Rappresentanza politica
Per rappresentanza politica s'intende normalmente la trasmissione formale del potere tra chi detiene la sovranità (la totalità degli individui, ai quali dunque appartiene il potere: democrazia) e chi è legittimato da questi a imprimere contenuto al comando politico (la persona rappresentativa). È elemento fondamentale in una forma di governo di uno Stato di democrazia classica.
Etimologia
[modifica | modifica wikitesto]Il termine "rappresentanza" deriva dal verbo latino arcaico re-ad-praesentàre, da cui il latino classico repraesentàre. Questo verbo è dunque composto dalla particella re ("di nuovo"), da praesens, accusativo praesentem ("presente") e dalla particella interposta ad ("a"). Dunque, il significato forse più letterale è "rendere presenti cose passate o lontane", e di conseguenza quello di esporre sia fisicamente sia mentalmente figure o fatti. Degno di nota, non da un punto di vista etimologico, ma per quanto riguarda il significato specifico del termine, è il riferimento cui rinvia il greco antico μορφóω (morphoo), e cioè al significato di "dar forma a", e, dunque, in questo senso, di "rappresentare".
La storia
[modifica | modifica wikitesto]Introduzione
[modifica | modifica wikitesto]Per comprendere meglio l'analisi e la critica del concetto moderno-occidentale della rappresentanza politica è, infine, opportuno ricorrere all'esame delle cause storiche e sociali che l'hanno preparato e generato e seguire come dal Medioevo a poco a poco si è applicato e diffuso nelle moderne istituzioni; ma, poiché un tale studio è stato già ampiamente svolto e divulgato, non occorre entrare nei particolari della narrazione storica e basta accennare a grandi linee i risultati a cui si è giunti.
L'età classica
[modifica | modifica wikitesto]Nell'età classica, greca e romana, il concetto della rappresentanza politica non esisteva.
A causa della ristrettezza numerica dei cittadini che avevano il diritto e l'agio di dedicarsi alla cosa pubblica infatti il popolo normalmente, in materia legislativa e giudiziaria, partecipava direttamente al governo dello Stato mentre, in materia esecutiva, delegava il potere pubblico a cittadini (i "magistrati"), affinché lo esercitassero secondo la volontà popolare.
Ciò è tanto vero che, nell'età classica, mancava una chiara determinazione delle funzioni di ogni organo pubblico, il legislatore costituiva un'eccezione e appariva rivestito di un carattere divino o semi-divino e l'evoluzione del diritto non dipendeva quasi mai da creazioni improvvise ed ex novo, ma da consuetudini lentamente consolidatesi nella convivenza e dall'accumularsi e dall'espandersi della giurisprudenza propriamente detta (Vincenzo Miceli).
La rappresentanza, nell'età classica, aveva pertanto un carattere privatistico.
L'età medievale
[modifica | modifica wikitesto]Nell'età medievale il concetto della rappresentanza politica fu preparato dal contatto tra i popoli barbari e i popoli dell'Impero, dei quali i primi erano organizzati in gruppi, sottogruppi e divisioni di ogni genere, con una svariata quantità di costumi e di diritti, presentavano una cooperazione politica vigorosa e attiva, ma slegata e individualistica, ed erano dominati a preferenza dal sentimento dell'autonomia e dell'indipendenza personale, mentre i secondi erano organizzati in un vasto aggregato politico, nel momento di massima unificazione politica e sociale, presentavano una cooperazione politica coordinata ed estesa, ma fiacca e passiva, ed erano dominati a preferenza dalla tendenza all'accentramento e al rispetto dell'autorità.
La lenta e costante fusione di questi opposti caratteri, il germanico e il latino, produsse la tendenza all'autonomia del gruppo (la tendenza di ogni aggregato sociale a trasformarsi in organismo politico) e si manifestò nella sostituzione dello Stato propriamente detto con numerosi e diversi gruppi sociali semi-autonomi (dotati ciascuno di una propria frazione di sovranità).[1]
Tali gruppi, presentando al proprio interno un elevato livello di omogeneità, avevano un mandatario, che agiva in loro vece ogni volta che non potevano agire da sé, e man mano si organizzarono, prima nel feudo e poi nel comune (Vincenzo Miceli). La rappresentanza nell'età medievale continuava ad avere pertanto un carattere privatistico.[2]
L'età moderna
[modifica | modifica wikitesto]Nell'età moderna il concetto della rappresentanza politica fu generato dal naturale sviluppo dei vincoli della comune tradizione, lingua, razza, indole e territorio, che determinano il carattere proprio di una nazionalità, nonché dalla coalizione delle grandi classi sociali (l'aristocrazia, il clero, la borghesia e, in alcune parti, il ceto dei contadini) contro il monarca, che era prevalso sugli altri elementi politici e aveva acquistato un potere assoluto.
Il processo suddetto si manifestò nel rafforzamento della coesione sociale, nell'ingrandimento dello Stato, nell'accentramento dei poteri pubblici e nell'aumento del numero, delle funzioni e della specializzazione degli organi pubblici e si verificò, prima, in Inghilterra e, poi, nel continente.
In Inghilterra infatti la corona fu subito molto potente poiché il re normanno Guglielmo I, dopo una breve lotta contro le popolazioni anglosassoni, fu signore dell'isola e vi impiantò un rigido sistema feudale, che vedeva al vertice il re e alla base gli uomini più fedeli del suo seguito. In quella regione inoltre, in conformità alle antiche leggi e consuetudini anglosassoni, gli elementi sociali si mostrarono più energici, più vitali e più tenaci e conservarono sempre vivo il sentimento della libertà. Ben presto quindi l'aristocrazia e la borghesia nascenti si coalizzarono e iniziarono una lunga lotta contro la corona per restringerne a poco a poco la potenza e riguadagnare man mano le perdute libertà (V. Miceli).
Nel continente invece l'elemento monarchico rimase a lungo debole, perché scosso dal frazionamento feudale successo all'Impero carolingio, sicché, per ogni gruppo, il nemico da temere e da combattere non era il monarca, il cui aiuto veniva anzi spesso invocato, ma il gruppo più vicino e più potente. In quella regione inoltre il concetto latino di uno Stato potente e centralizzatore aveva messo più profonde radici e doveva certo esercitare un'azione più forte. Avvenne quindi che gli elementi sociali, in un primo tempo, persero ogni vigoria e si lasciarono assorbire dall'elemento monarchico mentre, in un secondo tempo, si coalizzarono contro di esso, avviando in tal modo anche nel continente, il lungo processo di trasformazione della monarchia da assoluta e feudale in rappresentativa (V. Miceli).
La rappresentanza nell'età moderna passò pertanto da un carattere privatistico a un carattere pubblicistico[3], in virtù dell'affermarsi della democrazia rappresentativa[4].
Nella filosofia politica
[modifica | modifica wikitesto]Tale concetto, nella sua valenza specificamente filosofica, occupa una posizione di rilievo nel panorama della filosofia politica moderna. Senza di esso infatti non sarebbe possibile pensare l'agire politico, determinato e determinantesi mediante una rete di dispositivi che organizzano e strutturano logicamente questa realtà[5].
Genealogia
[modifica | modifica wikitesto]Parlando di concetti è necessario parlare di genealogia, intesa in termini specificatamente nietzschiani. In altre parole: l'elemento storico ha molta meno realtà di quanto normalmente ci si deve aspettare. Infatti non è possibile una storia dei concetti, se per questa s'intende un resoconto cronologico finalizzato a ripercorrere, secondo un disegno unitario, i significati che si sono sedimentati in alcuni termini attraverso le diverse epoche storiche. Se così fosse, ciò significherebbe pensare i concetti come eterni, dotati di una validità universale a prescindere dal diverso contesto in cui sono inseriti. Se infatti si potesse anche solo tentare un confronto con i vari significati racchiusi in un termine, questo presupporrebbe almeno un nucleo identico atto a permettere tale paragone.
Chi sia stato il primo pensatore a usare coscientemente, fuori dell'ambito giuridico, il termine rappresentanza nel panorama moderno, è questione perlomeno dibattuta. Una possibile soluzione potrebbe trovarsi nella filosofia politica di Thomas Hobbes, specificatamente al suo Leviatano. In effetti, se fino ad allora tale concetto indicava l'atto del "rappresentare un terzo di fronte a qualcuno" già inserito in un contesto politico dato e determinato, da Hobbes in poi il significato cade sulla creazione dal nulla del soggetto politico: dalla tabula rasa si passa dunque alla costruzione di un ordine assolutamente nuovo, moderno.
Logica
[modifica | modifica wikitesto]Si tratta ora di analizzare il concetto di rappresentanza alla luce delle sue principali strutture teoretiche, per verificare in che modo l'ordine politico moderno sia pensabile attraverso esso. Tale dispositivo rimanda inevitabilmente a concetti quali uguaglianza, libertà, legittimazione, individuo, e così via: se si parte dal presupposto che tutti gli individui sono per natura uguali tra loro, il problema sarà quello di fondare un ordine politico legittimo, in cui un rappresentante (o sovrano, o corpo politico, o Stato) abbia il diritto, dedotto e giustificato razionalmente, all'esercizio del potere[6].
Se infatti tutti sono ugualmente potenti e liberi, non è cosa da poco decidere chi debba essere il rappresentante: in effetti nessuno ha più diritto di un altro a esserlo. L'unico modo possibile è quello di delegare il potere a una persona che agisca come se fosse l'attore delle scelte di cui la totalità degli individui è autrice. In altri termini, il rappresentante è una persona artificiale che agisce nel nome della collettività come unico interprete legittimo della volontà generale: le scelte che egli farà saranno scelte fatte in nome di tutti quelli che l'hanno delegato a farle.
La creazione di questo ordine politico avviene mediante la dinamica del patto, il quale implica sempre una promessa per il futuro: tutti i singoli individui decidono di cedere una parte del loro potere a una persona che agirà in vece loro. La particolarità di questa struttura è che i contraenti del patto sono gli individui, soggetti non ancora politicizzati, i quali non stringono il patto con un rappresentante già presente: è infatti compito del patto creare ex nihilo il soggetto collettivo. Una volta determinato il rappresentante, egli non ha più nessuno di fronte a lui: è l'unico soggetto politico legittimo. Gli individui quindi non sono più presenti, ma vengono, per così dire, assorbiti nel corpo rappresentativo. Com'è possibile che la moltitudine sia una? Che una sia la persona rappresentativa (Hobbes).
Gli individui dunque non trasferiscono al sovrano alcun contenuto politico. Questa è la particolare forza del nuovo ordine: tutto si risolve a un livello puramente formale di trasmissione del potere. Un potere dunque vuoto per contenuto, il quale dovrà essere colmato solo da chi è legittimato a farlo. Da questo momento in poi il rappresentante è dotato di un potere irresistibile: qualsiasi diritto di resistenza[7] viene negato, anzi non è, d'ora innanzi, più concepibile.
Teologica
[modifica | modifica wikitesto]Dal punto di vista teologico sarebbe bene trattare della rappresentanza in riferimento alla rappresentazione. Nel XX secolo, l'attenzione al problema teologico-politico ha visto l'esplosione di un fecondo dibattito, la cui deflagrazione è dovuta, in parte, a Carl Schmitt. In base al suo celebre assunto secondo cui «tutti i concetti più pregnanti della moderna dottrina dello Stato sono concetti teologici secolarizzati» (Categorie del politico, trad. it. p. 61), il teorema della secolarizzazione diviene il fulcro interpretativo della realtà politica: in base a esso infatti è così possibile misurare il rapporto tra tempo storico e teologia.
Come tutti i più pregnanti concetti politici, anche la rappresentanza rimanda a una tipica struttura teologica[8]: rendere presente ciò che per sua natura è assente. Banalmente, esiste una parola per definire Dio, dunque si può sempre parlarne, sebbene, data la sua natura, non sia concettualmente definibile. In altre più chiare parole: Dio s'ha da rappresentarselo (Wittgenstein). Questa aporia si ripresenta anche all'interno della stessa logica della rappresentanza, e precisamente all'altezza del patto e relativa delega al rappresentante.
Tale dinamica ha una falla naturale e necessaria se si pensa al fatto che il rappresentante è sia effetto, sia condizione del patto: contemporaneamente agli individui non si dà, e quando si dà, gli individui non esistono più. Ciò riflette il suo lato, per così dire negativo, sul problema della decisione e del diritto di resistenza: come si legge nella Bibbia (Giobbe 40, 25-32) nessuno che viva sotto il cielo potrà mai sottomettere il mostruoso Leviatano.
L'analisi giuridica
[modifica | modifica wikitesto]La rappresentanza
[modifica | modifica wikitesto]La rappresentanza è la conclusione di un negozio giuridico (la manifestazione cosciente e volontaria di un proprio intento, a cui l'ordinamento giuridico riconnette quegli effetti ritenuti necessari o convenienti alla sua miglior realizzazione in forma giuridica), da parte di un soggetto (il "rappresentante"), "per conto" (nell'interesse) di un altro soggetto (il "rappresentato") e nei confronti di un terzo, e si distingue in: individuale e collettiva, di interessi e di volontà, organica e soggettiva nonché legale e volontaria.
Individuale e collettiva
[modifica | modifica wikitesto]La "rappresentanza individuale" è la rappresentanza il cui interesse è "individuale", cioè appartenente a un individuo.
La "rappresentanza collettiva" è la rappresentanza il cui interesse è "collettivo", cioè appartenente a una molteplicità di individui[9], e si distingue in
- "generale", che è quella il cui interesse è "universale", cioè appartenente alla totalità dei componenti della collettività, e
- "speciale", che è quella il cui interesse è "particolare", cioè appartenente a una parte – maggioritaria (l'"interesse maggioritario") o minoritaria (l'"interesse minoritario") – dei componenti della collettività.
Di interessi e di volontà
[modifica | modifica wikitesto]La "rappresentanza di interessi" è la rappresentanza il cui interesse è "oggettivo", cioè interpretato dal rappresentante. La "rappresentanza di volontà" è la rappresentanza il cui interesse è "soggettivo", cioè interpretato dal rappresentato.
Organica e soggettiva
[modifica | modifica wikitesto]La "rappresentanza organica" è la rappresentanza il cui rappresentante è un organo di una persona giuridica e il cui rappresentato è tale persona giuridica[10].
La "rappresentanza soggettiva" è la rappresentanza il cui rappresentante è un soggetto giuridico e il cui rappresentato è un altro soggetto giuridico e si distingue in:
- "diretta", che è quella il cui rappresentante agisce "in nome altrui" (con immediata destinazione degli effetti giuridici sul patrimonio del rappresentato - il potere di spendere il nome altrui"), e
- "indiretta", che è quella il cui rappresentante agisce "in nome proprio" (con immediata destinazione degli effetti giuridici sul patrimonio del rappresentante e con obbligo di successivo ritrasferimento degli stessi sul patrimonio del rappresentato).
Legale e volontaria
[modifica | modifica wikitesto]La "rappresentanza legale" è la rappresentanza il cui potere è conferito e regolato dalla legge[11].
La "rappresentanza volontaria" è la rappresentanza il cui potere è conferito e regolato dal rappresentato.
Nella scienza politica
[modifica | modifica wikitesto]La "rappresentanza politica", in uno Stato di democrazia classica[12], è quella normalmente vigente nelle democrazie moderne[13] e occidentali[14].
La dottrina politologica sottostante è stata enunciata da John Fitzgerald Kennedy con le seguenti parole:
«Democrazia vuol dire molto di più di governo popolare e dominio della maggioranza, molto di più di un sistema di tecniche politiche destinate a lusingare o ingannare potenti blocchi di votanti. (...) La vera democrazia, vivente e operante, pone la sua fede nel popolo; la fede che il popolo non eleggerà semplicemente uomini i quali rappresenteranno le sue opinioni abilmente e coscienziosamente, ma eleggerà anche uomini i quali eserciteranno il proprio giudizio coscienzioso.»
Hans Kelsen ha spiegato che questo carattere del parlamentarismo "è un compromesso tra l'idea di libertà politica e il principio della divisione differenziale del lavoro e che non solo le libertà, ma anche la divisione dei poteri sono un argine allo sconfinamento del principio democratico oltre il potere legislativo (ed anzi suggerisce l'idea che Montesquieu avesse formulato la nota teoria per salvaguardare uno spazio al sovrano piuttosto che al Parlamento). Ribadisce più volte che la rappresentanza è una finzione (anzi, la chiama anche "crassa finzione"), ma sostiene che la democrazia diretta è impossibile: l'unica forma di democrazia reale possibile è quella parlamentare"[15].
La critica sociologica
[modifica | modifica wikitesto]Proprio partendo da una rilettura delle analisi realistiche di Hans Kelsen[16], nella sociologia politica è sorta una critica al concetto moderno-occidentale della rappresentanza politica: essa afferma che tale concetto si è sviluppato essenzialmente secondo due contrapposte teorie, quella per cui la rappresentanza politica vigente nelle democrazie moderne e occidentali dovrebbe avere un carattere autoritario (la "teoria autoritaria") e quella per cui tale rappresentanza dovrebbe avere un carattere "democratico" (la "teoria democratica").
Nel distinguere la rappresentanza - secondo il grado di aderenza alla volontà dell'elettorato - in autoritaria, democratica e mista, tale dottrina[17] attribuisce a ciascuna di tali categorie le caratteristiche che seguono.
Autoritaria
[modifica | modifica wikitesto]La "rappresentanza politica autoritaria" è la rappresentanza politica, sul piano sostanziale, "generale" e "di interessi" nonché, sul piano formale, "organica" e "legale". Da quanto s'è detto, discendono i seguenti corollari:
- sul piano sostanziale, che il rappresentante e il rappresentato consistono, rispettivamente, nel "governante" e nella "totalità dei governati" e che l'atto rappresentativo può prescindere dall'elezione;
- sul piano formale, che il rappresentante e il rappresentato costituiscono un unico soggetto giuridico e che il rapporto rappresentativo è disciplinato da un accordo "morale" (regolato cioè da norme morali - il "mandato non imperativo"): sicché il precetto rappresentativo ha un carattere "morale" e la sanzione rappresentativa non può superare la "mancata conferma".
La rappresentanza politica autoritaria pertanto è caratterizzata dal potere del rappresentante politico di disattendere le promesse elettorali[18].
Gli autori principali della teoria autoritaria sono G. Jellinek[19], Vittorio Emanuele Orlando[20], Santi Romano[21] e Vincenzo Miceli[22], vissuti tra la seconda metà dell'Ottocento e la prima metà del Novecento.
La tesi fondamentale della teoria autoritaria è che la rappresentanza politica dovrebbe essere, sul piano sostanziale, generale e di interessi, poiché il massimo bene pubblico possibile consiste nella cura degli interessi universali e oggettivi dello Stato nonché, sul piano formale, organica e legale, poiché la complessità e l'imparzialità di tali interessi richiedono che il rappresentante abbia, rispetto al rappresentato, la titolarità diretta della sovranità (che, di conseguenza, dovrebbe essere unica e indivisibile).
Democratica
[modifica | modifica wikitesto]La "rappresentanza politica democratica" è la rappresentanza politica, sul piano sostanziale, speciale e di volontà nonché, sul piano formale, soggettiva e volontaria. Da quanto s'è detto, discendono i seguenti corollari:
- sul piano sostanziale, che il rappresentante e il rappresentato consistono, rispettivamente, nell'eletto e nella maggioranza degli elettori e che l'atto rappresentativo non può prescindere dall'elezione[23];
- sul piano formale, che il rappresentante e il rappresentato costituiscono due soggetti giuridici distinti, sicché, il precetto rappresentativo ha un carattere giuridico. La conclusione ulteriore - che il rapporto rappresentativo è disciplinato da un accordo giuridico (regolato da norme giuridiche - il "mandato imperativo") dotato di sanzione, consistente nella revoca - nega però il carattere libero della funzione rappresentativa[24] ed è stata affermata soltanto in particolari circostanze storiche (es. Comune di Parigi)[25].
La rappresentanza politica democratica, pertanto, è caratterizzata dall'obbligo di coerenza del rappresentante politico, rispetto agli impegni assunti in sede elettorale: la variabile, in proposito, è quella dipendente dal sistema elettorale, che lo rende responsabile come persona o come componente di un attore collettivo (partito, schieramento, movimento)[26].
La tesi fondamentale della teoria democratica è che la rappresentanza politica dovrebbe essere, sul piano sostanziale, speciale e di volontà, poiché il massimo bene pubblico possibile consiste nella cura degli interessi maggioritari e soggettivi dello Stato nonché, sul piano formale, soggettiva e volontaria, poiché la semplicità e la parzialità di tali interessi richiedono che il rappresentante abbia, rispetto al rappresentato, la titolarità indiretta della sovranità (che, di conseguenza, dovrebbe essere molteplice e divisibile).
Mista
[modifica | modifica wikitesto]Una teoria è stata affacciata, per conciliare le due esigenze[27] sottese alla rappresentanza: la rappresentanza politica autoritaria, rispetto alla democratica, ha il vantaggio di garantire un'amministrazione più flessibile, comportando una maggiore libertà del rappresentante[28], mentre la rappresentanza politica democratica, rispetto all'autoritaria, ha il vantaggio di garantire un'amministrazione più rappresentativa, comportando la cura degli interessi della maggioranza degli elettori anziché quella degli interessi personali del rappresentante[29].
La "rappresentanza politica mista" è la rappresentanza politica, in tutto o in parte, autoritaria o democratica. Essa pertanto è caratterizzata dalla libertà del rappresentante politico di obbligarsi o meno a rispettare, in tutto o in parte, le promesse elettorali[30]. Come ipotesi di conciliazione tra le due istanze, la rappresentanza mista potrebbe essere conseguita con l'istituzione di un "mandato costituzionale di rappresentanza politica"[31], cioè un mandato il cui accordo consisterebbe nella candidatura e intercorrerebbe tra lo Stato e il candidato. La "causa del negozio giuridico" consisterebbe nella rappresentanza politica, mentre l'oggetto consisterebbe nel nucleo essenziale del programma elettorale e sarebbe sospensivamente condizionato all'elezione. Una tale legge costituzionale, reintroducendo una sorta di mandato imperativo, metterebbe in concorrenza i partiti politici, oltre che sui programmi elettorali, anche sulle conseguenze della mancata realizzazione degli stessi, vincolando maggiormente i rappresentanti politici al rispetto delle promesse elettorali.
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ D. Nocilla e L. Ciaurro, (Rappresentanza politica, in Enciclopedia del diritto, Milano, 1987, p.552): «Si ritiene […] che i componenti di consigli, stati, curie, assemblee, parlamenti e diete medievali sarebbero stati legati ai rispettivi ceti, borghi, città e corporazioni da un rapporto di tipo privatistico, configurandosi come mandatari di questi ultimi, per rappresentarne interessi, volontà, desideri e richieste presso il sovrano. In altri termini le istituzioni rappresentative del Medioevo sarebbero state caratterizzate da tutti gli elementi propri del rapporto rappresentativo di diritto privato: i tre soggetti investiti (monarca, rappresentante e rappresentato), il vincolo del mandatario verso il mandante, le istruzioni specifiche di quest'ultimo al primo (i cahiers de doléance) e la conseguente necessità che i mandatari chiedessero ai propri mandanti istruzioni di fronte a questioni impreviste (i "mandati" ad audiendum et referendum), la revocabilità del mandato conferito, la sua onerosità.»
- ^ D. Nocilla e L. Ciaurro tuttavia, premettendo che, a ben considerare le fonti, si scopra come non tutto ciò che è proprio della rappresentanza pubblicistica fosse assente nella rappresentanza medievale, aggiungono: «La convocazione delle Assemblee non conteneva generalmente una indicazione degli oggetti da discutere, se non assolutamente indeterminata; e ciò al fine di consentire lo svolgimento delle stesse con ampi margini di libertà, senza costringere i rappresentanti a ritornare ad referendum presso le comunità che li avevano delegati: il che, del resto, sarebbe stato possibile solo con grave ritardo nella discussione e nella deliberazione sulle questioni in ordine alle quali il sovrano chiedeva auxilium et consilium. Quest'ultimo, poi, si preoccupava di chiedere che i rappresentanti inviati al Parlamento fossero muniti di plena potestas, onde l'instaurarsi spesso di un contenzioso tra funzionari governativi e comunità rappresentate in ordine alla nullità dei mandati recanti limitazioni. Di qui la prassi prevalente di inviare rappresentanti forniti di omnimoda potestas, cui si aggiungeva l'impegno da parte delle comunità stesse di eseguire quanto approvato dai propri inviati. Del resto, anche quando i mandati contenevano specifiche istruzioni per i rappresentanti, doveva ritenersi che questi ultimi, una volta eseguito quanto loro richiesto da tali istruzioni, fossero poi liberi di affrontare, discutere, votare tutte le altre questioni; gli stessi cahiers erano destinati ad essere rifusi nell'unico cahier che ciascuno dei tre ordini o Stati presentava al sovrano nel corso di quella sessione dell'Assemblea. Il mandato scritto, che generalmente era affidato ai rappresentanti, aveva lo scopo di giustificarne la legittimazione a partecipare all'Assemblea; e risulta chiara la preoccupazione dei sovrani di chiedere che i diversi soggetti collettivi designassero persone esperte e sagge, capaci di dare consilium, valutando non tanto gli interessi della comunità rappresentata, quanto, secondo ragione, quelli dell'intero reame, di cui il Parlamento tutto si considerava rappresentativo» (op. cit, pp. 553-554).
- ^ Guastaferro Barbara, Rinnegare Edmund Burke? «English Votes for English Laws» e rappresentanza politica, in Quaderni costituzionali, 2016 fasc. 3, pp. 573 - 575.
- ^ Cerutti C., L'istituto moderno-occidentale della rappresentanza politica, in Giustizia amministrativa, 2008 fasc. 2, pp. 192 - 200.
- ^ Caporali Giancarlo, Considerazioni sulla rappresentanza politica, in Diritto e società, 2007 fasc. 4, pp. 619 - 692.
- ^ Russo Mario, Nota su una recente edizione italiana de "La rappresentanza politica", di José Pedro Galvao de Sousa, in RIFD. Rivista internazionale di filosofia del diritto, 2012 fasc. 3, pp. 443 - 459.
- ^ Ragazzoni David, Gerhard Leibholz e i "mutamenti strutturali" della rappresentanza politica. Per una rilettura di "Der Gestaltwandel der modernen Demokratie", in Materiali per una storia della cultura giuridica, 2012 fasc. 1, pp. 179 - 202.
- ^ Duso Giuseppe, Ripensare la rappresentanza alla luce della teologia politica, in Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno, 2012 fasc. 41, pp. 9 - 47.
- ^ Buffoni Laura, La rappresentanza politica. Note sul rapporto di prossimità "divergente" tra processo e valore (di legge), in Osservatorio sulle fonti, 2015 fasc. 3, pp. 22 e ss.
- ^ Mangia Alessandro, La rappresentanza politica e la sua crisi. Un secolo dopo la prolusione pisana di Santi Romano, in Diritto e società, 2012 fasc. 3, pp. 461 - 492.
- ^ Ugo De Siervo, Rappresentanza politica e ruolo della legge, in Osservatorio sulle fonti, 2012 fasc. 3, pp. 8 e ss.
- ^ Ronchetti Laura, Rappresentanza politica come rappresentanza costituzionale, in Costituzionalismo.it, 2015 fasc. 3, pp. 32 e ss.
- ^ H. Kelsen scrive: «Le costituzioni delle democrazie moderne […] solo eccezionalmente conferiscono al corpo elettorale il potere di revocare i funzionari elettivi. Si danno tali eccezioni nelle costituzioni di alcuni Stati membri degli Stati Uniti d'America, quale la Costituzione della California, che all'art. XXIII, sez. 1, stabilisce: "Ogni pubblico ufficiale elettivo dello Stato di California può essere rimosso dal suo ufficio in qualsiasi momento dagli elettori aventi la facoltà di eleggere un successore a tale pubblico ufficiale, mediante il procedimento e nel modo qui previsti, procedimento che andrà sotto il nome di revoca…" [(il recall)].» (H. Kelsen, Teoria generale del diritto e dello Stato, Milano, 1980, p. 295).
- ^ Nell'ordinamento giuridico italiano, essa è regolata principalmente dall'art. 67 della Costituzione della Repubblica Italiana, che recita: «Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato».
- ^ Sabino Cassese, Hans Kelsen. Tornano due saggi di uno dei padri della giustizia costituzionale. La democrazia reale? È solo parlamentare, Il Sole 24 ore, 9 settembre 2018.
- ^ H. Kelsen scrive: «Per stabilire un vero rapporto di rappresentanza, non basta che il rappresentante sia nominato o eletto dal rappresentato. È necessario che il rappresentante sia giuridicamente obbligato ad eseguire la volontà del rappresentato, e che l'adempimento di questo obbligo sia giuridicamente garantito. La garanzia tipica è il potere del rappresentato di revocare il rappresentante, nel caso che l'attività di quest'ultimo non si conformi ai desideri del primo. […]» ... «La formula che il membro del parlamento non è il rappresentante dei suoi elettori ma di tutto il popolo, o, come taluno scrive, di tutto lo Stato, e che perciò non è vincolato da nessuna istruzione dei suoi elettori e non può venire revocato, è una finzione politica.»[…] «Se gli scrittori politici insistono nel definire un organo "rappresentativo" il parlamento della democrazia moderna, nonostante la sua indipendenza giuridica dal corpo elettorale, se taluni scrittori dichiarano persino che il mandat imperatif è contrario al principio del governo rappresentativo, essi non presentano una teoria scientifica, ma sostengono un'ideologia politica. La funzione di questa ideologia è di nascondere la situazione reale, di mantenere l'illusione che il legislatore sia il popolo nonostante il fatto che, in realtà, la funzione del popolo – o, formulata più esattamente del corpo elettorale – sia limitata alla creazione dell'organo legislativo.» […] «L'indipendenza giuridica del parlamento dal corpo elettorale significa che il principio della democrazia è sostituito, in una certa misura, da quello della divisione del lavoro. Per celare questo passaggio da un principio ad un altro, si ricorre alla finzione secondo la quale il parlamento "rappresenta" il popolo ».(H. Kelsen, op. cit., pp. 295-297).
- ^ https://www.diritto.it/pdf_archive/25977.pdf
- ^ Barbera Augusto, La rappresentanza politica: un mito in declino?, in Quaderni costituzionali, 2008 fasc. 4, pp. 853 - 886.
- ^ G. Jellinek scrive: «Nello Stato con costituzione rappresentativa, il popolo, come elemento unitario dello Stato, è nello stesso tempo membro attivo dello Stato, organo collegiale dello Stato: o – per esprimerci ancor più esattamente – quella parte del popolo, alla quale, secondo la Costituzione, compete […] l'esercizio di funzioni statali. Una parte di queste funzioni l'esercita il popolo stesso; l'altre, per mezzo di una deputazione, la quale, come organo del popolo, è nel contempo organo dello Stato stesso. Le rappresentanze popolari, adunque, sono organi secondari, cioè organi di un organo.» (G. Jellinek, La dottrina generale del diritto dello Stato, Milano, 1949, p. 153).
- ^ V. E. Orlando scrive: «Lungi dal rappresentare la media comune della intelligenza e della cultura del corpo elettorale, si presume che questi corpi siano ad essa grandemente superiori, componendosi degli elementi migliori che, in un dato momento storico, offre l'ambiente politico della nazione. L'eletto può rappresentare un generale indirizzo politico prevalente nel suo corpo elettorale ma, entro questa sfera molto larga (e l'attenervisi è per lui un obbligo morale ma, certamente, non giuridico), egli conserva una piena indipendenza di opinioni e di condotta, o, in altri termini, egli non rappresenta che sé stesso». (V. E. Orlando, Principi di diritto costituzionale, Firenze, 1917, pp. 88-89).
- ^ S. Romano scrive: «È però da rilevare che, quando si parla della rappresentanza della nazione o del popolo da parte della Camera o di altra istituzione e, quindi, di una relazione intercedente fra quest'ultima e la collettività rappresentata, alla parola relazione occorre dare un significato che non è quello di rapporto giuridico vero e proprio, in quanto essa non implica dei diritti o doveri della prima verso la seconda o della seconda verso la prima. (S. Romano, Principi di diritto costituzionale generale, Milano, 1947, p. 166.
- ^ V. Miceli scrive: «Il mandato politico secondo lo spirito della rappresentanza moderna] […] implica che la persona scelta debba rappresentare i bisogni e gl'interessi dello stato in genere e debba soprattutto occuparsi del suo generale benessere, quantunque non sia possibile di determinare in che modo e fino a che punto, tanto che se ne possa fare per essa un obbligo certo e preciso. Per questo l'obbligo imposto dal mandato politico al mandatario, non è un obbligo giuridico, ma è un obbligo puramente morale […].» (V. Miceli, Il concetto giuridico moderno della rappresentanza politica, Perugia, 1891, pp. 173 e 174).
- ^ Borrelli Gianfranco, Come rimediare alla Crisi della rappresentanza politica: nuove soggettivazioni e democrazia partecipativa, in Rassegna di diritto pubblico europeo, 2014 fasc. 2, pp. 9 - 36.
- ^ Dogliani Mario, La rappresentanza politica nello Stato costituzionale, in Questione Giustizia, 2014 fasc. 4, pp. 11 - 23.
- ^ Gemma Gladio, "Ratio" della rappresentanza politica: il buongoverno, in Diritto e società, 2014 fasc. 4, pp. 699 - 734.
- ^ Rescigno Giuseppe Ugo, Sistemi elettorali, rappresentanza politica, democrazia, in Lo Stato, 2015 fasc. 4, pp. 199 - 220.
- ^ Cerutti, C., La rappresentanza politica nei gruppi del Parlamento europeo. Il divieto di mandato imperativo, Wolters Kluwer-CEDAM, Milano, 2017, 93 ss.. Dogliani Mario, La rappresentanza politica come rappresentanza del 'valore' di uno stato concreto, in Democrazia e diritto, 2014 fasc. 2, pp. 7 - 26.
- ^ Secondo P. Ardant, La rappresentanza politica, in Rivista di diritto costituzionale, Torino, 1996, 164-167, la rappresentanza politica vigente nelle democrazie moderne e occidentali è una "rappresentanza snaturata", come, tra l'altro, risulterebbe dai seguenti fatti:
- che i partiti mirano al potere piuttosto che alla rappresentanza;
- che i partiti non sono organizzati in modo pienamente democratico;
- che gli eletti dipendono dai partiti piuttosto che dagli elettori (e, di conseguenza, rappresentano i partiti più che gli elettori);
- che gli eletti sembrano essere meno capaci e competenti del possibile;
- la diminuzione dei partiti fortemente caratterizzati e dei partiti generalisti;
- l'aumento dei partiti "pigliatutto", de-ideologizzati o dai programmi vaghi e poco differenziati gli uni dagli altri e dei partiti regionali, ecologisti o corporativistici;
- la moltiplicazione degli elettori fluttuanti.
- ^ V. Miceli scrive: «Egli sa che per essere eletto e quindi per essere confermato nelle elezioni successive, deve accontentare certe esigenze, e certi desideri, deve soddisfare certi interessi, e siccome l'ambizione di occupare quell'ufficio è nella più gran parte degli uomini più forte del desiderio del generale benessere dello stato, egli si deve sentire a preferenza attratto a favorire le aspirazioni dei suoi rappresentanti anziché a tener conto dei bisogni dello stato in genere. Inoltre i bisogni generali dello stato sono troppo complessi per potere essere da tutti compresi in tutta la loro estensione e percepiti in tutta la loro evidenza; mentre gl'interessi locali sono assai più semplici e possono essere facilmente percepiti e compresi e perciò stesso possono assumere maggiore importanza e gravitare con più forza sulla coscienza dei rappresentati, come su quella dei rappresentanti, onde essi anche in buona fede possono diventare a preferenza i campioni di questi ultimi. Ciò quando le cose si svolgono normalmente e quando non entrano in campo influenze immorali ed interessi sinistri; che quando poi queste seconde cause cominciano ad agire, non sono più i legittimi bisogni e le legittime aspirazioni dei gruppi quelle che a preferenza occupano la mente e dirigono le azioni del rappresentante; sono invece i bisogni egoistici, le aspirazioni ingiuste, le pretese esagerate dei piccoli centri, o di personaggi potenti e di grandi elettori. Questi dominano e tengono come incatenato il rappresentante, che non è se non una loro creatura, e lo fanno agire secondo il loro talento e per il conseguimento dello loro mire.» (Vincenzo Miceli, op. cit., pp. 147-148).
- ^ Stancati Paolo, Il principio di rappresentanza politica tra progressivo decadimento ed esigenze di rivisitazione, in Costituzionalismo.it, 2015 fasc. 1, pp. 114 e ss.
- ^ L'istituzione di un mandato costituzionale di rappresentanza politica, nell'ordinamento giuridico italiano, potrebbe avvenire, principalmente, tramite l'aggiunta all'art. 67 della Costituzione dell'inciso «salvo il disposto del mandato costituzionale di rappresentanza politica» (C. Cerutti).
Bibliografia
[modifica | modifica wikitesto]- Thomas Hobbes, Leviatano, testo inglese del 1651 a fronte, testo latino del 1668 in nota, a cura di R. Santi, Milano, Bompiani, 2001.
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- Gemma Gladio, "Ratio" della rappresentanza politica: il buongoverno - The rationale of political representativeness: good government, in Diritto e società, 2014 fasc. 4, pp. 699 - 734.
Voci correlate
[modifica | modifica wikitesto]- Corrente politica
- Governo
- Mandato elettorale
- Norma morale
- Ordinamento giuridico
- Politica
- Responsabilità politica
- Scienza politica
- Sistema elettorale
- Stato
- Stato di democrazia classica
- Rappresentante
Collegamenti esterni
[modifica | modifica wikitesto]- Th. Hobbes, Leviathan, eBooks@Adelaide.
- G. Duso, La logica del potere, polimetrica.com.
- Dizionario etimologico online, "rappresentàre", reperito il 07/05/2008.
- Milleplateaux, Il problema del "comune" e la teologia politica verticale: tra Taubes e Schmitt Archiviato il 5 marzo 2016 in Internet Archive., reperito il 08/05/2008.
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