l’intervista

Larry Fink (BlackRock): «Il populismo dei politici alimenta l’inflazione. I leader trovino obiettivi comuni»

di Federico Fubini

Il fondatore e ceo del maxi gestore BlackRock: il protezionismo costa. «Il caro vita non danneggia il 25% più ricco, ma il più povero della popolazione»

Larry Fink, 68 anni, numero uno di BlackRock (foto Getty Images)

Larry Fink

Larry Fink è quella che lui chiama «una voce dell’ottimismo». BlackRock, il fondo d’investimento che ha fondato a New York nel 1988 e che guida, ne ha le ragioni: dal 2022 ha visto crescere gli attivi in gestione di duemila miliardi di dollari ed oggi, a quasi diecimila miliardi, è il primo investitore al mondo.

C’è un divorzio fra un quadro geopolitico drammatico e mercati finanziari placidi e robusti?
«Con nuovi massimi delle Borse», nota Fink. 

Ai mercati non interessano le guerre?
«Non penso sia indifferenza. Malgrado l’instabilità geopolitica, nel complesso le economie stanno andando piuttosto bene e le aziende mostrano tenuta. Il maggiore problema è il nostro umore. E il populismo. Non ci sono abbastanza leader che parlano di ottimismo. Certo le questioni geopolitiche sono serie. Sono tragedie, spaventano. Ma sono isolate nell’economia mondiale. Abbiamo visto all’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina le implicazioni sull’energia». 

Eppure i prezzi del petrolio stanno calando.
«L'Europa ha cercato diverse fonti di energia ed è positivo. Penso che stiamo vedendo lo stesso riguardo alla Cina. Il mondo è stato molto dipendente dalla Cina come fonte di produzione, ma ora in molti capiscono che bisogna diversificare. Potrebbe rivelarsi inflazionistico nel breve. Ma nel lungo si riduce il rischio».

Non la preoccupano le due guerre che infuriano?
«In questo momento non stanno plasmando il mondo. Certo, se l’invasione da parte della Russia finirà male per l’Ucraina, ciò avrà un impatto sull’Europa. Dovremo tutti adattarci, ma questo significa che la vita di tutti deve finire?». 

Con l’invecchiamento della popolazione, aumenta la difficoltà dei governi in Europa nel sostenere il welfare. Come se ne esce?
«È importante adottare partenariati pubblico-privati. Deficit pubblici come quello qui in Italia o negli Stati Uniti stanno diventando molto difficili, mi preoccupano. Ma l’unico modo in cui possiamo risolverli è attraverso la crescita, non con le strette di bilancio. Una stretta non fa che contrarre l’economia, peggiorando a sua volta i deficit. Invece dobbiamo chiederci come accelerare la crescita. Sono convinto che ogni governo debba rendere più efficiente la burocrazia dei permessi. Perché servono sette anni per un permesso per installare infrastrutture, tecnologie verdi o una centrale nucleare civile? La Cina e Abu Dhabi sviluppano energia nucleare ogni giorno. Sbagliano loro o sbagliamo noi?». 

In Italia, le regioni non collaborano nell’individuare aree per il fotovoltaico e l’eolico.
«Quanto accade negli Stati Uniti dovrebbe servire da modello per l’Italia. Gli Stati Uniti hanno creato l’Inflation Reduction Act (Ira), e funziona. La grande maggioranza dei progetti va negli Stati dove i permessi sono più veloci. Se vogliamo creare crescita, dobbiamo ripensare a come andiamo avanti ed essere molto aggressivi nel trovare canali di crescita. Se l’Italia riuscisse a crescere al 2% invece che all’1%, i deficit diventerebbero molto più piccoli in rapporto al Pil». 

La polarizzazione nelle elezioni in Europa e negli Stati Uniti può diventare un problema per i mercati?
«Non posso preoccuparmi di quale partito sia al potere, il nostro compito è lavorare con tutti. Ma non c’è dubbio che il populismo sia inflazionistico. Il populismo riguarda l’oggi, non il domani. Invece, a BlackRock ci preoccupiamo del futuro e della crescita a lungo termine. Sono stato a Milano per la prima volta nel 1971. Era una città cupa, annerita dalla guerra. Ricordo l'inquinamento delle fabbriche. E guardi Milano oggi. Questa è la crescita di lungo periodo a cui tengo». 

Il protezionismo aumenta: Stati Uniti, Europa e India vogliono dazi sulle auto elettriche cinesi; Pechino medita ritorsioni. Preoccupante?
«Ogni paese si sta concentrando di più sul protezionismo, e il protezionismo è inflazionistico. E’ uno dei motivi per cui l’inflazione resterà più alta più a lungo. Quando parlo con i politici, mi dicono che ci serve più protezionismo. Che va imposta una priorità nazionale sugli alimenti, sui chip o l’energia. A loro chiedo quali sono i costi. Perché le economie sanno adattarsi. Ci sarà protezionismo contro la Cina? Le catene di fornitura si spostano in Messico o in Vietnam». 

Vuol dire che la globalizzazione non si può sopprimere?
«Ma l’intero processo mantiene l’inflazione viva. E il fattore più negativo per il 25% più povero della popolazione è proprio l’inflazione: non danneggia il 25% più ricco, ma il più povero». 

E spingerà le banche centrali a tenere tassi più alti?
«Avremo un’inflazione dei servizi in aumento. Resterà elevata. Oggi puoi comprare un paio di scarpe da tennis al prezzo di 30 anni fa. Ma se vuoi vedere un concerto di Taylor Swift o a una partita del Milan, paghi molto di più. L'assicurazione sulla casa aumenta dal 12% al 18% all'anno». 

Perché l’inflazione arricchisce chi ha di più e impoverisce chi ha meno?
«Vale per gli Stati Uniti e probabilmente anche per l’Italia. La società sta invecchiando. Il 25% superiore dell’economia ha risparmiato e ora ha un surplus di fondi. Sono queste principalmente le persone che vanno ai concerti di Taylor Swift e spendono in servizi. Ma ormai da anni in Europa e in Italia non si guadagnava molto con i propri risparmi: i rendimenti degli investimenti non sempre sono sempre stati elevati. Ora invece il 25% più ricco sta guadagnando molto con i propri soldi. Invece il 25% più povero deve affrontare tassi di interesse più elevati sui mutui o sul credito al consumo, perché queste sono le persone che si indebitano. E ora stanno pagando tassi di interesse molto alti. Così tassi di interesse più alti stimolano l’economia per le persone che hanno risparmi investiti. Siamo in una situazione che premia il quadrante superiore della società e danneggia l’inferiore». 

Così la frammentazione crea polarizzazione e populismo…
«Avremmo bisogno di più leader che cercano un terreno comune. E ne avevamo».

Lei ha sostenuto molto i principi di responsabilità sociale, ambientale e di governance negli investimenti. Continua a farlo?
«Continuo a farlo soprattutto per l’ambiente, ma in modo pragmatico. Dobbiamo andare verso la decarbonizzazione, ma potrà avvenire solo se la transizione sarà giusta e corretta. Per questo BlackRock non ha mai disinvestito dalle aziende dell’energia, perché saranno parte della soluzione». 

Cosa vuol dire che la transizione energetica deve essere giusta e corretta?
«Non ce la faremo mai se non troviamo nuove tecnologie che riducano il "green premium", gli extra costi energetici della transizione. Altrimenti il 25% meno abbiente della società sarà duramente colpito. Lo abbiamo visto in Europa con lo choc energetico dopo l’invasione dell’Ucraina. Non possiamo parlare di ambiente senza parlare di come ridurre i costi della transizione e di come coinvolgere il Sud del mondo. Nessuno ha la risposta. Possiamo decarbonizzare la Norvegia o la Svezia, ma come decarbonizzeremo il Vietnam o l’India? L’India è uno dei più grandi e veloci costruttori di tecnologia eolica e solare al mondo. Ma l’economia cresce al 6% con 1,4 miliardi di persone. Useranno il carbone. Non vogliono spendere tutte le loro riserve per acquistare petrolio dall’Opec e c’è da capirli. Quindi, serve pragmatismo. Ecco perché l'Ira negli Stati Uniti è così importante. Su questo l’Europa non ha ancora una risposta». 

Il presidente della Bundesbank, Joachim Nagel, dice che l’impatto dell’Ira americano si sente in concreto sul campo, mentre quello del Recovery Fund europeo no. Ha ragione?
«Sì. E i divari possono accelerare». 

Per produttività, investimenti, tecnologia e reddito per abitante, Europa e Stati Uniti divergono fortemente. Noi europei ci percepiamo come paesi avanzati, ma lo siamo ancora rispetto agli Stati Uniti?
«L’Europa non ha ancora accolto e adottato un’agenda della crescita. Gli Stati Uniti hanno una cultura dell’innovazione, mentre l’Europa è rimasta indietro. Se guardi agli Stati Uniti, alla Corea del Sud, alla Cina o a Israele, hanno una cultura della crescita e dell’innovazione. L’Europa è il posto migliore al mondo per la vita della classe media. È fantastico. Ma come possiamo far sì che la vita sia altrettanto bella per i figli e i nipoti? Per me è meno chiaro. E qui sta il problema». 

L’Italia non è tra i primi 15 Paesi al mondo per investimenti in intelligenza artificiale. Pochi paesi europei figurano in quella lista e non sono molto in alto. C’è il timore che bruci occupazione?
«L’intelligenza artificiale creerà posti di lavoro. Pensi alla costruzione di data center e a tutta la potenza necessaria per l’intelligenza artificiale. Cambierà molti posti di lavoro nel settore dei servizi, ma non ne eliminerà: ne creerà di tipi diversi. Dovremmo abbracciare tutti l’intelligenza artificiale, ma richiede istruzione e centinaia di miliardi, se non migliaia di miliardi di dollari, di finanziamenti pubblico-privati. I nuovi data center per l’intelligenza artificiale richiederanno un Gigawatt di potenza. E’ inaudito. E’ l'energia assorbita da una piccola città, solo per un data center. Parliamo di un investimento di 30 miliardi di dollari». 

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8 giugno 2024 ( modifica il 9 giugno 2024 | 07:40)