Dardust: «Voglio uscire dalle gabbie dorate per raccontare la marginalità»

diAndrea Laffranchi

Il produttore di Mahmood e Angelina Mango pubblica «Urban Impressionism», nuovo album registrato a Parigi 

Dardust: «Voglio uscire dalle gabbie dorate per raccontare la marginalità»

 Dardust, nome d'arte di Dario Faini (48 anni), è musicista, compositore e produttore
discografico. Ha pubblicato 5 album

C’è periferia e periferia. Quella della narrazione trap dall’essere qualcosa di innovativo si è trasformata ormai in un cliché sterile. L’idea di applicare il tema a un disco strumentale apre una prospettiva diversa. Ci ha pensato Dardust, pianista e compositore (ma anche hitmaker e produttore), con il suo quinto album «Urban Impressionism».

L’architettura delle periferie urbane e il pianoforte. Come si mettono insieme?
«Questo è un disco di reset, sono ripartito da zero dopo “Duality” che spingeva all’estremo i miei due mondi, il pianoforte e l’elettronica. Sono andato a cercare l’imprinting della mia creatività che è nata in un piccolo borgo di campagna in provincia di Ascoli. Quello è un luogo ai margini, una zona liminale, dove senti il senso dell’abbandono e ti sembra che il mondo sia lontano. Una realtà bidimensionale alla quale ho dato una terza dimensione con il pianoforte. Ecco perché il titolo: mi sono sentito come un pittore impressionista che, con il piano al posto dei pennelli, ha dato colore a quel bianco e nero ».

Disco nato a Parigi, culla dell’impressionismo...
«Sì, ma mi sono fatto ispirare dai progetti architettonici brutalisti della periferia. Visitavo un posto e il giorno dopo, con la collaborazione di un talento jazz come Ze in the Clouds, nasceva un brano. Il cemento esposto, le strutture senza abbellimenti di quei palazzi sono come il suono di questo disco. Se l’artificio e il colpo di scena sono stati il mio modo di essere in passato, qui, nel piano e nei synth analogici, non ci sono orpelli. Abbiamo anche registrato, a Parigi, a New York, a Londra, dei rumori urbani: nello spettacolo dal vivo si sentiranno ancora di più rispetto al disco. Queste periferie però sono anche le aree emotive che noi rimuoviamo, i nostri non-luoghi, le ferite che mettiamo da parte e sulle quali dovremmo invece indagare».

In copertina c’è un piano spaccato in due…
«Nella musica neoclassica/contemporanea il piano è sempre legato al bosco, al mare, alla natura con un immaginario quasi new age, da mettere in sottofondo per rilassarsi, mi fa pensare ad Erik Satie che per provocazione definiva la sua musica da sottofondo. Quel gesto vuole essere un segno di rottura».

Nelle note che accompagnano il disco dice che «Golden Cage» è la sua fuga dalla gabbia dorata della fama e del successo: come produttore lei ha vinto due Sanremo (Mahmood e Angelina) e ha monopolizzato le classifiche degli ultimi anni dando il suono a canzoni che hanno raccolto 100 dischi di platino… Adesso la si vede meno presente, più concentrato sulla sua carriera solista. Ha rotto le sbarre?
«Non è lo scintillio dei dischi di platino a rendere la gabbia dorata, quanto il dare valore a quello che fai solo attraverso i numeri. Anche io ci ero cascato: ti ci porta il sistema, la competizione. Essere sotto pressione ti fa lavorare bene , ma per 5 anni, da “Riccione” dei Thegiornalisti a “Cenere” di Lazza sono stato onnipresente. Adesso non ho rinunciato a fare il produttore, ma da quella gabbia entro ed esco quando voglio. Lavoro in modo più rilassato, episodico: non credo più alle session con altri artisti dove si sforna un pezzo al giorno. Per dirla con una battuta: non ho più paura di arrivare ultimo».

A marzo ha due show a Milano e Roma (12 e 14), quindi dieci date in Europa: come sarà dal vivo?
«Sono stato vittima del pregiudizio che dal vivo si debbano dare tante cose al pubblico. Questa volta sarà uno spettacolo in bianco e nero e minimale, ma denso emotivamente: il colore lo metteranno il pianoforte e l’elettronica. E per la prima volta parlerò con il pubblico».

L’intelligenza artificiale può diventare concorrenza sleale?
«L’ho usata per cose rudimentali, come ricreare la voce dell’artista cui volevo far sentire un demo. Oppure come aiuto alla creazione di titoli dandole una mappa di concetti e facendole fare un lavoro in stile cut-up di Burroughs. L’AI può aiutare a sviluppare un pensiero laterale, ti porta ad associazioni che magari non pensavi, ma l’artista deve rimanere il regista, colui che dà un’impronta emotiva. Se la qualità dell’ascolto rimarrà distratta e bassa, però, temo che l’AI possa diventare una forma di concorrenza anche nella scrittura».

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9 novembre 2024 ( modifica il 10 novembre 2024 | 11:04)