Nel febbraio del 1984 un Massimo D’Alema trentacinquenne, «giovane dirigente comunista periferico», viene scelto per far parte della delegazione del PCI che parteciperà ai funerali di Jurij Andropov a Mosca. A capo del gruppo c’è il segretario del partito, Enrico Berlinguer, e nessuno può immaginare che sia uno dei suoi ultimi viaggi.
Il diario di quei giorni moscoviti, di cui D’Alema riporta stralci in queste pagine, è un tesoro di scorci e immagini: Pertini che gioca a carte sul volo di Stato, l’impatto con le complessità del cerimoniale sovietico, la solennità delle esequie alla presenza di una pletora di capi di Stato, da Fidel Castro a Margaret Thatcher a Yasser Arafat.
L’esperienza resterà indimenticabile: una scuola di politica e diplomazia e un’occasione unica per stare vicino a
un leader amato e ammirato come Berlinguer. Questo libro non è però solo una testimonianza e un racconto divertito e appassionato: l’autore dilata infatti il tempo e l’analisi per mettere in luce il punto di svolta costituito da quel 1984 che prefigurava gli sconvolgimenti del 1989, la fine di un’epoca e di molte illusioni (anche se non della storia), la deriva delle nostre democrazie e la degenerazione del rapporto tra l’Occidente e quella che quarant’anni dopo è divenuta una Russia incomprensibile e ostile.
Ed è nel tempo presente, nel cuore di una crisi globale che è il frutto maturo degli sconvolgi menti di quel decennio, che Massimo D’Alema innesta la riflessione necessaria sulla figura e sul pensiero di Berlinguer, come possibile chiave di lettura per un’incerta stagione politica, per una furiosa stagione sociale