Pontefice massimo

massimo grado religioso dell'antica Roma
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Il pontefice massimo (in latino: pontifex maximus) era una figura della religione romana, il massimo grado religioso al quale un romano poteva aspirare.

Augusto nelle vesti di pontefice massimo[1] (Augusto di via Labicana)
Ritratto di Augusto capite velato, da Ancona (Museo archeologico nazionale delle Marche)

Le origini di questa carica sacerdotale si fanno risalire all'epoca più antica di Roma, ed erano legate alla costruzione del Pons Sublicius, il più antico ponte di Roma costruito sul Tevere, poco più a valle dell'isola Tiberina. Per le popolazioni arcaiche era così importante, questo ponte e la sua manutenzione, che in relazione ad esso nacque il più antico e potente sacerdozio romano: il Pontifex. La carica di pontefice massimo, anche se di carattere più che altro rappresentativo, era il massimo grado religioso al quale un romano poteva aspirare, secondo la tradizione istituita da Numa Pompilio[2].

Caratteristiche

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L'accesso a questa carica inizialmente rimase riservato ai Patrizi; nel 300 a.C. la Lex Ogulnia ne permise l'accesso anche ai Plebei e nel 254 a.C. la carica fu per la prima volta assunta da un plebeo, Tiberio Coruncanio.[3]

Risiedeva nella Domus Publica, che si trovava nel Foro Romano, accanto all'antica Porta Mugonia, vicino al Tempio di Vesta e alla Casa delle Vestali dopo la cessione da parte dell'imperatore Augusto.

Funzioni e poteri

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Era il capo del collegio dei pontefici (di cui facevano parte anche il rex sacrorum, le Vestali e i Flamini), che presiedeva alla sorveglianza e al controllo di tutto il culto religioso della società romana (sia nell'aspetto pubblico che in quello privato).

L'elezione del pontefice massimo avveniva per cooptazione all'interno del collegio dei pontefici; nel 104 a.C. una lex Domitia stabilì però che l'elezione doveva essere fatta da 17 tribù estratte a sorte tra le 35 tribute; Silla abrogò quest'ultima legge, la quale fu tuttavia rimessa in vigore pochi anni dopo, nel 63 a.C., da Labieno su impulso di Cesare.

Il pontefice massimo, ricoprendo nel sacerdozio una posizione analoga a quella dei consoli nella magistratura (con la differenza però che la sua carica era a vita e non condivisa con un collega), aveva il diritto di sedere sulla sella curule ed era scortato da 30 littori curiati, uno speciale tipo di littore che non portava i "fasces" ed aveva compiti religiosi, quando questi lo accompagnavano con il compito di scortare gli animali agli altari in occasione dei sacrifici; inoltre esercitava la sua carica nella regia.

Nominava le vestali, i flamini e il rex sacrorum; tuttavia nelle cerimonie ufficiali non aveva il primo posto, essendogli anteposti il rex sacrorum e i tre Flamini maggiori. Inoltre, malgrado la grande autorità, era sottoposto al controllo dei censori e dei tribuni della plebe.

Era anche responsabile della consecratio, ossia la consacrazione del tempio alla divinità cui era dedicato; inoltre aveva il potere di imporre l'inauguratio, nel caso in cui ritenesse insufficienti le ragioni addotte dagli Auguri per negarla.[4]

Disciplinava inoltre i fasti e compilava annualmente la tabula dealbata e gli annales pontificum oltre ad avere il compito di interpretare i mores e collaborava, in età monarchica, all'emanazione della lex regia insieme al rex.

Fino a quando non fu introdotto il Calendario giuliano, al Pontefice era affidato il compito di inserire il mese intercalare, al fine di mantenere l'anno del calendario allineato all'anno tropico.

Lista dei pontefici massimi

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  1. ^ a b SvetonioAugustus, 31.
  2. ^ Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, II, 73,1.
  3. ^ Titus Livius Ex Libro XVIII (archiviato dall'url originale il 14 febbraio 2009). Periochae, da livius.org
  4. ^ Inauguratio, su penelope.uchicago.edu. URL consultato il 21 febbraio 2023.
  5. ^ Livio, XXII, 10 ss. e XXV, 2.1.
  6. ^ Livio, XXV, 2.2.
  7. ^ Livio, XXV, 5.3-4.
  8. ^ I Pontefici nell'Impero romano da romanoimpero.com..

Bibliografia

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Voci correlate

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