Fucino
Piana del Fucino | |
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Il Fucino in una immagine satellitare del NASA Earth Observatory | |
Stato | Italia |
Regioni | Abruzzo |
Province | L'Aquila |
Località principali | Avezzano, Celano, Luco dei Marsi, Pescina, San Benedetto dei Marsi, Trasacco |
Superficie | 160 km² |
Altitudine | 650-680 m s.l.m. |
Cartografia | |
Il Fucino (AFI: /ˈfuʧino/[1], Fùcino) è una vasta conca appenninica della Marsica, in provincia dell'Aquila, in Abruzzo, posta tra i 650 e i 680 m s.l.m. e circondata dai rilievi montuosi del Sirente-Velino a nord-nordest, del monte Salviano a ovest, della Vallelonga a sud e della valle del Giovenco a est-sudest.
Ha contenuto l'omonimo lago, terzo in Italia per estensione, fino al totale prosciugamento avvenuto nella seconda metà dell'Ottocento ad opera di Alessandro Torlonia che ampliò e riutilizzò le preesistenti opere di ingegneria idraulica come il canale collettore, l'incile, l'emissario e i cunicoli di Claudio, risalenti all'epoca romana.
Nella piana, a prevalente destinazione agricola, vengono coltivati ortaggi e tuberi. I prodotti che hanno ottenuto il marchio europeo IGP sono la patata del Fucino e la carota dell'altopiano del Fucino.
Descrizione
La piana è una depressione geografica di origine tettonica formatasi durante l'orogenesi appenninica tra Pliocene e Quaternario[2].
Prende il nome dal preesistente lago carsico del Fucino, terzo in Italia per estensione dopo il Garda e il Maggiore[3], che a causa dell'assenza di emissari e delle repentine variazioni del livello dell'acqua provocava inondazioni e malsane secche, tanto da essere oggetto di numerosi tentativi di regimazione. Il primo parziale prosciugamento del bacino endoreico[4] avvenne ad opera dell'imperatore Claudio nel 52 d.C., mentre si arrivò allo svuotamento totale della conca fucense nella seconda metà del XIX secolo grazie ad Alessandro Torlonia che ricalcò l'opera idraulica di epoca romana dei cunicoli di Claudio aumentando il numero dei pozzi e ampliando gli sfiatatoi e l'emissario ipogeo. Queste migliorie, unitamente ad altre opere, consentirono il prosciugamento del lago Fucino.
Alla realizzazione dell'opera seguì un miglioramento delle condizioni socio-economiche, che venne suggellato con la riforma agraria del 1950 e l'incremento demografico. Lungo il bordo fucense, oltre ad Avezzano che è il centro più grande, sorgono popolosi comuni come Celano e Pescina.
Ad ovest il Fucino confina con il territorio dei piani Palentini, mentre convergono verso la piana fucense la valle del Giovenco, la Vallelonga e la valle Roveto.
Nella piana, a prevalente destinazione agricola, si coltivano soprattutto vari ortaggi e i prodotti IGP come la patata del Fucino e la carota dell'altopiano del Fucino. Ospita, oltre agli opifici e ai centri di condizionamento delle colture, anche il Centro spaziale del Fucino Piero Fanti. Il teleporto, che venne realizzato a cominciare dal 1963 dalla società Telespazio, è adibito alla gestione da terra delle telecomunicazioni satellitari con i rispettivi satelliti artificiali in orbita per le telecomunicazioni.
Geologia
Il bacino del Fucino è oggetto di numerosi studi geologici di tipo neotettonico, paleosismologico, archeosismologico e paleoambientale per la peculiare "visibilità" dei suoi sedimenti e delle strutture relative alla formazione ed evoluzione del bacino stesso. Queste caratteristiche hanno consentito, inoltre, nel tempo, di interpretare altri settori appenninici il cui contesto era meno chiaro.
Il Fucino è un'ampia depressione tettonica circondata da faglie normali e transtensive attive nel Pliocene superiore-Quaternario. È presente anche una fase deformativa compressiva tardo messiniano-pliocenica inferiore schematicamente attribuita a quattro principali unità, a direzione grossolanamente NNO-SSE, convergenti a levante: "Costa Grande-Monte d'Aria", "Monte Cefalone-Monti della Magnola", "Altopiano delle Rocche-Gole di Aielli-Celano" e "Monte Sirente". Queste strutture compressive deformano sottostanti strati mesozoico-terziarie appartenenti a due domini deposizionali. Il primo raggruppa una sedimentazione persistente di piattaforma annegata nel Miocene e il secondo delle aree annegate nel Mesozoico con sedimentazione persistente di scarpata e di bacino, quest'ultima immediatamente a NE del Fucino. In corrispondenza del primo dominio poggiano le calcareniti a briozoi del Langhiano-Tortoniano, mentre vi è una lacuna tra il Cretacico superiore e la fine del Miocene inferiore. Nel secondo dominio invece vi è una maggior continuità fino al Miocene medio. Questa discrepanza potrebbe essersi creata in concomitanza alla fase disgiuntiva legata al rifting liassico che si è mantenuta fino al Miocene medio.
Affiorano depositi continentali alluvio-colluviali attribuibili al Plio-Pleistocene e, in particolare in corrispondenza dell'antico fondo lacustre caratterizzato da sedimenti limosi, all'Olocene.
L'evoluzione quaternaria del bacino è legata all'attività di due principali faglie, una in direzione NO-SE e immersione occidentale, tangente l'ex lago a SudEst, e l'altra, tangente a Nord, in direzione OSO-ENE e immersione meridionale.
Il territorio abruzzese è caratterizzato da una notevole attività sismica, legata prevalentemente a processi di distensione crostale. Il campo deformativo plio-quaternario è tuttora attivo.
Clima
Il clima della piana del Fucino, data la sua conformazione a conca con fondo piatto, è caratterizzato dalle forti escursioni termiche tipiche delle doline e delle conche soggette a intense inversioni termiche, e in condizioni di cielo sereno con neve al suolo e vento debole/assente vi si possono raggiungere temperature minime estremamente basse favorite dalla quota. Il prosciugamento del lago ha infatti trasformato il fondo del bacino in una pianura coltivabile di circa 160 km² la cui depressione pari a una quarantina di metri favorisce localmente temperature minime molto basse; in alcune occasioni nel Fucino si sono raggiunte temperature minime estreme come nel gennaio 1985 quando si rilevarono −26,5 °C a Telespazio e in località Borgo Ottomila[5].
Si presentano di seguito i dati ARSSA, registrati nel periodo 1951-2000, relativi alla stazione meteorologica di Borgo Ottomila (Celano)[6].
Borgo Ottomila (1951-2000) | Mesi | Stagioni | Anno | ||||||||||||||
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Gen | Feb | Mar | Apr | Mag | Giu | Lug | Ago | Set | Ott | Nov | Dic | Inv | Pri | Est | Aut | ||
T. max. media (°C) | 6,6 | 9,2 | 13,1 | 16,7 | 22,0 | 26,0 | 29,1 | 29,0 | 24,7 | 18,8 | 12,2 | 7,3 | 7,7 | 17,3 | 28,0 | 18,6 | 17,9 |
T. min. media (°C) | −3,5 | −2,5 | −0,4 | 2,5 | 6,1 | 9,0 | 10,3 | 9,8 | 7,2 | 3,8 | 0,9 | −2,0 | −2,7 | 2,7 | 9,7 | 4,0 | 3,4 |
Precipitazioni (mm) | 63 | 66 | 53 | 57 | 44 | 38 | 30 | 36 | 55 | 75 | 103 | 88 | 217 | 154 | 104 | 233 | 708 |
Giorni di pioggia | 8 | 8 | 8 | 9 | 8 | 5 | 4 | 4 | 6 | 7 | 10 | 9 | 25 | 25 | 13 | 23 | 86 |
Nella tabella climatica Arssa di Borgo Ottomila compare anche un dubbio estremo assoluto di −32 °C[7] non pubblicato sugli annali idrologici del quale non esistono prove attendibili. Le località circostanti il bacino lacustre venivano scelte dai romani come luoghi di villeggiatura per il clima secco e la presenza di oliveti e vigneti. Dalla seconda metà dell'Ottocento la piana è dedita all'agricoltura, dove fondamentale ruolo hanno avuto inizialmente i cereali e le barbabietole da zucchero e successivamente le patate, le carote e gli ortaggi.
Prima del drenaggio il clima della conca sarebbe stato più mite rispetto alle condizioni successive al prosciugamento. I dati osservati di temperatura e precipitazioni prima della bonifica sono abbastanza sparsi e non collegabili, mentre vi fu una registrazione giornaliera nel periodo 1854-1873, e ogni dieci giorni dal 1866 al 1906. I dati sembrerebbero indicare anche un apparente incremento di fenomeni meteorologici estremi dopo il drenaggio, con precipitazioni più intense d'inverno ed estati più secche, non solo nel bacino ma in un'area più estesa[8].
In autunno e inverno spesso la conca è soggetta a fenomeni di nebbia e galaverna per via delle basse temperature e l'alto tasso di umidità che si verificherebbe anche a causa della presenza di canali artificiali per l'irrigazione dei campi coltivati. La neve con accumuli al suolo compare a volte d'inverno specie in occasione di ondate di freddo e perturbazioni da ovest. L'autunno è la stagione più piovosa, seguita dalla primavera, mentre l'estate è la stagione secca, calda e a tratti umida.
Comuni
Origini del nome
Il toponimo Fucino deriverebbe dal termine latino Fūcinus che si ricollega all'etnico Fūcentēs, associato da Plinio il Vecchio[9] ai Mārsī, popolo italico che viveva lungo le sponde sud orientali del lago. Il nome Fūcinus sarebbe riconducibile a una base fūk- (da feuk-, alternato con peuk-) che si ritrova anche nel nome Peucetia, in Puglia, con il significato probabile di "luogo melmoso"[10].
Il poeta greco Licofrone chiamò il luogo "palude di Forco" (Φόρκος, Phórkos, lucente), facendo derivare il nome da quello dell'omonima divinità marina[11]; altri autori antichi hanno erroneamente creduto che fosse il lago dei Volsci, in memoria della sconfitta inflitta a loro dai Romani presso le sue rive in epoca repubblicana.
Secondo un'altra ipotesi il nome del luogo deriverebbe dalla presenza di alghe che al tramonto in determinati periodi dell'anno conferivano alla superficie lacustre un riflesso rosso-fulvo, simile al colore proprio della fucìna[12].
Fino al XIX secolo il bacino era anche detto lago di Celano.
Storia
Il Fucino era un sistema lacustre carsico, il cui unico immissario vero e proprio era il fiume Giovenco, entrante nel bacino da Nord Est, appena dopo l'abitato di Pescina. Il lago inoltre raccoglieva, soprattutto nel periodo invernale, le acque di torrenti di piccola portata dal massiccio del Velino-Sirente a Nord e dai monti della Vallelonga a Sud. Il regime idrico del bacino è stato regolato dall'attività degli inghiottitoi carsici, localizzati soprattutto a meridione alle pendici delle montagne come quello della Petogna nei pressi di Luco dei Marsi. L'assenza di un efficace emissario ha determinato un'alta variabilità del livello del lago. Tali fluttuazioni sono attribuibili in parte al drenaggio carsico o ai movimenti tettonici che interessano la zona, ma soprattutto alle variazioni climatiche come i cambiamenti stagionali delle precipitazioni e il grado d'insolazione, prodotti dai parametri orbitali della Terra (precessione degli equinozi e obliquità dell'eclittica).
Anno | Profondità (m) | Volumi (m³) |
---|---|---|
1783 | 13,49 | |
1787 | 17,36 | |
1816 | 23,01 (massima conosciuta) | |
1835 | 10,23 (minima conosciuta) | 715.757.300 |
1852 | 14,05 | 1.123.224.800 |
1853 | 16,18 (accrescimento avvenuto in 40 giorni) | 1.430.928.500 |
1859 | 17,78 | 1.818.113.500 |
1861 | 19,44 | 2.500.000.000 |
1876 | prosciugamento completato | |
1876-1877 | bonifica dell'area | |
1878 | dichiarazione ufficiale del prosciugamento |
Nel XIX secolo il lago ha presentato le massime variazioni che si conoscano (12,69 metri di escursione in vent'anni). Durante episodi di piena il lago invadeva in genere solo alcune aree pianeggianti a bassa quota, come quella tra Ortucchio e Venere dei Marsi a sud est, e non i conoidi e i terrazzamenti posti a quota superiore, seppur di pochi metri, a nord e ad est. Gli studi del geologo Carlo Giraudi permettono di localizzare la linea di riva, nei periodi immediatamente precedenti l'ultima bonifica, all'isoipsa a quota 660.
Non è possibile stabilire con precisione le variazioni durante la protostoria, ma probabilmente non si doveva discostare di molto da quella del XIX secolo. Secondo Giraudi[13] tra 33 000 e 18-20 000 anni fa ci fu un generale aumento del livello lacustre, probabilmente il massimo livello mai raggiunto, seguito, fino a 7 500-6 500 anni fa, da un abbassamento, un successivo rialzo fino a 5 000 anni fa, un abbassamento fino a 2 800 anni fa, un innalzamento fino a 2 300 anni fa, un abbassamento fino a 1 800 anni fa, che è continuato fino al XVII secolo della nostra era, raggiungendo limiti storici. Durante la piccola era glaciale, nel periodo 1750-1861, si ebbe l'ultimo importante rialzo.
Le acque sono drenate da un sistema di canali di scolo, costruiti nella piana dopo il prosciugamento torloniano e la successiva bonifica, che afferiscono alla galleria principale di drenaggio. Questa attraversando il monte Salviano riversa le acque nel fiume Liri (Autorità di bacino dei fiumi Liri-Garigliano e Volturno).
Epoca romana
Nonostante i Romani avessero scelto il Fucino come luogo di villeggiatura, fu proprio nella loro epoca che iniziò ad emergere la necessità di prosciugare e bonificare il lago. Le zone meridionali del lago erano quelle più soggette alle inondazioni e quindi, oltre agli ovvi problemi stagionali per gli agricoltori, altro grosso problema di queste zone paludose era la malaria.
Il prosciugamento di Claudio
Dei progetti relativi al prosciugamento e/o alla regimazione e successiva bonifica delle terre emerse, avanzati in epoca romana, hanno scritto autori come Plinio il vecchio, Svetonio, Tacito e Dione Cassio a dimostrazione dell'importanza di tale problematica.
Il primo che volle tentare il prosciugamento del lago fu Cesare, che però venne ucciso prima che adempisse al suo proposito. Fu quindi Claudio che si adoperò in tal senso tra il 41 e il 52 d.C. Secondo Svetonio per completare l'impresa idraulica vennero utilizzati 30.000 uomini tra schiavi e operai. Per undici anni si lavorò anche di notte, su tre turni di 8 ore, in squadre sparse lungo il tragitto del canale sotterraneo e nelle connesse opere di servizio. Il risultato fu quello di aver realizzato una galleria di 5,6 chilometri capace di drenare parzialmente le acque lacustri nel fiume Liri attraversando il ventre del monte Salviano.
L'esito però non fu quello esattamente progettato. A causa delle numerose frane nell'emissario ipogeo già durante la fase di costruzione e, soprattutto, nei periodi successivi all'inaugurazione dell'opera, la semplice manutenzione ordinaria non bastava. Terminati i lavori Claudio volle celebrare l'opera con fasto organizzando la naumachia, una battaglia navale tra Rodiesi e Siculi sul lago[14][15]. Al termine della cerimonia venne aperta la diga ma l'acqua non scolò a causa di una piccola frana avvenuta poco prima. Purgato il canale e riaperte le chiuse, un'ulteriore frana causò una grossa ondata di ritorno che si abbatté sul palco dove la famiglia imperiale banchettava. Di questi accadimenti vennero incolpati i liberti Narciso e Pallante, che non erano architetti bensì prefetti dei lavori.
Con l'inaugurazione dell'opera si ottenne di fatto una regimazione delle acque superficiali, tanto che il bacino lacustre si restrinse notevolmente ma non fu totalmente prosciugato, come invece alcune fonti storiche hanno riportato[4]. Tuttavia scemarono i pericoli di inondazioni e di minacce sanitarie, mentre le attività agricole ripresero vigore. L'economia della Marsica e in particolare dei municipi di Alba Fucens, Lucus Angitiae e Marruvium divenne florida e le aree montane circostanti vennero elette a tutti gli effetti a luoghi di villeggiatura[16].
Ostruzione dei canali e nuovi progetti
Con la caduta dell'Impero romano e la conseguente mancanza di opere manutentive durante il periodo delle invasioni barbariche, l'emissario si ostruì totalmente facendo ritornare lo specchio d'acqua ai livelli originari. Non tanto l'inadeguatezza tecnica (altre opere di uguale complessità erano state costruite dall'ingegno romano), quanto soprattutto il tipo di roccia scavata, bisognosa di manutenzione, portò ben presto e ripetutamente il canale a colmarsi, così da rendere troppo dispendiosi gli interventi riparatori. Infatti dopo i presunti piccoli interventi manutentivi operati sotto Traiano e quelli più importanti e attestati con certezza di Adriano[17], pochi altri tentarono un approccio. L'ostruzione dell'emissario ipogeo apparve irrimediabile tra il V e il VI secolo.
In seguito la questione del ripristino delle opere claudiane fu affrontata invano da Federico II di Svevia ed Alfonso I d'Aragona. Un altro tentativo fu promosso da Filippo I Colonna che però abbandonò l'idea per mancanza di denaro.
Carlo III di Spagna caldeggiò a sua volta la riapertura del canale. Ferdinando IV re di Napoli invece organizzò uno studio sul territorio e dal 1790 fece incominciare i lavori, che terminarono dopo due anni. Questi, condotti esclusivamente da galeotti, risultarono del tutto inadeguati, essendo costellati di errori tecnici con conseguenti frane, smottamenti e continue infiltrazioni d'acqua. Lo stesso re sostenne confronti e dispute tra vari architetti e ingegneri, fino a che, nel 1826 non iniziò un decennale intervento ad opera dell'ispettore di acque e strade il cavaliere Luigi Giura e il commendatore Carlo Afan de Rivera. Nel 1835 fu compiuta la restaurazione, ma non terminarono le discussioni, dato che nei 20 anni successivi vi furono continui crolli.
Il prosciugamento totale di Torlonia
«O Torlonia asciuga il Fucino, o il Fucino asciuga Torlonia»
Il 26 aprile 1852, con Regio Decreto borbonico, fu accordata la concessione dello spurgo e della restaurazione del canale claudiano a una società anonima napoletana nel tentativo di riottenere il prosciugamento del Fucino. Il compenso era in parte costituito dai terreni del bacino lacustre che si sarebbe prosciugato.
Non si intendevano comprese in tale concessione "le mura e i ruderi di antiche città, gli anfiteatri, i tempii, le statue, e generalmente gli oggetti di antichità e belle arti di qualunque sorta", che sarebbero state offerte alle "solerti cure dell'Instituto de' Regii Scavi" e all'insigne Real Museo Borbonico[19].
Poiché nella società figuravano il banchiere romano Alessandro Torlonia, la cui famiglia era di origini francesi, l'ingegnere svizzero Frantz Mayor De Montricher e l'agente francese Léon De Rotrou, il re Ferdinando II fu accusato di aver concesso il prosciugamento ad "alcuni stranieri per rimeritare segreti e sinistri servigi alla propria causa"[20]. La compagnia era invece composta anche da italiani come il principe di Camporeale e il marchese Cicerale, mentre Torlonia la fondò assieme ai signori Degas, padre e figlio, banchieri di Napoli.
Avendo la società necessità di nuovi fondi, e poiché tutti si tirarono indietro, Torlonia ne acquistò le azioni diventando unico proprietario. Successivamente però, nel 1863, dovette chiudere la sua banca.
I lavori per il prosciugamento iniziarono il 15 febbraio 1854 sotto la direzione dell'ingegnere De Montricher, morto nel 1858. Furono proseguiti dall'ingegnere Henry Samuel Bermont, al quale nel 1869 successe l'ingegner Alexandre Brisse che li portò a termine, insieme alle prime opere di bonifica, nel 1877[21]. Il prosciugamento del lago Fucino fu ufficialmente dichiarato il 1º ottobre 1878[22].
L'emissario di Claudio era lungo 5.630 metri, ma considerando i canali collaterali, raggiungeva i 7 chilometri. L'opera torloniana, che prevedeva oltre al prosciugamento anche la bonifica dell'alveo, includeva invece una fitta rete di canali, per una lunghezza complessiva di 285 chilometri, e 238 ponti, 3 ponti canali e 4 chiuse. Il canale claudiano attraversava le aree ad una profondità che variava dagli 85 metri ai 120 metri, mentre alla sommità del monte Salviano si misuravano in quel settore circa 400 metri. L'apertura variava dai 4,11 m² ai 14,80 m², con alzata di 7,14 metri. Il canale torloniano segue la direzione di quello romano, con sezione costante di 19,99 m² e un solaio che varia da 2,39 metri all'ingresso a 0,79 all'uscita, per un flusso ordinario di acqua in uscita di 28 m³, con una capacità massima di 67 m³.
Una volta prosciugato, il bacino doveva essere reso coltivabile e abitabile. Per tale motivo furono realizzate arterie stradali e costruite case e fattorie. Una strada di 52 chilometri, la Circonfucense, ruota attorno alla piana che è attraversata da 46 strade rettilinee, parallele e perpendicolari, per una rete stradale pari a circa 272 chilometri. Oltre ai 24 milioni di lire spesi per il solo prosciugamento, quindi, ne vennero impiegati altri 19[23].
L'impegno profuso, le risorse economiche e i 4.000 operai al giorno utilizzati per 24 anni, spinsero il nuovo re Vittorio Emanuele a conferire a Torlonia il titolo di principe e una medaglia d'oro, e all'ingegnere Alexandre Brisse l'onore di un monumento al cimitero del Verano a Roma.
Il terremoto del 1915
Il 1915 fu l'anno di un drammatico terremoto che il 13 gennaio colpì l'intera area della Marsica e diverse province del Centro Italia. Con epicentro nell'area fucense fu uno dei più catastrofici terremoti avvenuti sul territorio italiano causando oltre 30.500 vittime su un totale di circa 120.000 persone residenti nelle aree più disastrate. Nella città di Avezzano perirono 10.700 persone (più dell'80% dei residenti).
Avvenne alle ore 07:52:48 (dato INGV) raggiungendo l'undicesimo grado della scala Mercalli (Magnitudo scala Richter 7.0) e nei mesi successivi ci furono almeno un migliaio di repliche. La scossa fu avvertita dalla Pianura Padana alla Basilicata[24].
Nell'area del Fucino si formarono scarpate di faglia (fagliazione principalmente olocenica), spaccature del terreno, vulcanelli di fango, frane, variazioni della topografia e cambiamenti chimico-fisici delle acque.
L'impianto di drenaggio dell'ex lago sembrò non risentire molto del sisma, tuttavia nel 1920 si decise il rifacimento completo dei tratti di galleria giudicati minacciati, mediante tecniche più evolute rispetto al secolo precedente[25].
Lotte contadine e riforma agraria
«In capo a tutti c'è Dio, padrone del cielo. Questo ognuno lo sa. Poi viene il principe Torlonia, padrone della terra. Poi vengono le guardie del principe. Poi vengono i cani delle guardie del principe. Poi, nulla. Poi, ancora nulla. Poi, ancora nulla. Poi vengono i cafoni. E si può dire ch'è finito.»
Sebbene la gloria di Torlonia e del suo operato avesse echi anche fuori Italia, molti non erano contenti, e i problemi iniziarono ben prima del termine dei lavori: i comuni rovetani e della valle del Liri intentarono una lite contro la società perché, aumentando la portata del fiume Liri, erano peggiorate le inondazioni in inverno[26]. I proprietari terrieri che avevano visto inondare le proprie terre con le piene degli ultimi vent'anni volevano rientrarne in possesso. Torlonia fece collocare numerose statue della Madonna in ghisa per segnare i limiti del lago e quindi della proprietà. 2.501 dei 16.507 ettari conquistati furono dati ai comuni circumlacuali, mentre il resto fu proprietà dei Torlonia, divisa in 497 appezzamenti di 25 ettari ciascuno.
I pescatori dei paesi che si affacciavano sul lago erano ora rimasti senza lavoro, con un inevitabile incremento delle famiglie povere. Occorreva convertire le realtà di pescatori in comunità contadine. Molti abitanti di tali luoghi inoltre non volevano coltivare il fondo del lago rubato alle acque, nella paura della malaria e di nuove e più aggressive inondazioni: in effetti si dovette sfruttare manodopera immigrata proveniente soprattutto da Romagna e Marche.
11.248 affittuari si divisero le terre e le subaffittarono. Nel 1930 la piana accoglieva 8.507 proprietà, molte delle quali (77,48%) di meno di 3 ettari, utilizzando solo il 27,10% del terreno. Le proprietà oltre i 10 ettari (fino oltre i 50) coprivano meno del 2% della piana. Nel 1947 le microproprietà (95% del totale) coprivano il 17,5%, mentre l'insieme dei più grandi proprietari (0,15%) ne occupavano il 68%[27].
A seguito delle lotte contadine del secondo dopoguerra, localmente dette "riverse" ovvero scioperi alla rovescia, la riforma agraria del 1950 portò alla formazione, il 28 febbraio 1951 all'Ente per la Colonizzazione della Maremma Tosco-Laziale e del Fucino. Mutato in seguito in Ente Fucino, ERSA acronimo di Ente Regionale di Sviluppo Agricolo, infine ARSSA acronimo di Agenzia Regionale per i Servizi di Sviluppo Agricolo. Durante le sommosse a Celano, la sera del 30 aprile 1950, vennero uccisi due braccianti che stavano manifestando in piazza, Agostino Paris e Antonio Berardicurti. Tale tragedia è nota come eccidio di Celano. L'espropriazione terriera fatta ai danni dei Torlonia dovette essere condotta con cautela, poiché l'ente pubblico dovette portare i 15.800 affittuari a 9.918. I circa 29.000 appezzamenti originari furono aggregati in 10.000 unità.[28].
Gli esiti furono un miglioramento della produzione: in dieci anni (dal 1948 al 1958) il grano passò da 26 q/ha a 36 q/ha, le patate da 140 q/ha a 230 q/ha e la barbabietola da 260 q/ha a 388 q/ha.
Tra gli effetti a lungo termine si può segnalare la scomparsa della malaria, accompagnata però da un aumento dell'industria dell'allevamento che si associò, sul piano epidemiologico, alla comparsa della brucellosi animale e umana[29][30].
Tutto ciò non fu sostenuto da un regolamentato consumo idrico. Già i romani avevano ipotizzato, in caso di successo della bonifica, di mantenere un Bacinetto di raccolta dell'acqua meteorica. Nel progetto originale di Torlonia il Bacinetto fu pianificato e costruito, anche come raccolta delle acque in caso di riparazioni da eseguire all'emissario. Di fatto l'aumento del consumo idrico, causato dal successivo sviluppo industriale della regione e dall'incrementato uso domestico, ha reso il Bacinetto una riserva insufficiente.[31].
Note
- ^ Bruno Migliorini et al., Scheda sul lemma "Fucino", in Dizionario d'ortografia e di pronunzia, Rai Eri, 2010, ISBN 978-88-397-1478-7.
- ^ Cavinato e De Celles 1999
- ^ Roberta De Santi, Fucino: storia di un lago, su terremarsicane.it, Terre Marsicane. URL consultato il 28 marzo 2016.
- ^ a b Servidio A., Radmilli A.M., Letta C., Messineo G. et al., Fucino cento anni, ERSA, Avezzano, 1979, p.140
- ^ Clima en FUCINO Enero de 1985 (Fonte: NOAA-CDO / GSOD), su tutiempo.net, TuTiempo.
- ^ Dati ARSSA (PDF), su arssa.abruzzo.gov.it, Regione Abruzzo. URL consultato il 23 marzo 2015 (archiviato dall'url originale il 9 marzo 2016).
- ^ Archivio storico dati ARSSA, su cetemps.aquila.infn.it, Cetemps.
- ^ Tomassetti B, Giorgi F, Verdecchia M, Visconti G. Regional model simulation of the hydrometeorological effects of the Fucino Lake on the surrounding region Annales Geophysicae (2003) 21: 2219–2232
- ^ Gaio Plinio Secondo, Naturalis historia, III, 106
- ^ Giovanni Alessio, Marcello De Giovanni, Preistoria e protostoria linguistica dell'Abruzzo, Lanciano, Itinerari, 1983, pp. 82-83.
- ^ Nicola Corcia, Storia delle Due Sicilie: dall'antichità più remota al 1789, Napoli, Tipografia Virgilio, 1843, p. 228
- ^ Alessia Guerrieri, Sulle sponde del lago che non c'è più, su avvenire.it, Avvenire, 2 marzo 2012. URL consultato il 22 gennaio 2019.
- ^ Giraudi C Lake levels and climate for the last 30,000 years in the Fucino area (Abruzzo-Central Italy) — A review Palaeogeography, Palaeoclimatology, Palaeoecology, v. 70, aprile 1989, pp 249-260
- ^ Luigi Tudico, La battaglia navale sul lago Fucino. La naumachia (PDF), su aercalor.altervista.org. URL consultato il 4 aprile 2021.
- ^ Naumachia, su sapere.it. URL consultato il 4 aprile 2021.
- ^ Giuseppe Grossi, Marsica, guida storico-archeologica, Aleph, Luco dei Marsi, 2002, p. 24
- ^ A. Servidio, A. M. Radmilli, C. Letta, G. Messineo, G. Mincione, L. Gatto, M. Vittorini, G. Astuti, Fucino cento anni (atti del centenario 1877-1977), ERSA Avezzano, Officine grafiche Edilgrafital, Sant'Atto di Teramo, ristampa 1993, p. 3.
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Voci correlate
Altri progetti
- Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sul Fucino
Collegamenti esterni
- Consorzio di bonifica ovest "Liri-Garigliano", su bonificaovest.it.
- Istituto Luce, Nostra inchiesta sul Fucino (1950), su YouTube, 16 giugno 2012. URL consultato il 2 gennaio 2020.
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