Conversazioni di Hitler a tavola

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Hitler ha tenuto la maggior parte dei monologhi alla Wolfsschanze (sopra)[1] e al Werwolf[2]

Conversazioni di Hitler a tavola (in tedesco: Tischgespräche im Führerhauptquartier; in francese: Libres propos d'Adolf Hitler; in inglese: Hitler's Table Talk) è il titolo dato a una serie di monologhi di Adolf Hitler, trascritti dal 1941 al 1944. Le osservazioni di Hitler furono registrate da Heinrich Heim, Henry Picker e Martin Bormann e successivamente pubblicate da diversi editori con titoli diversi in quattro lingue.[3][4][5][6]

Martin Bormann, segretario privato di Hitler, convinse lo stesso Hitler a consentire a una squadra di ufficiali scelti appositamente di registrare in stenografia le sue conversazioni private per tramandarle ai posteri.[1] I primi appunti furono presi dall'avvocato Heinrich Heim, a partire dal 5 luglio 1941 fino a metà marzo 1942,[1] Henry Picker prese appunti dal 21 marzo 1942 al 2 agosto 1942,[7] dopodiché Heinrich Heim e Martin Bormann continuarono ad aggiungere del materiale saltuariamente fino al 1944.

I colloqui furono registrati al Führerhauptquartiere[1] in compagnia della cerchia ristretta di Hitler:[8] gli argomenti si soffermano sulla guerra e gli affari esteri, ma anche sugli atteggiamenti di Hitler nei confronti della religione, della cultura, della filosofia, delle sue aspirazioni personali e dei suoi sentimenti nei confronti dei suoi nemici e amici.[2][5][9]

Sebbene i monologhi siano stati generalmente considerati autentici, rimangono alcune questioni controverse su vari aspetti delle opere pubblicate.

La storia del documento è relativamente complessa poiché furono coinvolte numerose persone, in tempi e momenti diversi, che raccolsero diverse porzioni dei discorsi: questo portò ad avere due raccolte distinte, poi tradotte in più lingue[7] senza sovrapposizioni temporali e in alcuni casi anche nascoste a causa dei problemi legali e di copyright.[1][10]

Tutte le edizioni e le traduzioni si basarono sui due taccuini tedeschi originali, uno tenuto da Henry Picker e l'altro basato sul taccuino più completo di Martin Bormann (spesso chiamato Bormann-Vermerke). Henry Picker fu il primo, nel 1951, a pubblicare i discorsi nell'originale tedesco,[3] seguito dalla traduzione francese del 1952 di François Genoud, finanziere e benefattore svizzero.[4] L'edizione inglese uscì nel 1953, tradotta da R. H. Stevens e Norman Cameron e pubblicata con l'introduzione dello storico Hugh Trevor-Roper.[5][11]

Sia la traduzione francese che quella inglese si presume[12] fossero basate sul manoscritto Bormann-Vermerke mentre il volume di Picker fu basato sulle sue note originali così come sulle note che aveva acquisito direttamente da Heinrich Heim tra il 5 luglio 1941 e il marzo 1942.[13] Il contenuto originale in tedesco del Bormann-Vermerke fu pubblicato dallo storico Werner Jochmann dopo il 1980,[14] ma questa edizione non è completa in quanto mancano 100 annotazioni tenute da Picker tra il 12 marzo e il 1º settembre 1942.[15]

Sia i manoscritti originali di Heim che quelli di Picker sembrano essere andati perduti e la loro ubicazione è sconosciuta.[12] Albert Speer, Ministro degli Armamenti per la Germania, confermò l'autenticità dell'edizione tedesca di Picker nei suoi diari di Spandau.[16] Speer affermò che Hitler parlò spesso e a lungo dei suoi argomenti preferiti mentre gli ospiti furono ridotti ad ascoltatori silenziosi. Alla presenza dei suoi "superiori per nascita ed educazione" Hitler fece uno sforzo sincero per "presentare i suoi pensieri nel modo più impressionante possibile".[16] Speer osservò che "dobbiamo ricordare che questa raccolta include solo quei passaggi nei monologhi di Hitler - impiegavano da una a due ore ogni giorno - che colpirono Picker come significativi. Le trascrizioni complete infatti porterebbero ad un senso di noia soffocante".[17]

Secondo lo storico Max Domarus, Hitler insistette sul silenzio assoluto mentre pronunciò i suoi monologhi, a nessuno fu permesso di interromperlo o contraddirlo. Magda Goebbels riferì a Galeazzo Ciano: «È sempre Hitler che parla! Può essere Führer quanto vuole, ma si ripete sempre e annoia i suoi ospiti».[2]

Ian Kershaw riporta:

«Alcuni degli ospiti, tra cui Goebbels, Göring e Speer, erano presenze abituali. Altri erano nuovi arrivati o raramente invitati. Si parlava spesso di questioni internazionali ma Hitler avrebbe adattato la discussione ai presenti. Era attento a quello che diceva. Ha deciso consapevolmente di imprimere la sua opinione ai suoi ospiti, forse a volte per valutare la loro reazione. A volte dominava la "conversazione" con un monologo. Altre volte, si accontentava di ascoltare mentre Goebbels litigava con un altro ospite, o si svolgeva una discussione più generale. A volte i discorsi erano interessanti. I nuovi ospiti avrebbero trovato l'occasione eccitante e i commenti di Hitler alla pari di una "rivelazione". Frau Below, la moglie del nuovo aiutante della Luftwaffe, inizialmente trovò esilarante l'atmosfera e la compagnia di Hitler, ma rimase molto colpita dalla sua conoscenza della storia e dell'arte. Ma per il personale domestico che l'aveva sentita molte volte, il pasto di mezzogiorno era spesso una faccenda noiosa.[8]»

Dopo la guerra, Albert Speer definì i colloqui delle "sciocchezze sconclusionate", aggiungendo:

«[Hitler] era quel classico tipo tedesco noto come Besserwisser, il saputello. La sua mente era piena di informazioni di poco conto e disinformazione, su tutto. Credo che uno dei motivi per cui ha raccolto così tanti lacchè intorno a sé fosse che il suo istinto gli diceva che le persone di prim'ordine non potevano sopportare le effusioni.[18]»

Sebbene i discorsi siano generalmente considerati autentici, permangono delle controversie su alcuni aspetti delle opere pubblicate: in particolare l'affidabilità di alcune dichiarazioni tradotte nelle edizioni francese e inglese,[1][7][12][19][20][21][22] alcune obiezioni sul modo in cui Martin Bormann potrebbe aver modificato le sue note[14][23][24] e altre controversie su quale sia l'edizione più attendibile.[7][9] François Genoud ha negato di aver modificato il manoscritto originale tedesco, sottolineando che era dattiloscritto con a parte le aggiunte manoscritte di Bormann e che quindi tali inserimenti non sarebbero stati possibili.[25]

Richard Evans esprime cautela verso l'edizione inglese descrivendola come «imperfetta (e in nessun senso "ufficiale")», aggiungendo inoltre che doveva essere confrontata con l'edizione tedesca del 1980 per assicurarsi che fosse accurata prima di essere utilizzata.[26] Anche Ian Kershaw nota che l'edizione inglese è imperfetta, per la tendenza a perdere parole, tralasciare righe o includere frasi che non si trovano nel testo tedesco,[21] usa di preferenza le fonti originali tedesche, raccomandando "la dovuta cautela" nell'uso delle traduzioni inglesi.[27]

Nel 2016, lo storico Mikael Nilsson ha sostenuto che Trevor-Roper non è riuscito a rivelare i problemi critici alla fonte, compresa l'evidenza che delle parti significative della traduzione inglese furono tradotte direttamente dall'edizione francese di Genoud e non dall'originale tedesco Bormann-Vermerke come invece affermato da Trevor-Roper nella sua prefazione. Nilsson sostiene che questa informazione era probabilmente nota a Trevor-Roper perché era prevista nel contratto editoriale per cui "la traduzione in inglese sarebbe stata realizzata sulla base della versione francese di François Genoud". Nilsson conclude quindi che "il processo di traduzione è stato altamente dubbio; la storia del manoscritto dall'ideazione alla pubblicazione è nella migliore delle ipotesi misteriosa, ed è impossibile essere sicuri che la maggior parte delle voci riportate siano effettivamente autentiche (vale a dire, considerabili dichiarazioni reali di Hitler al contrario di cose che avrebbe potuto dire)".[12] Per questo motivo, Nilsson sostiene che Hitler non dovrebbe essere citato come l'autore perché non è chiaro "quante siano le parole di Hitler così come pronunciate, e quante siano un prodotto del successivo processo di ricordo e modifica".[12][28] Nilsson svilupperà ulteriormente questa argomentazione nel suo libro del 2020 dove ha ulteriormente dimostrato i problemi critici della fonte di Conversazioni di Hitler a tavola e ha rivelato che Il testamento di Adolf Hitler era un falso.[29]

I commenti di Hitler sulla religione

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Lo stesso argomento in dettaglio: Pensiero religioso di Adolf Hitler.

Le Conversazioni di Hitler a tavola rivelano che Hitler, dopo il 1937, continuò a desiderare una Chiesa protestante tedesca del Reich unificata, poi rivelatasi ampiamente infruttuosa.[30] Ciò fu in linea con la sua precedente politica di riunire tutte le chiese protestanti in modo che fornissero le nuove dottrine razziali e nazionaliste del regime e agissero come una forza unificante in Germania.[31] Nel 1940, Hitler abbandonò anche l'idea sincretista di un cristianesimo positivo.[32] Secondo Thomas Childers, dopo il 1938, Hitler iniziò a sostenere pubblicamente una versione nazificata della scienza, in particolare del darwinismo sociale, punto focale dell'ideologia nazista al posto di quella religiosa;[33] uno sviluppo che si riflette nelle sue osservazioni sempre più ostili nei confronti del cristianesimo.[34] Lo storico Richard Weikart definì la fede di Hitler nell'"etica evolutiva come l'espressione della volontà di Dio" che abitualmente "equiparava le leggi della natura e la volontà della Provvidenza".[35]

Nel Conversazioni, Hitler lodò il trattato anticristiano Contra Galilaeos di Giuliano l'Apostata del 362. Nella voce datata 21 ottobre 1941, Hitler affermò:

«Quando si pensa alle opinioni che le nostre migliori menti avevano sul cristianesimo cento, duecento anni fa, ci si vergogna di rendersi conto di quanto poco ci siamo evoluti da allora. Non sapevo che Giuliano l'Apostata avesse dato un giudizio così lucido sul cristianesimo[...] il galileo, che poi si chiamò Cristo, intendeva tutt'altra cosa. Il galileo era e deve sempre essere considerato come un capo popolare che prese posizione contro gli ebrei [...] ed è certo che Gesù non era ebreo. Gli ebrei, a proposito, lo consideravano il figlio di una prostituta, di una prostituta e di un soldato romano. La falsificazione decisiva degli insegnamenti di Gesù fu opera di San Paolo [...] o Paolo di Tarso (si chiamava Saulo, prima della via di Damasco), uno di coloro che perseguitarono più ferocemente Gesù.[36]»

Le osservazioni che non sono state contestate includono "Il cristianesimo è il prototipo del bolscevismo: la mobilitazione da parte dell'ebreo delle masse di schiavi con l'obiettivo di indebolire la società".[37] Si attribuisce anche a Hitler una fiducia nella scienza piuttosto che nella religione:"La scienza non può mentire, poiché si sforza sempre, secondo lo stato momentaneo della conoscenza, di dedurre ciò che è vero. Quando commette un errore, lo fa in buona fede. È il cristianesimo che è bugiardo".[40] Tuttavia, Hitler insisteva:"Non vogliamo educare nessuno all'ateismo".[42] Dei Dieci comandamenti dell'Antico Testamento, Hitler afferma la sua convinzione che essi "sono un codice di vita a cui non c'è confutazione. Questi precetti corrispondono ai bisogni inoppugnabili dell'anima umana; sono ispirati dal miglior spirito religioso, e le Chiese si sostengono su solide fondamenta".[43]

Opinioni revisioniste

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Nel 2003, due sfide sono apparse in questa visione consensuale. Una era di Richard Steigmann-Gall come parte della sua più ampia tesi secondo cui "i leader nazisti in realtà si consideravano cristiani" o almeno capivano il loro movimento "all'interno di un quadro di riferimento cristiano".[44] Sostiene che diversi passaggi dei discorsi rivelano che Hitler aveva un attaccamento diretto al cristianesimo,[45] che era un grande ammiratore di Gesù[46] e "non dava alcuna indicazione che fosse agnostico o ateo",[45] una visione del mondo in cui Hitler continuò a denigrare l'Unione Sovietica.[47] Steigmann-Gall sostiene che le "Conversazioni di Hitler a tavola" mostrano una "rottura inequivocabile" con le sue precedenti opinioni religiose,[48] che Steigmann-Gall definisce cristiane,[49] e le attribuisce alla rabbia di Hitler per il suo fallimento nell'esercitare il controllo sulle chiese tedesche e non alla rabbia contro il cristianesimo stesso.[50] La tesi più ampia di Steigmann-Gall si dimostrò molto controversa,[51] sebbene, come fece notare John S. Conway, le differenze tra la sua tesi e il consenso precedente riguardassero principalmente il "grado e la tempistica" dell'anticlericalismo nazista.[52]

Nello stesso anno, la validità storica delle osservazioni, nelle traduzioni in inglese e francese del discorso, fu contestata in una nuova traduzione seppur parziale da Richard Carrier e Reinhold Mittschang, che si spinsero fino a definirle "del tutto inaffidabili",[7] suggerendo che fossero state alterate da Francois Genoud.[53] Fu proposta una nuova traduzione di dodici citazioni basate sulle edizioni tedesche di Picker e Jochmann, nonché un frammento del Bormann-Vermerke conservato presso la Biblioteca del Congresso. Carrier sostiene che gran parte dell'edizione inglese di Trevor-Roper è in realtà una traduzione letterale dall'edizione francese di Genoud e non dell'originale tedesco.[10] La tesi di Carrier si basa sull'analisi tra il testo originale tedesco di Picker e la traduzione francese di Genoud e rivela che la versione di Genoud è nella migliore delle ipotesi una traduzione scadente, e in alcuni punti contiene delle "distorsioni palesi".[7] Molte delle citazioni utilizzate per sostenere gli argomenti a favore del disprezzo di Hitler per il cristianesimo derivano dalla traduzione Genoud-Trevor-Roper. Carrier sostiene che "chi cita questo testo cita ciò che Hitler ha effettivamente detto".[7]

Nella nuova prefazione, Gerhard Weinberg ha commentato che "Carrier ha mostrato che il testo inglese apparso originariamente nel 1953 e qui ristampato deriva dall'edizione francese di Genoud e non da uno dei testi tedeschi".[56] Citando l'articolo di Carrier, Diethelm Prowe ha osservato che il Trevor-Roper "si è dimostrato del tutto inaffidabile come fonte quasi un decennio fa".[20] Rainer Bucher, riferendosi ai problemi sollevati da Carrier, descrisse la traduzione inglese come "non solo di dubbia origine ma anche di dubbio intento e fondamento ideologico", scegliendo invece di affidarsi sia all'edizione tedesca di Picker che a quella di Heim.[19] Derek Hastings fa riferimento all'articolo di Carrier per "un tentativo di minare l'attendibilità delle dichiarazioni".[57] La tesi di Carrier secondo cui si dovrebbe fare a meno della traduzione inglese[58] non è accettata da Steigmann-Gall, che pur facendo riferimento alle controversie sollevate da Carrier,[48] "in ultima analisi ne presume l'autenticità".[59] Johnstone ha notato che Richard Carrier ha dimostrato che solo 4 dei 42 commenti sull'influenza malevola del cristianesimo erano falsi, senza discutere il resto, e che quindi Carrier è stato ben lungi dall'essere riuscito a demolire l'immagine del carattere non cristiano di Hitler.[60]

Fonti contemporanee

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Tra il 1941 e il 1944, periodo in cui veniva trascritto il discorso, alcuni intimi di Hitler lo citano esprimendo opinioni negative sul cristianesimo, tra cui Joseph Goebbels,[61] Albert Speer[64] e Martin Bormann.[65] Il generale Gerhard Engel riferisce che nel 1941 Hitler affermò:"Ora sono cattolico come prima e lo rimarrò per sempre".[66] Allo stesso modo, il cardinale Michael von Faulhaber riferì che dopo aver parlato con Hitler nel 1936, "vive senza dubbio nella fede in Dio [...] Riconosce il cristianesimo come il costruttore della cultura occidentale". Ian Kershaw concluse che Hitler ingannò Faulhaber, notando la sua "evidente capacità di simulare, anche verso i leader della chiesa potenzialmente critici, l'immagine di un leader desideroso di sostenere e proteggere il cristianesimo".[67]

Un consenso diffuso tra gli storici, sostenuto per un lungo periodo di tempo dopo il lavoro iniziale di William Shirer negli anni '60,[68] sostiene che Hitler fosse anticlericale.[69] Questa continuò ad essere la posizione dominante sulle opinioni religiose di Hitler[70] e queste opinioni continuano ad essere supportate da citazioni dalla traduzione inglese del testo. Michael Burleigh ha messo a confronto le dichiarazioni pubbliche di Hitler sul cristianesimo con quelle trascritte, suggerendo che le vere opinioni religiose di Hitler fossero "un misto di biologia materialista, un finto disprezzo nietzscheano, distinto dai valori secondari, cristiani, e un viscerale anticlericalismo".[71] Richard Evans ha anche ribadito l'opinione che il nazismo fosse laico, scientifico e di prospettiva antireligiosa nell'ultimo volume della sua trilogia sulla Germania nazista, scrivendo che "l'ostilità di Hitler verso il cristianesimo raggiunse nuovi traguardi durante la guerra", citando la traduzione inglese del 1953.[37]

  1. ^ a b c d e f Trevor-Roper, p. vii.
  2. ^ a b c Domarus, p. 2463.
  3. ^ a b (DE) Henry Picker, Tischgespräche im Führerhauptquartier 1941–1942, a cura di Gerhard Ritter, Bonn, Athenäum, 1951.
  4. ^ a b (FR) François Genoud, Adolf Hitler: Libres Propos sur la Guerre et la Paix, Paris, Flammarion, 1952.
  5. ^ a b c H. R. Trevor-Roper, Hitler's Table Talk 1941–1944, traduzione di Norman Cameron, R. H. Stevens, 2 (1972); 3 (2000); 4 (2013), London, Weidenfeld and Nicolson, 1953.
  6. ^ Conversazioni di Hitler a tavola: 1941-1942, traduzione di Emmerico Guiscardi, Milano, Longanesi, 1970. (edizione tradotta dal tedesco)
  7. ^ a b c d e f g Carrier, pp. 561–576.
  8. ^ a b Kershaw, pp. 32–33.
  9. ^ a b Vollnhals, pp. 308–309.
  10. ^ a b Rosenbaum, pp. 74–77.
  11. ^ Adam Sisman, An Honourable Englishman: The Life of Hugh Trevor-Roper, New York, Random House, 2011, pp. 227–230.
  12. ^ a b c d e Nilsson, pp. 788–812.
  13. ^ Trevor-Roper, p. viii.
  14. ^ a b Jochmann
  15. ^ Trevor-Roper, p. x.
  16. ^ a b Speer, p. 237.
  17. ^ Albert Speer, Inside the Third Reich, New York, Simon & Schuster Inc., 1970, p. 237, footnote.
  18. ^ James Preston O'Donnell, The Bunker: The History of the Reich Chancellery Group, Boston, Houghton Mifflin, 1978, p. 399, ISBN 978-0-395-25719-7.
  19. ^ a b Bucher, p. viii.
  20. ^ a b Prowe, p. 437.
  21. ^ a b Kershaw, p. 964.
  22. ^ Nathan Stoltzfus, Hitler's Compromises: Coercion and Consensus in Nazi Germany, New Haven, Yale University Press, 2016, p. 305.
  23. ^ Norman Rich, Hitler's War Aims, New York, W. W. Norton & Company, 1992, p. 270.
  24. ^ Walter Laqueur, Fascism: A Reader's Guide, Berkeley, University of California Press, 1978, p. 177.
  25. ^ Martin Bormann, Hitler's Table Talk: Introduction, Ostara Publications, 2012, p. ii.
  26. ^ Richard J. Evans, Telling Lies About Hitler: The Holocaust, History and the David Irving Trial, London, Verso, 2002, p. 81.
  27. ^ Ian Kershaw, Hitler 1889–1936: Hubris, London, Penguin, 2000, p. xiv.
  28. ^ Mikael Nilsson, Constructing a Pseudo-Hitler? The question of the authenticity of Hitlers politisches Testament, in European Review of History: Revue européenne d'histoire, vol. 26, n. 5, 3 settembre 2019, pp. 871–891, DOI:10.1080/13507486.2018.1532983, ISSN 1350-7486 (WC · ACNP).
  29. ^ Michael Nilsson, Hitler Redux: The Incredible History of Hitler's So-Called Table Talks, Abingdon, Routledge, 2020.
  30. ^ Steigmann-Gall, pp. 255–256.
  31. ^ Richard J. Evans, The Third Reich in Power 1933–39, London, Penguin, 2005, pp. 220–260, ISBN 0-7139-9649-8.
  32. ^ Karla Poewe, New Religions and the Nazis, New York, Routledge, 2006, p. 28.
  33. ^ Detlev Peukart, The Genesis of the 'Final Solution' from the Spirit of Science., a cura di Thomas Childers, Jane Caplan, New York, Holmes & Meier Publishing, 1993, pp. 234–252.
  34. ^ Steigmann-Gall, pp. 252–254.
  35. ^ Richard Weikart, Hitler's Ethic: The Nazi Pursuit of Evolutionary Progress, New York, Palgrave Macmillan, 2009, p. 40.
  36. ^ Hugh Trevor-Roper (a cura di), Hitler's Table Talk 1941–1944, traduzione di Norman Cameron, R. H. Stevens, New York, Enigma Books, 2000, p. 76.
  37. ^ a b Richard J. Evans, The Third Reich at War: How the Nazis led Germany from conquest to disaster, London, Penguin, 2008, pp. 546–549, ISBN 978-0-14-101548-4.
  38. ^ Norman Cameron e R.H. Stevens, Hitler's Table Talk 1941–1944: His Private Conversations, New York, Enigma Books, 2000, p. 61.
  39. ^ a b Jochmann, p. 84.
  40. ^ [38] Jochmann[39] riporta:«Mag die Wissenschaft jeweils nach eintausend oder nach zweitausend Jahren zu einem anderen Standpunkt kommen, so war ihr früherer Standpunkt nicht verlogen; die Wissenschaft lügt überhaupt nicht, sie bemüht sich, nach den Grenzen, die jeweils ihrer Einsicht gezogen sind, eine Sache richtig zu sehen. Sie stellt nicht bewußt falsch dar. Das Christentum lügt: Es ist in einen Konflikt mit sich selbst hineingeraten.»
  41. ^ H. R. Trevor-Roper, Hitler's Table Talk 1941–1944, 2013, p. 7.
  42. ^ [41] Jochmann[39] riporta:«Zum Atheismus wollen wir nicht erziehen.»
  43. ^ Hugh Trevor-Roper (a cura di), Hitler's Table Talk 1941–1944, traduzione di Norman Cameron, R. H. Stevens, New York, Engima Books, 2013, p. 67.
  44. ^ Steigmann-Gall, p. 3.
  45. ^ a b Steigmann-Gall, p. 255.
  46. ^ Steigmann-Gall, pp. 254-255.
  47. ^ H. R. Trevor-Roper, Hitler's Table Talk 1941–1944, New York, Enigma Books, 2013, pp. 77, 721.
  48. ^ a b Steigmann-Gall, p. 253.
  49. ^ Steigmann-Gall, pp. 26-28.
  50. ^ Steigmann-Gall (2003), p. 253, cf. 265.
  51. ^ Richard J. Evans, Nazism, Christianity and Political Religion: A Debate, in Journal of Contemporary History, 42:1, gennaio 2007, pp. 5–7, DOI:10.1177/0022009407071627.
  52. ^ John Conway, Review of The Holy Reich, su h-net.org, H-Net reviews, giugno 2003. URL consultato il 9 novembre 2013.
  53. ^ Carrier, p. 565.
  54. ^ Gerhard Weinberg, 2003, p. Foreword, https://books.google.com/books?id=fk-aXlliu6cC&pg=PR9.
  55. ^ Hugh Trevor-Roper, Hitler's Table Talk 1941–1944, New York, Engima Books, 2003, p. xi.
  56. ^ Cfr. Weinberg[54] e Trevor-Roper[55]
  57. ^ Derek Hastings, Catholicism and the Roots of Nazism: Religious Identity and National Socialism, New York, Oxford University Press, 2010, p. 251.
  58. ^ Carrier, p. 574.
  59. ^ Richard Steigmann-Gall, Christianity and the Nazi Movement (PDF), in Journal of Contemporary History, vol. 42, n. 2, 2007, p. 208. URL consultato il 7 febbraio 2023 (archiviato dall'url originale il 13 ottobre 2013).
  60. ^ Nathan Johnstone, The New Atheism, Myth, and History: The Black Legends of Contemporary Anti-Religion, Palgrave Macmillan, 2018, p. 90.
  61. ^ Jonathan Steinberg, All Or Nothing: The Axis and the Holocaust, 1941–1943, London, Routledge Press, 2002, p. 234.
  62. ^ Albert Speer, Inside the Third Reich: Memoirs by Albert Speer, traduzione di Richard Winston, Clara Winston, Eugene Davidson, New York, Macmillan, 1971, p. 143.
  63. ^ Albert Speer, Inside the Third Reich: Memoirs, ristampa, 1997, New York, Simon and Schuster, p. 96.
  64. ^ Cfr. 1971[62] e 1997[63]
  65. ^ Alan Bullock, Hitler and Stalin: Parallel Lives, New York, Vintage Books, 1991, p. 382.
  66. ^ John Toland, Adolf Hitler, New York, Anchor Publishing, 1992, p. 507.
  67. ^ Ian Kershaw, The "Hitler Myth": Image and reality in the Third Reich, Oxford, Oxford University Press, 2001, p. 109.
  68. ^ William Shirer, The Rise and Fall of the Third Reich, London, Arrow Books, 1998 [1960], pp. 234–240, ISBN 978-0-09-942176-4.
  69. ^ Ernst Piper, Steigmann-Gall, The Holy Reich (extended review), in Journal of Contemporary History, vol. 42, n. 1, gennaio 2007, pp. 47–57, esp. 49–51, DOI:10.1177/0022009407071631, JSTOR 30036428.
  70. ^ Derek Hastings, Catholicism and the Roots of Nazism, New York, Oxford University Press, 2010, p. 181.
  71. ^ Michael Burleigh, The Third Reich – A New History, London, Pan Books, 2001, pp. 716–717, ISBN 978-0-330-48757-3.

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