansone [14]
In Italia, i poemi carolingi vennero così tradotti, imitati e rielaborati sia in prosa che in versi. Si possono ritrovare, ad esempio, nella biblioteca Marciana di Venezia alcuni poemi scritti in una linguaggio piuttosto rozzo, misto di francese e di veneto, che narrano le avventure di Buovo d'Antona, della madre di Carlo Magno, Berta, di quando Carlo era giovane, di Uggieri il Danese e di altri, nel tentativo di riscrivere i poemi di Francia in una lingua franco-veneta o franco-italiana.
Spesso però gli scrittori italiani usavano la lingua francese, quella d'oc, per rielaborare la materia del ciclo carolingio, come per il poema scritto in francese da uno sconosciuto padovano, l' "Entrée d'Espagne'", e la "Prise de Pampelune" di Niccolò da Verona ambedue appartenenti al secolo XIV.
A Rustichello da Pisa, dobbiamo un romanzo, conosciuto col titolo "Roman de Roi Artus" (Il romanzo di re Artù) scritto in francese, che narra le avventure di Tristano e ad altri scrittori rimasti sconosciuti leggende e racconti rielaborati su materiale brettone, come il "Tristano Riccardiano" il cui manoscritto si trova nella biblioteca Riccardiana di Firenze, la "Tavola Rotonda" e la "Storia di Merlino" scritti in lingua volgare.
Non solo il materiale del ciclo carolingio e di quello brettone vennero ripresi e diffusi in Italia, ma anche quello dei Cavalieri antichi di cui si ricorda l' "'Historia destructionis Troiae", probabilmente scritta in latino dal poeta appartenente alla scuola siciliana Guido delle Colonne nel 1287, e la "Storietta troiana" di un anonimo tratte dal "Roman de Troie" di Benedetto di Sainte-Môre risalente al XII secolo oltre "I fatti di Cesare" di scrittore anonimo appartenente al secolo XIII e i "Canti di antichi cavalieri" dove si narra di Scipione, di Fabrizio, Pompeo e del Saladino.
La letteratura allegorico-didattica
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Anche un'altro tipo di letteratura, quella di carattere enciclopedico e allegorico, nata in Francia già nel XII secolo con il poema Viaggio della saggezza. Anticlaudianus. Discorso sulla sfera intelligibilel del filosofo Alano di Lilla, giunge in Italia con i suoi modelli, come il famoso Roman de la Rose che nelle due parti composte tra il 1230 e il 1280 circa da Guillaume de Lorris e Jean de Meun narrano, con abbondanti figure simboliche e azzardate personificazioni, le vicende del sentimento amoroso nei suoi vari e drammatici aspetti. L'influsso del Roman si avverte in tutte le opere allegorico-didattiche antiche scritte in volgare. Dal Roman, famoso è il rifacimento del fiorentino Durante, che alcuni vollero identificare nello stesso Dante Alighieri, realizzato in 232 sonetti in volgare italiano verso la fine del secolo XIII e il frammentario intitolato Detto d'Amore che riescono a trasformare il poema francese liberandolo dagli schemi scientifici e tecnologici rendendolo più ricco di spunti amorosi e satirici.
La letteratura didattica e morale
modificaNel XIII secolo, collegata alla tendenza religiosa e didattica che aveva fatto nascere le grandi opere dette summae, vedono la luce anche alcuni componimenti in volgare veneto e lombardo molto significativi per chiarire la cultura comune del tempo e che "esprimono nel loro insieme il tentativo di un innalzamento dei dialetti settentrionali, veneto-lombardi, ad espressione letteraria"[15]
Alla prima metà del secolo appartiene una raccolta di massime morali e sentenze, lo Splanamento de li proverbi di Salomone, composta da Gherardo Patecchio di Cremona in versi alessandrini e, dello stesso autore, una canzone in endecasillabi dal titolo le Noie dove vengono elencati tutti gli avvenimenti spiacevoli della vita.
Nella seconda metà del secolo Fra' Giacomino da Verona scrive due poemi in versi alessandrini: il De Babilonia civitate infernali e il De Jerusalem celesti dove vengono elencate rispettivamente le pene dell'Inferno e le gioie del Paradiso.
Tra gli scrittori di questo periodo vi fu il maestro di grammatica Bonvesin de la Riva che compose molte opere sia in volgare che in latino. Tra le più note scritte in latino si ricorda il De Magnibus urbis Mediolani, una sintetica storia di Milano, e in volgare il "Libro delle Tre Scritture": la Nigra, la Rossa e la Dorata, un poemetto dove vengono narrate le dodici pene dell'Inferno, la Passione di Cristo e le glorie del Paradiso. Egli scrisse anche dei Contrasti dove pone a confronto la Vergine e Satana, la mente e il corpo, la viola e la rosa, il Trattato dei mesi dove Gennaio, con la sua pigrizia, viene confrontato con l'operosità degli altri mesi dell'anno e un poemetto sulle buone maniere da tenere a tavola intitolato Cortesie da desco.
La letteratura religiosa
modificaContemporaneamente a questi componimenti dell' Italia settentrionale, nasce, soprattutto in Umbria, una letteratura in versi a carattere religioso scritta nei vari dialetti locali per lo più anonima.
Le laude
modificaTra i più importanti generi della letteratura religiosa vi sono le laude, componimenti che cantavano le lodi dei Santi, di Cristo e della Madonna, e che vengono spesso raccolte in manoscritti chiamati "laudari" (raccolte di laude) per le Confraternite religiose.
Si tratta spesso di laude scritte sotto forma di dialogo con carattere di dramma sacro che venivano recitate in ricorrenze religiose di una certa importanza con l'accompagnamento musicale.
Le laude di questo periodo sono quasi tutte anonime e vengono soprattutto dalla Toscana dall'Umbria, dalle Marche, dal'Abruzzo e dall'Italia settentrionale e conservano, nella povertà della loro struttura sintattica, un carattere molto semplice ma estremamente sincero.
Vengono narrati gli episodi del Vangelo di maggior effetto, come i miracoli di Gesù e della Vergine e la vita dei santi. Tra le descrizioni meglio riuscite e piene di religioso e commosso sentimento, vi è quella della Vergine che guarda in contemplazione il Bambin Gesù e il pianto della Madre ai piedi della Croce.
Le opere a carattere religioso furono quindi assai numerose in questo periodo ma quelle che si contraddistinguono per il loro carattere realmente poetico sono "Il Cantico di Frate sole" di San Francesco d'Assisi e le "Laude" di Jacopone da Todi.
San Francesco D'Assisi
modifica"La prima grande figura che incontriamo proprio sulla soglia della nostra letteratura del duecento è quella di San Francesco d'Assisi" come scrivono, sia Giuseppe Petronio[16] che Natalino Sapegno[17]
Di San Francesco ci sono giunte alcune operette latine e un cantico, scritto in volgare umbro, conosciuto come il Cantico delle Creature o "Il Cantico di Frate Sole", che può essere considerato il testo più antico della letteratura italiana.
Secondo Natalino Sapegno,[18] "il tipo di prosa ritmica e ritmata, che nella divisione irregolare dei versetti, sembra riecheggiare le forme della liturgia non trova rispondenza nella letteratura italiana contemporanea".
La letteratura francescana
modificaDopo la morte di San Francesco nacque una fiorente letteratura francescana che proseguì anche nel Trecento.
Le biografie dei santi
modificaEssa produsse numerose biografie del santo scritte in latino e presto tradotte in volgare. Si ricordano soprattutto di Tommaso da Celano la "Legenda prima" , che venne scritta per commissione del papa Gregorio IX nel 1229, la "Legenda secunda" e la "Legenda trium sociorum" redatta non come una vera biografia ma come una sequenza di episodi eccezionali, compiuti da San Francesco e dai suoi tre compagni (Leone, Rufino e Angelo), secondo il modello dei fioretti; lo "Speculum perfectionis", redatta da uno scrittore anonimo che è stato il primo a tramandarci "Il Cantico delle creature".
La seconda biografia del santo di carattere ufficiale è quella che scrisse San Bonaventura, intitolata "Legenda maior", per incarico dell' Ordine dei Frati Minori per arrivare agli "Actus beati Francisci et sociorum eius" di Ugolino di Monte Maria, considerati la prima fonte dei I Fioretti di San Francesco in volgare.
Il primo testo della letteratura francescana
modifica«Comandò allora Madonna Povertà che fossero imbanditi nelle scodelle cibi caldi. Ed ecco fu portata una sola scodella piena d'acqua fredda perché tutti vi attingessero il pane da Sacrum commercium sancti Francisci cum Domina Paupertate, autore ignoto [19]»
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Si deve ad un autore ignoto, che da alcuni critici viene individuato in Giovanni Parenti un opera scritta in forma di allegoria nel 1227 dal titolo "Sacrum commercium sancti Francisci cum Domina Paupertate" (Le mistiche nozze di San Francesco con madonna Povertà), opera che influenzò sia le future biografie del santo, sia autori come Giotto e Dante. Di Dante troviamo infatti nel canto XI del Paradiso il panegirico di San Francesco, dove vengono evidenziate le nozze del santo con la Povertà.
Jacopone da Todi
modificaSarà però con Jacopone da Todi e con il Pianto della Madonna, una lauda dialogata dal linguaggio misto di parole del volgare umbro e di latinismi e dalla metrica che ripropone i modelli della poesia dotta, che la poesia religiosa raggiunge il suo vero apice poetico.
La lirica popolare e giullaresca
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Nel XIII secolo fioriscono anche dei componimenti di carattere popolare che probabilmente servivano come accompagnamento alle danze durante le feste. Si tratta di poesie che trattano d'amore, di canti in forma dialogata tra una madre e una figlia che si deve sposare, di lamenti di giovinette che vogliono marito, di contrasti tra moglie e marito, tra suocera e nuora.
Alcune di queste poesie sono opera di giullari che, come scrive Sapegno,[20] "segnano il ponte di passaggio, a dir così, fra la letteratura di popolo e quella degli spiriti più colti e raffinati". Si tratta quindi per lo più di una letteratura anonima "sia sul piano anagrafico ( di molti componimenti non conosciamo l'autore) e sul piano culturale: manca infatti un particolare e individuale rilievo stilistico, le forme espressive sono stereotipate, convenzionali, ripetitive perché l'autore, per il successo della propria produzione, si basa soprattutto sull'invenzione, sulla trovata brillante e improvvisa, sulla battuta ad effetto".[21]
Il più antico tra i documenti di questa poesia giullaresca può essere considerata una cantilena toscana intitolata "Salv'a lo vescovo senato" che risale all'inizio della secoda metà del XII secolo composta in monorime di ottonari dove un giullare tesse in modo esagerato le lodi dell'arcivescovo di Pisa per avere un cavallo e il "Lamento della sposa padovana" risalente al XIII secolo. Si tratta di un frammento di autore anonimo scritto in volgare veneziano, dove una donna si lamenta per la mancanza del marito che sta combattendo alle crociate e fa l'elogio della sua fedeltà.
Un altro famoso componimento di carattere giullaresco, oltre al "Vanto" , scritta con la forma metrica della frottola da Ruggieri Apuliese che visse nella prima metà del Duecento, è il Contrasto "Rosa fresca e aulentissima" di Cielo d'Alcamo, contemporanea alla poesia siciliana, un componimento composto in dialetto meridionale dove un giovane innamorato e sfrontato fa proposte ad una giovane dapprima ritrosa e poi consenziente, che denota da parte dell'autore una buona dose di cultura.
La Scuola siciliana
modificaUna prima elaborazione di lingua letteraria da poter mettere in versi si ebbe al tempo di Federico II di Svevia in Sicilia dove l'imperatore, di ritorno dallaGermania dove aveva avuto modo di conoscere i Minnesänger tedeschi, aveva dato l'avvio, nel 1220-50 circa, alla Scuola siciliana, una vera scuola poetica che si ispirava ai modelli provenzali. I poeti di questa scuola "... scrivevano in un siciliano illustre, in un siciliano cioè nobilitato dal continuo raffronto con le due lingue, in quel momento auliche per eccellenza: il latino e il provenzale."[22]
A Jacopo da Lentini, notaio presso la corte di Federico II e probabile iniziatore della scuola, si attribuisce l'invenzione del sonetto e la teoria dell'amore, inteso come sentimento che nasce alla vista di una donna e che viene alimentato attraverso l'immaginazione, che sarà ripresa da tutta la lirica d'amore del Duecento, dai siciliani agli stilnovisti.
Tra i principali rappresentanti della scuola, che furono tutti funzionari della corte di Federico II, si ricorda, oltre Jacopo da Lentini, Pier della Vigna,Jacopo Mostacci, Percivalle Doria, Rinaldo d'Aquino, Guido delle Colonne, Ciacco dell'Anguillara, Stefano Protonotaro, Giacomino Pugliese, oltre lo stesso Federico e il figlio naturale Enzo di Svevia.
I poeti della scuola siciliana scrivevano canti improntati ai modelli della poesia provenzale che, nata presso le corti, esaltava l'amore come abitudine di gentilezza più che come sentimento immediato e prorompente. Costoro seguivano anche gli stessi schemi metrici di quel genere di poesia riproponendo il genere della canzone, della ballata, del serventese e del contrasto.
Nella storia della poesia, come scrive Mario Sansone "Non grande è l'importanza della scuola poetica siciliana, ma grandissima è la sua importanza nella storia della nostra cultura e nel formarsi della nostra lingua letteraria".[23]
La scuola toscana
modificaCon la morte di Federico II e del figlio Manfredi si assiste al tramonto della potenza sveva e anche l'esaurirsi della poesia siciliana. Dopo la Battaglia di Benevento l'attività culturale si sposta dalla Sicilia alla Toscana, dove nasce una lirica d'amore, la lirica toscana, non dissimile da quella dei poeti della corte siciliana.
Vengono così ripresi in Toscana i temi della scuola siciliana e le ricercatezze di stile e di metrica propria dei Provenzali con l'arricchimento dato dalle nuove passioni dell'età comunale.
La poesia dei poeti toscani viene così ad arricchirsi sia dal punto di vista tematico che linguistico anche se viene a mancare "quel livello di aristocrazia formale a cui i siciliani riescono generalmente a mantenersi"[24]
Fanno parte del gruppo dei poeti toscani Bonaggiunta degli Orbicciani da Lucca, Monte Andrea, il fiorentino Chiaro Davanzati, Compiuta Donzella e molti altri di cui il più noto è Fra Guittone dal Viva da Arezzo.
Guittone d'Arezzo
modificaIl caposcuola dei toscani viene considerato Guittone del Viva d'Arezzo, nato verso il 1235 ad Arezzo e morto nel 1294, nel quale si può cogliere, come osserva Asor Rosa[25]"...un concetto della funzione della poesia più articolato di quello praticato dai siciliani e, forse, dagli stessi provenzali".
Guittone ci ha lasciato una vasta raccolta di rime nelle quali si rispecchiano i suoi due diversi modi di vita. Si può così dividere la sua opera in due parti: la prima, dove imita i poeti della scuola siciliana ed è dedicata all'amore e alle armi, la seconda di contenuto religioso e morale.
A Guittone si deve il primo esempio di canzone politica scritta in seguito alla sconfitta che i guelfi fiorentini subirono nel 1260 a Montaperti per opera dei ghibellini nella quale, con il tono energico e veemente che si ritroverà in alcune pagine di Dante, egli lamenta la pace perduta utilizzando e alternando il sarcasmo con l'invettiva, l'ironia e lo sdegno.
Ma il vero poeta lo si deve cercare nelle sue rime di carattere religioso e specialmente nella laude, come in quella dedicata a San Domenico scritta con lo schema della ballata sacra da lui inventata.
Il Dolce Stil Novo
modifica«Il dolce stil novo va riportato, nella cultura, al sentimento che i poeti ebbero di una nuova poesia: sentimento vago, non ragionato pensiero. Va considerato come un'aura letteraria alimentata da una cultura sensibilissima ed eletta a forme elaborate ed eleganti, in una ispirazione meditata che ricerca la più intima voce dell'Amore, e cioè il senso riposto che sotto le parole è celato".[26]»
Tra la fine del XIII secolo e i primi anni del successivo nasce il Dolce Stil Novo, una nuova scuola poetica che, accentuando la tematica amorosa della lirica cortese, la conduce ad una maturazione molto raffinata.
Nata a Bologna e in seguito fiorita a Firenze, essa diventa presto sinonimo di alta cultura filosofica e questo, come giustifica Sansoni,[27]"...spiega perciò come i giovani poeti della nuova scuola guardassero con disprezzo, più che ai siciliani, ai rimatori del gruppo toscano, che accusavano di avere in qualche modo imbprghesita la poesia e di mancare di schiettezza e raffinatezza stilistica".
Il nome della nuova scuola si trae da Dante. Così afferma Natalino Sapegno[28]"E' noto che Dante, incontrando, in un balzo del suo Purgatorio, il rimatore Bonaggiunta Orbicciani, mentre ci offre il nome (da noi per convenzione ormai antica adottato) della scuola o gruppo letterario cui egli appartiene, definisce poi questo "dolce stil novo" uno scrivere quando Amore spira".
Infatti nel XXIV canto del Purgatorio Bonagiunta Orbicciani di Lucca si rivolge a Dante chiedendogli se si trattasse proprio di "colui che fuore/Trasse le nuove rime, cominciando/"Donne ch'avete intelletto d'amore" e Dante gli risponde senza dire il suo nome ma così definendosi:"Io mi son un che, quando/Amor mi ispira, noto; e a quel modo/Ch'e' ditta dentro, vo significando" ed è a questo punto che Bonagiunta risponde:"O frate, issa vegg'io...il nodo/Che il Notaro e Guittone e me ritenne/Di qua dal dolce stil novo ch'i' odo". [29]
I poeti del "Dolce Stil Novo" fanno dell'amore il momento centrale della vita dello spirito e possiedono un linguaggio più ricco e articolato di quello dei poeti delle scuole precedente.
La loro dottrina"toglieva all'amore ogni residuo terreno e riusciva a farne non un mezzo, ma il mezzo per ascendere alla più alta comprensione di Dio"[30]
L'iniziatore di questa scuola fu il bolognese Guido Guinizelli e tra gli altri poeti, soprattutto toscani, si ricordano i grandi come Guido Cavalcanti, Dante stesso, Cino da Pistoia e i minori come Lapo Gianni, Gianni Alfani, Dino Frescobaldi.
Guido Guinizelli
modificaConsiderato il fondatore del "dolce stil novo", di Guido Guinizelli non si hanno dati anagrafici certi. Egli viene riconosciuto da certi nel ghibellino Guido di Guinizello nato a Bologna tra il 1230 e il 1240, da altri con un certo Guido Guinizello, un podestà di Castelfranco Emilia.
Egli ci ha lasciato, con la canzone Al cor gentil rempaira sempre amore, quello che deve considerarsi il manifesto del "dolce stil novo" dove viene messa in evidenza l'identità tra il cuore nobile e l'amore e come la gentilezza stia nelle qualità dell'animo e non nel sangue. Egli riprende poi con accenti sublimi il concetto del paragone tra la donna con l'angelo, già valorizzato da Guittone d'Arezzo e da altri poeti precedenti.
Guido Cavalcanti
modificaNato a Firenze da una delle famiglie guelfe di parte bianca tra le più potenti della città, Guido Cavalcanti venne descritto dai suoi contemporanei "come cavaliere disdegnoso e solitario, tutto volto alla meditazione filosofica e quasi certamente seguace dell'averroismo" [31].
Fu amico di Dante Alighieri, che a lui dedicò la Vita Nova, e partecipò attivamente alla vita politica fiorentina sostenendo i Cerchi contro i Donati. Mandato in esilio a Sarzana il 24 giugno 1300 ritornò l'anno stesso in patria dove la morte lo colse alla fine di agosto del medesimo anno.
La canzone più famosa di Cavalcanti fu la teorica "Donna mi prega perch'io voglio dire", nella quale il poeta tratta dell'amore dandone una interpretazione di carattere averroista, come sostiene Mario Sansone,[32]. L'amore è per il Cavalcanti un "processo dell'intelligenza che dalla "veduta forma" della donna estrae l'idea della bellezza, già posseduta in potenza, e se ne compenetra".[33] e non è, come per il Guinizelli, beatificante ma estermamente terreno e dà più dolori che gioie.
La poesia comico-realistica
modificaAccanto alla lirica cortese un posto di rilievo va assegnato alla poesia comico-realistica, chiaramente antitetica alla contemporanea spiritualità stilnovista.
La storiografia letteraria ha coniato espressioni differenti per delineare una tendenza poetica caratterizzata dall'affrontare temi aderenti alla realtà e al quotidiano in chiave generalmente parodica: si parla di poesia borghese, poesia comico-realistica, poesia realistico giocosa. L'etichetta che indubbiamente risulta più esaustiva è "poesia comico-realistica" in quanto il binomio dà indicazioni sullo stile (comico, che i manuali di retorica contrapponevano a quello tragico. Lo stile comico consente l'uso del linguaggio triviale ed è adatto a trattare argomenti legati alla quotidianità e materialità) e sul contenuto (realistico).
Essa si sviluppò in Toscana ma ebbe il suo centro a Siena. Tra i poeti maggiori si ricordano Rustico di Filippo, Cecco Angiolieri e Folgore da San Gimignano.
È questa una corrente che si riallaccia ad una tradizione di derivazione mediolatina, quella della poesia goliardica che si era diffusa nel XII secolo in Francia, in Germania e in Italia, ma anche al fabliaux.
Essa si ispira a temi realistici (l'amore come vibrazione di sensi, la donna come creatura terrena) e a motivi anticortesi (l'esaltazione del denaro, del gioco, della taverna e del piacere). L'effetto parodico è appunto ottenuto dalla celebrazione dei valori opposti a quelli stilnovisti e cortesi. La donna non è figura angelica, spirituale; l'amore non è esperienza platonica, decarnalizzata ma l'amore è celebrato in quanto valore terreno, da consumarsi.
Anche il linguaggio è quello quotidiano con la ricerca della parola efficace e colorita assoggettato all'utilizzo del rinfaccio e del vituperium, con un frequente uso al discorso diretto e all'uso di un gergo che si può definire "furfantesco".
La letteratura in prosa
modificaPer quanto riguarda laprosa, gli scrittori del secolo XIII utilizzarono il volgare come i poeti ma in maggior misura il latino e il francese che consideravono lingue più adatte alla composizione letteraria.
Le prose dottrinali e morali
modificaCospicui sono gli scritti che vengono composti in volgare e in francese di carattere dottrinale e morale come il "Libro della composizione del mondo" del frate Ristoro d'Arezzo, una specie di moderno trattato di geografia e di astronomia,il "Liber de regimine rectoris" di fra' Paolino Minorita scritto in volgare veneziano seguendo il modello latino e francese che riporta suggerimenti di carattere morale per coloro che governano, il "Trésor" di Brunetto Latini scritto in francese e dello stesso autore il poema allegorico-didattico rimasto incompiuto intitolato il "Tesoretto".
Molte prose del Duecento sono in prevalenza tradotte dal francese e hanno carattere morale come i "Dodici canti morali", i "Disticha Catonis" e i trattati di Albertano da Brescia tradotti in volgare da Andrea da Grosseto e dal pistoiese Soffredi del Grazia. Una maggiore originalità si trova nell'antologia di Tommaso Gozzadini di Bologna, il "Fiore di virtù" e l'"Introduzione alla virtù" di Bono Giamboni.
Le prose retoriche
modificaDi più sicuro valore letterario sono alcune opere di carattere retorico che vedono un innalzamento della espressione letteraria e una certo sforzo artistico nel raffinare le forme dialettali come nella "Rettorica" di Brunetto latini, nel "Fiore di rettoricas "di Guidotto da Bologna e soprattutto le trentasei "Lettere" di Fra Guittone d'Arezzo, di carattere morale giudicate "notevoli perché Guittone mira in esse a fondare una prosa letteraria, basandosi sulla retorica medievale e applicando alla prosa volgare il cursus dello stile romano e i modi dello stile isidoriano"[34]
La novellistica
modificaFanno parte della novellistica e hanno uno stile linguistico di una certa originalità il Libro dei sette savi e il Novellino.
Il "Libro dei sette savi" è la traduzione volgarizzata dal francese di una raccolta composta da quindici novelle nata in India e in seguito tradotta e rielaborata in latino e in altre lingue orientali ed europee, mentre il Novellino o "Le cento novelle antiche" è una silloge di cento brevi novelle che contengono racconti biblici, leggende cavalleresche o di carattere mitologico scritte da un autore ignoto verso la fine del secolo.
La storiografia
modificaAnche nelle opere a carattere storiografico gli scrittori di questo periodo utilizzano la lingua francese insieme al volgare e seguono un modello tradizionale che era quello dellanarrazione di una città dalle origini, di solito leggendarie e a volte fantastiche che però possiedono vicende di un certo interesse storiografico. Ne è un esempio la "Cronique des Veniciens" di Martino da Canale redatta in francese che va dalle origini della città al 1275, la "Cronichetta pisana" scritta in volgare e la cronaca fiorenina di Ricordano Malispini che narra le origini leggendarie di Firenze e arriva fino all'anno 1281.
Tra le opere storiche si è soliti tenere in considerazione Il Milione di Marco Polo che narra i racconti di viaggio fatti in Estremo Oriente dal 1271 al 1295 e da lui dettati in francese a Rustichello da Pisa nel 1298 mentre ambedue erano prigionieri nel carcere di Genova.
Tra Duecento e Trecento: Dante Alighieri
modifica«Non v'è dubbio che (Dante Alighieri) rappresenti la sintesi suprema delle fondamentali tendenze spirituali ed artistiche di questa età[35]"»
Tutta la letteratura del secolo XIII viene sintetizzata nelle sue linee fondamentali da Dante Alighieri e, come scrive Giulio Ferroni[36], crea allo stesso tempo modelli determinanti per tutta la letteratura italiana. La sua formazione culturale e la sua prima esperienza di poeta del "dolce stil novo" si svolgono nell'ultimo scorcio del secolo XIII, ma la maggior parte delle sue opere (compresa la Commedia) vengono scritte nel primo ventennio del secolo XIV". "
Dante nacque a Firenze nel maggio del 1265 da una famiglia guelfa di modeste condizioni sociali anche se appartenente alla piccola nobiltà. Imparò l'arte retorica da Brunetto Latini e l'arte del rimare da autodidatta e la poesia rimarrà sempre il centro della sua vita.
«...e con ciò fosse cosa che io avessi già veduto per me medesimo l'arte del dire parola in rima, propuosi di fare un sonetto (da la Vita Nuova)»
Le prime poesie di Dante risentono dello stile guittoniano ma, dopo la conoscenza di Guido Cavalcanti, egli scoprì un nuovo modo di far poesia.
La "Vita Nuova"
modificaSecondo le indicazioni che Dante stesso ci ha lasciato nel "Convivio", egli compose la Vita Nuova nel 1293, tre anni dopo la morte di Beatrice.
E' questa un'opera in versi mista di prosa e poesia che contiene venticinque sonetti, quattro canzoni, una ballata ed una stanza oltre che alcune prose atte a spiegare il perché di certa divisione nelle poesie o a narrare i fatti che furono la causa della loro composizione. In essa Dante racconta il suo amore per Beatrice dal primo incontro sino agli anni che seguono la morte della donna.
Le "Rime"
modificaLe Rime contengono tutte quelle composizioni poetiche che ci sono pervenute senza un ordine preciso e in seguito ordinate dai critici moderni. Fanno parte delle rime poesie giovanili che risentono della scuola guittoniana o dell'influenza del Cavalcanti ma anche di carattere già personale e stilnovista e molte canzoni di carattere allegorico e didattico.
Il "Convivio"
modificaIl Convivio venne composto tra il 1304 e il 1307 e nelle intenzioni di Dante doveva consistere in un trattato enciclopedico composto da quindici libri dei quali uno d'introduzione e gli altri come commento a quattordici canzoni di carattere allegorico. In realtà il poeta ne compose solamente quattro: l'introduzione e il commento alle canzoni "Voi che intendendo il terzo ciel movete", "Amor che nella mente mi ragiona", "Le dolci rime d'amor ch'io solia" .
Il "De vulgari eloquentia"
modificaL'opera intitolata il De vulgari eloquentia, composta da Dante negli stessi anni del Convivio, è un trattato rimasto incompiuto come il "Convivio". Esso doveva essere composto almeno di quattro libri ma il poeta scrisse solamente il primo e quattordici capitoli del secondo. In esso viene trattata l'origine del linguaggio, si discute delle lingue europee e in modo particolare di quelle romanze e viene fatta una classificazione in quattordici gruppi dei dialetti di tutta la penisola.
La "De Monarchia"
modificaIl De Monarchia, quasi certamente composto tra il 1312 e il 1313, è un trattato composto da tre libri scritti in prosa latina dove il poeta vuole dimostrare la necessità di una monarchia universale per mantenere il benessere nel mondo (I° libro), dove afferma che a buon diritto l'ufficio dell'impero l'ha conquistato il popolo romano (libro II°) e che direttamente da Dio nasce la monarchia temporale (libro III°).
L'opera, pur rappresentando la piena maturità del pensiero politico di Dante non è, come sostiene Mario Sansone[37]"...un trattato di tecnica politica - e Dante ripugnava ai problemi della pura scienza - ma una religiosa interpretazione del destino degli uomini nella loro umana convivenza e delle leggi e dei principi che Dio ha disposti a governo e reggimentro di essa".
Le "Epistole"
modificaSotto il nome di Epistole sono raccolte tredici lettere scritte in latino da Dante a personaggi illustri del suo tempo nelle quali tratta i temi importanti della vita pubblica.
Le "Egloghe"
modificaLe Egloghe sono due componimenti in latino scritti a Ravenna tra il 1319 ed il 1320 in risposta a Giovanni del Virgilio, un professore dell'università bolognese, che gli aveva indirizzato un carme nel quale lo invitava a non perdersi con la lingua volgare e a scrivere qualcosa nella lingua dotta per poter ottenere l'alloro per la poesia. Dante ammette di desiderare il riconoscimento poetico ma afferma che desidera conquistarlo con il poema in volgare che sta scrivendo.
La "Quaestio de aqua et terra"
modificaLa "Questio de aqua et terra" è un trattato di carattere scientifico letto a Verona davanti al clero nel gennaio del 1320 nel quale Dante, per confutare un passo di Aristotele, sostiene la tesi che nel globo le terre emerse sono più alte delle acque.
La "Divina Commedia"
modificaLa Divina Commedia è un poema di carattere didattico-allegorico scritto in lingua volgare toscana in terzine incatenate di versi endecasillabi.
Esso è composto da 100 canti e suddiviso in tre cantiche di trentratrè canti più il canto di introduzione della prima cantica.
l'opera
Note
modifica- ^ Natalino Sapegno, Compendio di storia della letteratura italiana, col.I: Dalle origini alla fine del quattrocento, La Nuova Italia, Firenze, 1956, pag.4
- ^ Giuseppe Petronio, Compendio di storia della letteratura italiana, Palumbo, Firenze, 1968, p. 9
- ^ in op. cit., pag.6
- ^ Alberto Asor Rosa, Sintesi di storia della letteratura italiana, La Nuova Italia, Firenze, 1986, pag. 1
- ^ da op.cit., pag. 12
- ^ da Luigi Morandi, Origine della lingua italiana, Città del Castello, 1897, pag. 11
- ^ Natalino Sapegno, Compendio di storia della letteratura italiana, col.I: Dalle origini alla fine del quattrocento, La Nuova Italia, Firenze, 1956
- ^ confronta Il placito capuano.
- ^ op. cit.,pag.5
- ^ ,op. cit., pag., 5
- ^ Alberto Asor Rosa,in op. cit., pag.5
- ^ confronta I documenti delle origini con testo
- ^ troveri: termine utilizzato da alcuni critici come Mario Sansone
- ^ Mario Sansone, Storia della letteratura italiana, Principato, Milano, 1960, pag., 25
- ^ op.cit. pag.,29
- ^ Giuseppe Petronio,Compendio di storia della letteratura italiana, Palumbo, Firenze, 1968, pag.26
- ^ op.cit.pag.,52
- ^ Natalino Sapegno, Compendio di Storia della letteratura italiana, vol.I: dalle Origini alla fine del Quattrocento, La Nuova Italia, Firenze, 1956, pag. 53
- ^ Il brano è tratto dalla volgarizzazione del testo da C. Salinari C. Ricci, Storia della letteratura italiana con antologia degli scrittori e dei critici, Laterza,1991, pag. 215
- ^ Natalino Sapegno, Compendio di storia della letteratura italiana, volume I: Dalle origini alla fine del quattrocento, La Nuova Italia, Firenze, 1956, pag. 63
- ^ C. Salinari C. Ricci, Storia della letteratura italiana con antologia degli scrittori e dei critici. vol. 1. Dalle origini al Quattrocento, Laterza, Bari, 1991, pag 197
- ^ C.Salinari C.Ricci, op. cit., pag. 125
- ^ Mario Sansone, Storia della letteratura italiana, Principato, Milano, 1960, pag., 35
- ^ Alberto Asor Rosa, Sintesi di storia della letteratura italiana, La Nuova Italia,Firenze, 1986, pag.23
- ^ Alberto Asor Rosa, op. cit, pag. 24
- ^ Francesco Flora, Storia della letteratura italiana, vol.I, Arnoldo Mondadori, Milano, 1958, pag.62-63
- ^ Sansone Mario, Storia della letteratura italiana, Principato, Milano-Messina, 1960, pag. 38
- ^ Natalino Sapegno, Compendio di Storia della letteratura italiana, vol.I,Dalle origini alla fine del Quattrocento, La Nuova Italia, Firenze, 1956, pag 79
- ^ da il Purgatorio, in Dante Alighieri, La Divina Commedia,Sansoni, Firenze, 1905,pag. 466
- ^ Mario Sansone, Storia della letteratura italiana, Principato, Milano-Messina,1960,pag.39
- ^ Mario Sansone, op. cit. pag. 40
- ^ Mario Sansone, op.cit., pag.40
- ^ Natalino Sapegno, Compendio di Storia della letteratura italiana. Dalle origini alla fine del Quattrocento, La Nuova Italia, Firenze, 1956, pag.,85
- ^ Mario Sansone, Storia della letteratura italiana, La Nuova Italia, Firenze, 1960, pag.41
- ^ Asor Rosa, Sintesi di storia di letteratura italiana, La Nuova Italia, Firenze, 1986, pag., 28
- ^ Giulio Ferroni, Storia della letteratura italiana,Vol.II, in Dante e il nuovo modello letterario, Mondadori, Milano, 2006
- ^ Mario Sansone, Storia della letteratura italiana, Principato,Milano-Messina, 1960, pag.,62
Bibliografia della critica sulle origini
modifica- Aurelio Roncaglia, "Le Origini", in Storia della letteratura italiana, a c. di E. Cecchi e N. Sapegno, I, Le origini e il Duecento, Milano, 1965, pp.3-269
- E. Pasquini, "Cultura e letteratura delle origini" in Letteratura italiana storia e testi, a cura di C. Muscetta, I, Il Duecento, Bari, 1970, pp.. 3-168.
- A. Viscardi, Le origini della letteratura italiana, Vallardi, Milano, 1957.
- A. Viscardi, La cultura dell'alto medioevo, Marzorati in "Questioni di Storia Medievali, Roma, 1959