Actio libera in causa
La locuzione latina actio libera in causa indica il fenomeno che si verifica allorquando taluno si pone in stato di incoscienza al fine di commettere un reato o di procurarsi una scusante. In tal caso viene applicata la pena sebbene chi abbia commesso il fatto era in stato di incapacità di intendere e di volere al momento del compimento della condotta.
La teoria delle actiones liberae in causa era già utilizzata in diritto canonico dai moralisti della tradizione cristiana per giustificare l'applicazione della pena nei casi di peccati commessi da soggetti incapaci di intendere o di volere, che si erano posti volontariamente in stato di incoscienza al fine di commettere il peccato o di scusarne la condotta. San Tommaso scriveva già che: «ebrietas voluntaria in sua causa non excusatur totaliter a peccato, nec totaliter excusat sequens peccatum». L'ubriaco dunque doveva rispondere non solo dell'ubriachezza, ma anche di ogni atto illecito commesso nello stato di ubriachezza, sebbene compiuto con incoscienza.
Nel diritto italiano la teoria è stata accolta nell'art. 87 del codice penale ai sensi del quale: «la disposizione della prima parte dell'art. 85 non si applica a colui che si è messo in stato di incapacità di intendere e di volere al fine di commettere il reato o di prepararsi una scusa».
In pratica i requisiti del dolo e della colpa vengono valutati non al momento in cui il soggetto compie l'azione, ma in un momento precedente, ossia quando il soggetto si pone in stato di incapacità. La ratio della teoria delle actiones liberae in causa sta allora nel principio causa causae est causa causati: chi determina volontariamente una situazione dalla quale deriva un evento lesivo, è chiamato a rispondere dell'evento stesso, a prescindere dalla eventuale volontarietà dell'evento.