Camillo Mariani coniatore di Medaglie
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CAMILLO MARIANI
CONIATORE DI MEDAGLIE
Di Camillo Mariani, nato di padre sanese il 1565 in Vicenza, morto in Roma nel 1611 e sepoltovi, non nella Basilica di Santa Maria Maggiore1, ma nella Chiesa di Santa Susanna2, fanno parola alcuni scrittori di cose vicentine, gl’illustratori delle chiese di Roma e, ciò ch’è più notevole, taluni tra i cultori riputati della storia dell’arte, quali il Passeri, l’Orlandi, il Baldinucci, il Baglioni ed il Lanzi. Stando agli epitafi, dettati in onore di lui da Girolamo Gualdo il giuniore, pubblicati la prima volta dal Barbarano3 e riprodotti di fresco nell’Arte e Storia e in questo periodico4, dovrebbesi ritenere ch’egli fosse esperto del pari nelle tre arti principali del disegno, nella pittura cioè, nell’architettura e nella scoltura. Il giudizio vuol essere però modificato, quando si ponga mente ai particolari, dati dagli scrittori5, che ne hanno fatto parola. Il Baglioni dichiara che la pittura non fu coltivata da lui che per puro diletto: né si sa che i saggi, lasciati, come fu detto, in qualche città dell'Italia6, si attirassero l’attenzione degli scrittori di cose di arte. Dicasi altrettanto dell’architettura. Per quanto il Baldinucci ne lodi la rara perizia7, non pare che l’opera del Mariani s’estendesse oltre l’esercizio della matita. Dove i biografi si accordano nel riconoscere in lui un vero valore, è nella scoltura, della quale rimangono prove mirabili in Roma e segnatamente nelle Basiliche di Santa Maria Maggiore, di San Giovanni in Laterano e di San Pietro in Vaticano. Chi fosse vago di particolari notizie in proposito, non ha che a consultare le opere del Baldinucci, del Titi e del Baglioni8, e uno scritto recentissimo del Bertolotti; dal quale si rileva che il Mariani sin dal 1597, quand’oltrepassava di poco i trent’anni, aveva già fermato stanza in Roma e vi godeva bellissima nominanza di principale tra’ Veneti, che vi esercitavano l’arte dello scalpello9. In Roma poi scolpiva non solo nella pietra e nel marmo, ma lavorava egregiamente di stucchi, e modellava storie e figure, fuse talvolta da Domenico Ferrari, valente allievo di Giambologna, o da qualcuno de’ suoi scolari. Fra gli artisti, usciti dalla scuola di lui voglionsi ricordare Paolo Sanquirico, Carlo Saracino e, superiore ad ogni altro, Francesco Mochi, delle cui opere son pur popolate le chiese di Roma10.
Il Baldinucci e il Baglioni dicono che il Mariani valesse ugualmente nell’arte della fusione e nel getto. Ma il fatto non s’avvalora di nessuna testimonianza, se pure i due scrittori non si riferiscono alle storie, fuse, come s’è detto, dal Ferrari, dal Mochi e forse da qualche altro artefice del tempo. Ch’essi però non dessero in fallo, lo provano sette medaglie, conservate, nel secolo XVII, in quel Museo de’ Gualdo, che fu poi, non si sa come, disperso. Gli individui, che vi si rappresentavano, erano sette vicentini, o tali per lo men riputati, Cornelio Gallo cioè, Quinto Remio Palemone, Aulo Cecina, Alferisio Conte di Vicenza, Giovanni da Schio, Alberto Marano Vicario Imperiale, e Girolamo Gualdo, Protonotario Apostolico11. Ho detto sette Vicentini, o tali per lo meno creduti, mancando ogni argomento per sospettare anche di lontano che la patria di Cornelio Gallo, vissuto a’ tempi d’Augusto e amico di Virgilio e di Orazio, fosse, come vogliono gli storici e i cronisti, di Vicenza12. La medaglia, coniata in onore del poeta, non è però inedita, né ignota, per quanto vuolsi pensare, all’Armand. S’egli non l’ha illustrata, fu forse perchè non la credette lavoro del secolo XVI.
Chi ne ha parlato da oltre cento e cinquantanni e ne ha fatto riprodurre anche le forme, fu il Mazzucchelli, il quale, senza toccare nemmeno di Freius, il Forlì delle Gallie, onde usciva il poeta, accenna a non so quale contesa tra’ Vicentini e Forlivesi, che nel Gallo vantavano e gli uni e gli altri un loro concittadino. Il dotto Bresciano ignorava però da qual punzone uscisse il lavoro: sospettava soltanto ch’esso fosse ispirazione de’ Vicentini, e lo qualificava una sfacciata impostura! La medaglia, del resto, ch’io tengo sott’occhio in un esemplare in gesso, custodito nel Museo Civico di Vicenza, ha il diametro di quarantasette millimetri. Sta scolpito, nel diritto, il busto del poeta, volto a sinistra, con la testa scoperta capelli e barba corti e crespi. Leggevisi all’ingiro: — CORNELIVS • GALLVS • VICENT • — Il rovescio, privo di leggenda, reca uno strumento musicale, che dal Mazzucchelli si qualifica per una lira, ma che ha forma piuttosto di liuto e poggia sovra un rotolo di papiro, o di pergamena13.
Altro lavoro del Mariani è la medaglia in onore di Quinto Remio Palemone, ond’erano adorni, già tempo, i due musei, de’ Gualdo14 in Vicenza e del Mazzucchelli in Brescia. Il suo diametro, come appare dall’esemplare riprodotto nel Museo Mazzucchelliano, è di centimetri cinquant’uno. Il busto di Palemone, raffigurato nel diritto, ha la faccia volta a destra. I capelli e il pizzo al mento son corti e crespi, la fronte calva e il vestito una specie di stolone a ricamo. Vi corre all’ingiro la leggenda: — Q • RHEMIVS • PALAEMON • L • L • L • B • F • GRAM • VIC • ATQ • REI • – Si rappresentano nel rovescio tre pastori scalzi, in veste succinta. Due, volti a destra, stanno in piedi, l’uno con un bastone nella destra, l’altro con una specie di tromba dopo le spalle. Il terzo, di fronte, è seduto a piè d’un tronco d’albero atteggiato in modo da accompagnare con la destra, levata, le parole, ch’egli proferisce.
Del Mariani custodivasi nel Museo Gualdo anche un esemplare della medaglia in onore di quell’Allieno Cecina che Cornelio Tacito dice di Vicenza e il cui valore ebbe a spiccare segnatamente a’ tempi dell’imperatore Vitellio. Nessuno, ch’io sappia, ne ha parlato di proposito, sicché s’ignora se essa siasi smarrita, o si conservi in alcuna delle molte collezioni pubbliche o private d’Italia e di altre terre; si ignora quali fossero le dimensioni, le leggende e ciò che vi si rappresentava, così nel diritto, come nel rovescio. Il solo Castellini, contemporaneo al Mariani, ne fa cenno di volo, avvalorando e non più la testimonianza del Gualdo. Non andrebbe forse lontano dal vero chi pensasse che le fattezze del celebre capitano vicentino, riprodotte in un manoscritto di Gian Marzio Cerchiari, un erudito vicentino del sec. XVII, si togliessero dal diritto di quella medaglia. Il busto, volto a destra e vestito d’un robone, stretto in sul davanti da un fermaglio, ha, secondo quell’abbozzo, i capelli corti e il mento senza barba. Nel Cerchiari non è cenno alcuno della leggenda, che si riporta però dal Castellini: — ALL • CAECINAE • VIC • VITELLII • IMP • DVCI • FORTISSIMO • OB • MVNVS • GLADIATORVM • APVD . SE • EXHIBITVM • CREMONA16. — La qual leggenda non è, a dir vero, che un’iscrizione, riferita, siccome immaginaria o adulterina, dal Trinagio17 e riprodotta con qualche alterazione terazione e senza dubbio alcuno sulla genuinità, del Marzari18. Ch’essa si leggesse per intero nel diritto, non è a credere. Una parte era scolpita forse nel rovescio, dove s’era coniata una qualche allusione a certi spettacoli, dati, come provano le parole e si asserisce dagli scrittori di cose vicentine, dal Cecina in Cremona. Né la riproduzione di una iscrizione, che spacciavasi per antica, dee fare maraviglia. Era della stessa natura la leggenda, scolpita in parte nel diritto della medaglia, coniata dallo stesso Mariani in onore del grammatico Palemone19. E d’altra parte chi non sa quale studio e quale industria si ponesse nella contraffazione delle medaglie antiche dal Belli, dal Cavino e da qualche altro degli artefici insigni del secolo XVI?
L’una delle due medaglie del Mariani, non isfuggita all’Armand, che ne attinse alla sua volta la notizia dal Mazzucchelli, è la coniata in onore di quel fra Giovanni da Vicenza o meglio da Schio, che il Balbo saluta come l’O’ Connel de’ tempi di mezzo. Il Mazzucchelli dichiara d’aver avuto l’esemplare, onde adornavasi il suo Museo, da Giambattista Febri, un esimio gentiluomo d’Orvieto. Ma nell’opera dell’Armand24, come nel Museo Mazzucchelliano25, la medaglia è data tra quelle di autori non conosciuti. Il suo diametro è di centimetri quarant’otto. Il diritto reca il busto del frate, volto a destra e vestito dell’abito dell’Ordine de’ Predicatori, col capo scoperto, raso per intero, tranne una piccola corona circolare di capelli assai corti, e col mento senza barba. Vi si legge all’intorno: — IOANES • SCLEDVS • VICENTINVS • ORDINIS • PRAEDIC • — Rappresentasi nel rovescio, secondo il Mazzucchelli, un elmo, o, secondo l’Armand, un globo, circondato di fiamme, con la leggenda: — PACEM • RELINQVO • VOBIS • — Di fra Giovanni parlano, più o meno particolareggiatamente, il Maurisio di Vicenza e fra Salimbene da Parma, due cronisti contemporanei di non piccola autorità. L’uno e l’altro del pari che gli altri scrittori del tempo ne magnificano la singolare eloquenza, per la quale, legato apostolico di Gregorio IX e d’Innocenzo IV, il Da Schio ebbe a sedare discordie inveterate e accanite e ad affratellare principi e popoli. È ricordata in modo particolare l’opera di lui nella pianura di Paquara, a tre miglia da Verona, dove parlò con tanta efficacia a prelati, a principi e a centinaia di migliaia d’individui, che, deposti gli odi, partirono abbracciandosi e baciandosi amici e fratelli. Il passo biblico, onde prese le mosse il discorso, fu appunto il motto evangelico, scolpito nel rovescio della mediaglia, per la quale s’intese di commemorare, a quanto sembra, il successo pia eminente dell’eloquenza e delle fatiche apostoliche dell’insigne Domenicano.
Io non saprei certo additare in quale collezione numismatica si conservi la medaglia, coniata dal Mariani in onore d’Alberto Marano, che fu, secondo gli scrittori di cose vicentine. Vicario Imperiale in Verona. Il Conte Giovanni da Schio lasciò scritto che un esemplare possedevasi, al suo tempo, da’ discendenti26. È forse l’esemplare, onde fu tolta l’effigie, o a meglio dire il fac-simile in gesso, eh’ io tengo sott’ occhio, custodito nel Museo Civico di Vicenza. La dimensione è di centimetri quarantaquattro. Sta scolpito, nel diritto, il busto d’ Alberto, volto a destra, in barba e con la testa quasi calva del tutto, circondato dalla leggenda: ALBERTVS • MARANVS • VICENT • FEDERICI • I • IMP • VIC • Il rovescio reca l’aquila imperiale a due teste, senza nessun motto. I cronisti vicentini, che parlano, o piuttosto fan cenno d’Alberto, dicono che l’ufficio di Vicario si esercitasse da lui nel 124427. Il qual anno, quale è scolpito nella leggenda della medaglia, non s’accorda di certo con l’età di Federico I. Vi si dovrebbe leggere, invece. Federico II, con la cui età s’accorderebbe anche il luogo della residenza, che, al dir del Barbarano 28, sarebbe stata Verona. Lascio alla critica l’indagare e decidere quanto ci sia di vero intorno al Marano che, in onta all’antichità del casato in Vicenza, potrebbe anche essere un individuo immaginario. Dirò soltanto che l’anacronismo vorrebbesi imputare al difetto forse d’erudizione nell’artefice, a cui la fonte della notizia non dichiarava a quale de’ due Federici, I o II, avesse servito, come pur si vedrà, il Vicentino. Dell’anacronismo sembra però s’avvedessero i discendenti. Lo deduco da un atto, rogato per man di notaio nel 1709. Volendosi rendere palese per esso alla Signoria di Venezia l’antichità e nobiltà del casato, citavasi tra le prove anche la medaglia, che chiamasi antica, della quale vi si riproducono esattamente il diritto ed il rovescio. Un’unica alterazione si incontra nella leggenda. L’imperatore non è Federico il Barbarossa, ma Federico II. Vi si legge cioè: — ALBERTVS • MARANVS • VICENT • FEDERICI • II • IMP • VICA29.
Io non ispenderò molte parole sulla medaglia del Mariani in onore di Girolamo Gualdo, prelato a’ servigi da prima del cardinale Pompeo Colonna e poi del cardinale Nicolò Ridolfi, canonico della Cattedrale della sua patria, Protonotario apostolico, letterato di bel grido, poeta e fondatore del Museo, ora disperso, nelle sue case in Pusterla30. Nato in Vicenza nel 1492 e mortovi a settantaquattro anni nel 1566. Di essa, illustrata dal Mazzucchelli31, e dall’Armand32 ho già dato alcuni ragguagli nell’ Arte e Storia33, ristampati poi anche in questo periodico34. Ripeterò solamente che il diametro è di millimetri quarantotto e che intorno al busto, volto a sinistra, con la testa calva e la barba intera, si legge: — HIERONYMVS • GVALDVS • PROTONOTARIVS • APOST • — e nel rovescio il motto: — INTER • VTRVNQVE intorno a una tartaruga e a un delfino, attaccati l’un l’altro per le code indirizzantisi per opposto cammino sopra la superficie del mare. È il motto, che l’egregio uomo, seguendo il vezzo de’ tempi, sceglieva per la sua impresa, scolpita anche nella casa, ove si raccoglieva il Museo: motto, inteso a notare che l’uomo non deve procedere nelle azioni né troppo celere come il delfino, né troppo lento, come la testuggine; ma contenersi nel mezzo a’ due estremi, secondo quell’antichissimo adagio: medio tutissimus ibis.
Descritte e illustrate così le sette medaglie, io devo dichiarare che non so quale coltura letteraria s’avesse il Mariani. Non sembra però da mettersi in dubbio ch’egli si proponesse d’onorare con esse la patria sua in altrettanti illustri vicentini. E la conoscenza di questi suoi concittadini, tranne forse del Gualdo, non gli poteva derivare che da un libro, la Historia di Vicenza di Giacomo Marzari35. Vero è che i fasti della città erano stati raccolti anteriormente da Giambattista Fagliarini; ma le Croniche di questo, in latino e inedite sin’oltre il mezzo del secolo XVII, non potevano certo prestarsi alla erudizione di un artista, che non faceva, com’è a credere, professione di lettere. Uno scritto, che doveva acquistare in Vicenza una certa popolarità era, invece, il libro del Marzari, il primo, che uscisse per le stampe, di storia vicentina. E che il Mariani attingesse esclusivamente da quello il concetto delle sue medaglie, si fa manifesto anzi tutto dalle leggende intorno a’ busti di Quinto Remio Falemone e di Allieno Cecina. In esse non si riproducono già, come s’è detto, le antiche iscrizioni, quali con una certa dottrina si erano illustrate antecedentemente e pubblicate da Bernardino Trinagio36, ma quali si leggono con non dubbie interpolazioni nell’Historia di Vicenza. E più che dalle leggende in onore di Palemone e di Cecina, si fa manifesto dalla leggenda, scolpita nel rovescio della medaglia del conte Alferisio.
Dove il Marzari attingesse le notizie intorno a questo illustre Vicentino, che si presenta a’ posteri avvolto, se così si può dire, entro il velo del mito, io non so né giova ora indagare. Ben posso aggiungere che né il Pagliarini, ne altri lasciano neppur sospettare che l’impresa, alla quale si allude nella medaglia, si riferisca a’ tempi di Giovanni V pontefice, anziché dell’VIII. E la leggenda fa risalire l’avvenimento, come nell’istoria del Marzari, non a Giovanni VIII, ma al V. Un’unica contraddizione si sorprende tra ciò, che dice lo storico vicentino e la medaglia in onore del Marano. Il Vicariato cioè dell’impero, ufficio tenuto nel 1244, non s’accorda in nessun modo con la leggenda della medaglia, che reca il nome non di Federico II, ma di Federico I il Barbarossa. Questa non è però una contraddizione di molto conto. È derivata forse dalla scarsa erudizione dell’artefice. Il Marzari aveva detto bensì che il Marano era stato, nel 1244, Vicario dell’imperatore Federico, ma non aveva soggiunto di quale. Sicché non é da far maraviglia, mi pare, se il Mariani, ignaro, per quanto è dato congetturare, della cronologia, scambiava il secondo col primo. Erano errori, comuni in quel tempo non solo agli idioti, ma agli uomini stessi, che facevano professione di studi.
Rimarrebbe ora a definire in qual tempo coniasse il Mariani le sette medaglie. Ch’esse fossero lavoro giovanile, non è, mi sembra, nemmeno da mettersi in dubbio, quando si pensi che all’artefice, uscito di patria, non mancarono frequenti e onorifiche commissioni, che dovevano tenerlo di continuo occupato. Vuolsi poi avvertire che la prima edizione dell’Istoria del Marzari è uscita nel 159037. Il che trae naturalmente a pensare che le medaglie non si coniassero prima di quell’anno, quando il Mariani toccava i venticinque anni. Erano forse esercizi, fatti da lui prima d’abbandonare la patria o, se vogliamo, anche le terre della Venezia, per correre altre città’ dell’Italia e fermare il suo soggiorno in Roma. Né a si fatto lavoro è a credere gli dovesse mancare qualche impulso. Fiorenti, forse allor più che mai, erano in Vicenza i casati dei Conti, dei Marano, dei Da Schio, e dei Gualdo. Perchè non si potrebbe pensare che incitamento all’opera gli si facessero le commissioni d’alcuni individui di que’ casati, o il desiderio di accaparrarsene la grazia e il patrocinio? Dirò anzi che quanto a’ Gualdo, non vuolsi nemmen sospettare che la cosa procedesse altrimenti. Basta ricordare l’intima amicizia, che legava l’artefice a Monsignor Gualdo il iuniore, il quale, pregato dallo scolare Pasquale da Vicenza, ne dettava l’epitaffio da scolpirsi sul sepolcro in Santa Susanna di Roma e ne piangeva, a un tempo, la morte con alcuni distici latini di sentita commiserazione38. E quanto alle medaglie in onore di Cornelio Gallo, di Quinto Remio Palemone e di Allieno Cecina, perchè non si potrebbe pensare che all’artefice venisse il movente dal vezzo delle contraffazioni così vivo in quel tempo, nell’Italia e segnatamente in Vicenza ed in Padova? Il Belli era morto bensì da quasi mezzo secolo e il Cavino da circa vent’anni, ma viveva ancora Alessandro Bassano, ch’era stato il braccio destro all’ultimo dei due, e dovea esser fresca la memoria così del Vicentino, come dal Padovano, che avevan dato il non lodevole esempio. E per ciò che riguarda la medaglia in onor del Marano, un individuo forse imaginario, mi viene pure un sospetto, che non voglio tacere. Sa ognuno come nell’età del rinascimento fosse comune il vezzo di studiare le analogie de’ nomi di famiglie, relativamente recenti e, se vuolsi, anche oscure co’ nomi di antichi casati, con l’intento di metterne in evidenza le più strane parentele. Perchè non potrebbe anche darsi che Camillo, intravveduta una certa analogia tra il Marano e i Mariani, mirasse a nobilitare i principî della sua famiglia fondendola nelle origini con l’antico Casato di Vicenza? L’esempio non sarebbe nè unico, nè nuovo.
- Vicenza, ottobre 1890.
Note
- ↑ Gerolamo Gualdo nell’Arte e Storia, 31 dicembre 1889, e nella Rivista Italiana di Numismatica, anno III, fasc. I, 1890.
- ↑ Baglioni, Vite dei pittori, scultori, architettti e intagliatori, Napoli, 1733.
- ↑ Barbarano, Historia Ecclesiastica di Vicenza, lib. IV, pag. 413 e 414. Vicenza 1760.
- ↑ Arte e Storia e Riv. It di Num., loc. cit.
- ↑ Vedi specialmente il Baglioni nell’opera citata. Baldinucci, Notizie de’ Professori del disegno, vol. X, Milano, 1822, e Titi, Ammaestramenti di pittura, scoltura e architettura nelle Chiese di Roma. Roma, 1686.
- ↑ Baglioni e Baldinucci, op. cit — Orlandi, Abecedario pittorico. Venezia, 1758.
- ↑ Baldinucci, op. cit.
- ↑ Baglioni, Baldinucci e Titi, op. cit.
- ↑ A. Bertolotti, Artisti Veneti in Roma ne’ secoli XV, XVI e XVII Venezia, 1884.
- ↑ Titi, Baglioni e Baldinucci, op. cit.
- ↑ Morsolin, Girolamo Gualdo, nella Riv. It di Num., anno III, fasc. I. Milano, 1890 e in Arte e Storia, n. cit.
- ↑ Pagliarini, Croniche di Vicenza, lib. I e IV. Vicenza, 1663. — Marzari, Historia di Vicenza, lib. II. Vicenza, 1590. — Castellini, Storia di Vicenza, vol. II. Vicenza, 1782. — J. Barbarani, Vicentiae Monumenta, Venetiis, 1568.
- ↑ Musaeum Mazzucchellianum, Tom. I, pag. 16, tav. III, n. 9. Venetiis, 1761.
- ↑ Idem, Tom. I, pag. 38, tav. VI, n. 6. Venetiis, 1761.
- ↑ «Una medaglia di Palemone in metallo si conserva presso il nob. Gio. Paolo Vajenti: ha nel diritto la testa di Palemone con queste parole all’intorno: q . rhemivs . palaemon . l . l . l . b . f . gram . vic . atq . ret.; nel rovescio i due pastori Menalca e Dameta davanti a Palemone siccome a lor giudice, col motto di Virgilio, preso dall’Egloga III, intitolata Menalchas, Dameta et Palaemon: venit . ecce . palaemon.». Vincenzo Gonzati, Nota al Giardino di Cha Gualdo, Msc. in copia, conservato nella Biblioteca Comunale di Vicenza.
- ↑ Castellini, Storia di Vicenza, vol. II, lib. II, pag. 26.
- ↑ «Vix dici queat (è un dialogo, ove parla Giangiorgio Trissino) quam libenter his eas apponerem inscriptiones, quas olim mihi Franciscus Conternius et Hieronymas Mausonius, viri ut eruditi, ita et mei familiares, dum me in meum Cornetanum salutandi gratia convenissent, obtulerunt, nisi commentitias et piane adulterinas esse crederem. Sed, si quis ex vobis scire cupit, hae sunt, si minus verae, verisimiles certe, ac pro instituta materia ingeniosae: a . caecinae . vitelliani . exercitvs . imperatori . ob . virtvtem . et . mvnvs . gladiatorvm . apvd . se . exhibitvm . cremon.» — Trinagii, Veteres vicentinae Urbis atque Agri Inscriptiones. Vicentiae, 1577.
- ↑ Marzari, Historia di Vicenza lib. II, Vicenza, 1590. — La lezione del Marzari non collima in tutto con la lezione né del Castellini, né del Trinagio. Vi si legge, invece: a . caecinnae . feliciss . ex . viteliani . exercit . imp . ob . virtvtem . et . mvnvs . gladiatorvm . ap . se . exhibitvm . cremona. — E dire che il Marzari dichiara d’aver riprodotto il testo del Trinagio!
- ↑ Trinagii, Op. cit.
- ↑ Marzari, Historia di Vicenza, lib. II, pag. 121. Vicenza, 1590.
- ↑ Barbarano, Historia Ecclesiastica di Vicenza, lib. IV, pag. 244. Vicenza, 1760. — Castellini, Storia di Vicenza, tomo IV, pag. 89. Vicenza, 1782. — Pagliarini, Op. cit, lib. IV. Vicenza, 1668.
- ↑ Barbarano, Op. e loc. cit — Pagliarini, Op. e loc. cit. — Castellini, Op. e loc. cit. — Marzari, Op. e loc. cit.
- ↑ Morsolin, Alferisio conte di Vicenza, cimelio dell’età del Rinascimento (Atti dell’Accademia Olimpica): Vicenza, 1880. – Idem, Le Collezioni di cose d’arte nel secolo XVI in Vicenza, Vicenza, 1881.
- ↑ Armand, Les Médailleurs Italiens, tomo, II, pag. 10 1 n. 16, Paris, 1883.
- ↑ Musaeum Mazzucchellianum, Tom. I, pag. 35, tav. VI, n. 1. Venetiis, 1761.
- ↑ Da Schio, Memorabili, alla voce Marano. Msc. nella Biblioteca Comunale di Vicenza.
- ↑ Marzari, Op. cit., lib. II, pag. 124. Vicenza, 1690. — Il Marsari dichiara d’aver attinta la notizia dalle Croniche del Pagliarini.
- ↑ Barbarano, Op. cit., lib. IV. Vicenza 1760.
- ↑ Della Famiglia Marano, Libro B, Msc. nella Biblioteca Com. di Vicenza.
- ↑ Magrini, Notizie su Girolamo Gualdo. Vicenza, 1854.
- ↑ Musaeum Mazzucchellianum vol. I, tav. LXII, n. 4. Venetiis. 1761.
- ↑ Armand, Op. cit. tom. II, pag, 177, n. 18.
- ↑ Arte e Storia, 6 dicembre 1889. Firenze
- ↑ Riv. It. di Num., anno III, fasc. I, 1890. Milano.
- ↑ Marzari, Op, cit. Vicenza, 1590.
- ↑ Trinagii, Op. cit. Vicentiae, 1577.
- ↑ Marzari, Historia di Vicenza. In Vicenza appresso Giorgio Greco, MDLXC.
- ↑ Morsolin, Op. e loc. cit. Milano, 1890.
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