Nobiltà
Secondo una definizione dovuta allo storico Marc Bloch, si definisce nobiltà una classe dominante che abbia uno statuto giuridico suo proprio che confermi e materializzi la superiorità che ella pretende e, in secondo luogo, che tale statuto si perpetui per via ereditaria. È ammessa, a favore di alcune famiglie nuove, la possibilità di conquistarne l'accesso, anche se in numero ristretto e secondo norme regolarmente stabilite.
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Storia
[modifica]Presso il popolo ebreo la primogenitura costituiva una specie di nobiltà con speciali diritti. Una vera casta con privilegi si ebbe nell'Egitto, nell'India, nella Persia. Nella Grecia di Omero alcune famiglie vantavano origine divina o eroica, che era vanto e stimolo ai discendenti. A Roma, nei primi tempi, era netta la distinzione tra patrizi e plebei; in seguito tra nobili e non nobili. Ma la nobiltà ereditaria, è di origine feudale e cavalleresca, e trovò nuovo alimento nelle Crociate e nella lotta tra Chiesa e Impero.
Il potere di concedere titoli nobiliari, cioè, oggidì, appellativi onorifici che usualmente qualificano anche la discendenza dell'individuo in tal modo onorato, é prerogativa degli enti sovrani di diritto internazionale, cioè degli stati e degli enti a questi assimilanti in forma piena o meno piena (fra cui principalmente la Santa Sede e il Sovrano Militare Ordine di Malta), perché nell'Europa feudale questi stessi appellativi implicavano, per la maggior parte, giurisdizione territoriale.
Si ebbe in sostanza nella prima età feudale quella che è stata chiamata "nobiltà di fatto", legata alle funzioni di amministrazione del potere comunque delegato dal sovrano e i cui privilegi consistettero, in origine soprattutto, nella concessione di terre.
Una nobiltà di diritto si formò e si costituì tra i secoli XI e XIII: anche in questo caso la nobiltà fu legata a una funzione preminente e caratterizzante, quella militare, e a privilegi legati a modi di possesso di terre e territori; ma i modi di accesso a questo tipo di nobiltà furono regolati non solo da tradizioni consolidate, bensì anche da statuti giuridici.
Uno dei più caratteristici privilegi della nobiltà cittadina fu l'ammissione dei soli nobili ai più prestigiosi collegi professionali (collegio dei giureconsulti, dei fisici (medici), ecc..). I privilegi più comuni della nobiltà furono normalmente d'ordine fiscale, cioè esenzioni totali o parziali da vari tipi di imposte, e d'ordine giudiziario: comunemente il nobile poteva essere giudicato solo da nobili, da suoi pari, molto spesso costituiti in tribunale speciale.
Il diritto nobiliare contemplò sempre anche i casi per i quali si perdeva la nobiltà: dovunque comportava perdita della nobiltà (e dei relativi privilegi) una condanna per crimini contro il sovrano o contro il proprio paese, in molti casi anche una condanna per delitti comuni di particolare gravità; era anche generalmente considerata motivo di perdita della nobiltà qualsiasi attività considerata "servile" cioè legata a lavoro manuale.
La successione nei titoli nobiliari, normalmente disposta nell'atto di concessione del titolo, può avvenire per soli maschi primogeniti, in favore dei discendenti maschi, in favore di tutti i discendenti, maschi e femmine (per queste solo a titolo personale e senza trasmissione ai discendenti). Il titolo nobiliare si trasmette ai soli figli legittimi, non agli adottati, né ai naturali, né ai legittimati per rescriptum principis, ma solo ai legittimati per subsequens matrimonium, salve sempre diverse statuizioni del sovrano.
Dopo la Rivoluzione francese, anche nei Paesi da essa non toccati ma nei quali si erano ormai affermati alcuni dei principi ideali da cui la Rivoluzione era nata, andò mutando la concezione dello Stato e definendosi una nuova idea di nazione: la nobiltà, persi ormai i privilegi di tipo feudale, vide ridursi ovunque e rapidamente sparire quasi dovunque anche gli altri privilegi tradizionali che nei confronti dello Stato la ponevano prima in rapporto diverso da quello dei non-nobili.
Durante il regno d'Italia la nobiltà non ebbe particolari privilegi, o prerogative, o precedenze; nonostante la forma monarchica dello Stato Italiano la nobiltà ebbe scarso rilievo nella vita ufficiale nazionale.
Se nel corso dei secoli ha spesso rappresentato la classe dirigente della società, oggi (soprattutto in un'Europa in cui in molti paesi i titoli nobiliari non sono riconosciuti), la nobiltà si presenta talvolta come un ceto interessato a conservare le tradizioni ataviche e la memoria storica, anche con un certo attivismo in campo sociale e culturale.
In Italia i titoli nobiliari non sono più riconosciuti dal 1948:soltanto però per effetto di una "Disposizione transitoria" (la XIV della Costituzione repubblicana) sono invece riconosciuti e tutelati i predicati dei titoli nobiliari esistenti prima del 28 ottobre 1922 (marcia su Roma) i quali infatti lo stato gli aggiunge al cognome dell'avente diritto, con una sentenza della magistratura ordinaria, provvedimento che si chiama "cognomizzazione del predicato feudale". Un riconoscimento ufficiale da parte dell'attuale ordinamento giuridico, relativamente al titolo nobiliare di derivazione feudale, goduto anticamnete da un casato.
Un'appossimativa indagine, compiuta sulla diciottesima edizione del "Libro d'oro della nobiltà italiana" 1981-1985 Roma (Collegio araldico), permetteva di individuare in Italia la permanenza di oltre quattromila famiglie nobili, delle quali circa un terzo di nobiltà cosiddetta semplice, priva cioè di titoli al di sopra di quello di nobile e due terzi dotate di titoli nobiliari superiori: questi sono, in ordine gerarchico decrescente, senza che ciò però implichi una correlazione tra importanza del titolo e importanza del casato, i titoli di: principe (circa il 6,5 per cento sugli altri titolati), duca (circa il 4 per cento), marchese (circa il 24 per cento), conte (oltre il 52 per cento), visconte (lo 0,1 per cento), barone (circa il 13 per cento).
Titoli nobiliari
[modifica]Ecco, di seguito, i titoli nobiliari in ordine gerarchico:
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