Djoser

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Djoser, Netjerykhet
Statua di Djoser proveniente dal serdab della piramide a gradoni, dettaglio del volto. Museo Egizio del Cairo.
Re dell'Alto e Basso Egitto
In carica2680 a.C. –
2660 a.C.[1]
Predecessoreprobabilmente Khasekhemui̟, o forse Nebka
SuccessoreSekhemkhet?
Sanakht?
Morte2660 a.C.[1]
SepolturaPiramide a gradoni
Luogo di sepolturaSaqqara
DinastiaIII dinastia egizia
PadreKhasekhemui
MadreNimaathap
ConsorteHetephernebti[2]
FigliInetkaues[3]
Sekhemkhet

Djoser (anche Gioser, Djosci, o Zoser) (... – 2660 a.C.[1]) è stato un faraone della III dinastia egizia.

È anche conosciuto con i nomi ellenizzati di Tosorthros, in Manetone[4], e Sesorthos, in Eusebio[5]. È comunemente considerato il fondatore dell'Antico Regno (ca. 2680 - 2180 a.C.[6]). Era figlio del faraone Khasekhemui, forse l'ultimo sovrano della II dinastia, e della regina Nimaathap[7], ma non è chiaro se ne fu o meno il diretto successore. Varie liste reali d'epoca ramesside registrano un faraone di nome Nebka prima di Djoser, ma vi sono numerose difficoltà nell'identificare tale Nebka con un preciso personaggio storico, motivo per cui vari egittologi mettono in discussione la sequenza di tali re[8].

La famosa statua di Djoser in calcare dipinto, oggi al Museo egizio del Cairo, è probabilmente la più antica statua a grandezza naturale di un faraone mai realizzata[9][10], e anche la prima del genere in un contesto funerario[11]. Nel sito di Saqqara dove fu rinvenuta se ne trova, oggi, una copia in gesso. Tale statua fu rinvenuta durante una campagna di scavi del Servizio delle Antichità nella stagione 1924-1925.

Nelle iscrizioni a lui coeve, Djoser è sempre chiamato Netjerykhet, che significa Divino nel corpo[12]. Fonti successive, fra cui un riferimento alle sue costruzioni risalente al Nuovo Regno, hanno confermato che Djoser e Netjerykhet sono la stessa persona. Il nome Djoser cominciò a essere usato solo durante la XII dinastia (1991 a.C. - 1802 a.C.)[12].

Benché lo storico e sacerdote d'epoca tolemaica Manetone, nei suoi Aegyptiaca, ponga un certo Necherophes come primo faraone della III dinastia, e il Papiro dei Re (o Lista reale di Torino) l'enigmatico Nebka, oggi gli egittologi tendono ad attribuire a Djoser tale posizione, notando che l'ordine di alcuni predecessori di Cheope menzionati nel Papiro Westcar porta a credere che Nebka avrebbe regnato tra Djoser e Huni (2650 a.C. - 2630 a.C.?[13]) e non prima di Djoser. Più significativamente, l'egittologo inglese Toby Wilkinson ha dimostrato che i sigilli rinvenuti all'ingresso della tomba di Khasekhemui, ad Abido, menzionano solo Djoser e non Nebka: ciò sostiene la tesi che sarebbe stato Djoser a presiedere ai riti funebri di Khasekhemui e a succedergli[14].

Statua di Djoser proveniente dal serdab della piramide a gradoni. Museo Egizio del Cairo.

Poiché la regina Nimaathap, sposa di Khasekhemui, ultimo faraone della II dinastia, è menzionata sul sigillo di una giara appartenente a Khasekhemui, con il titolo di Madre dei figli del re, alcuni studiosi ritengono che fosse la madre di Djoser, e che di conseguenza Khasekhemui fosse il padre di Djoser. Tale conclusione sarebbe suffragata da un altro sigillo, risalente al regno di Djoser, che appella Nimaathap Madre del re delle Due Terre. Il suo culto postumo era ancora vivo ai tempi del faraone Snefru (2613 a.C. - 2589 a.C.[15]).

Hetephernebti (o Hotephirnebty) è identificata come una delle spose di Djoser[2] su una serie di stele di confine nel recinto della piramide a gradoni (oggi dislocate in vari musei) e su frammenti di rilievi provenienti da Ermopoli, oggi al Museo Egizio di Torino[3].

Inetkaues (o Intkaes) è la sua unica figlia nota per nome[3]. Esistono tracce di una terza donna appartenente al nucleo famigliare di Djoser, ma il suo nome è andato perduto. Non è invece del tutto chiaro il rapporto fra Djoser e il suo successore Sekhemkhet.

Disegno tratto da un rilievo nelle gallerie sotterranee della piramide a gradoni. Djoser è raffigurato mentre corre durante la cerimonia Heb-Sed.

Lunghezza del regno

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Manetone scrisse che Djoser ebbe un regno di 29 anni, mentre il Papiro dei Re gli attribuisce 19 anni di regno. A causa delle sue numerose imprese architettoniche, soprattutto a Saqqara, alcuni studiosi ritengono che debba aver regnato per almeno tre decenni. La datazione di Manetone sembra la più accurata, stando all'analisi e alla ricostruzione degli Annali Reali compiuta da Toby Wilkinson. Wilkinson ricostruisce gli Annali attribuendo a Djoser 28 anni (completi o da compiere) di regno, notando che la conta del bestiame indicata nel quinto registro della Pietra di Palermo e nel quinto registro del frammento n°1 degli Annali Reali segnalano, come estremi del suo regno, rispettivamente gli anni 1-5 e gli anni 19-28[16].

Attività politica

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Djoser dispose varie spedizioni militari nella penisola del Sinai, tramite le quali sottomise le popolazioni locali. Altre spedizioni furono indirizzate alle miniere di turchese e rame del Sinai, e sono note grazie ad iscrizioni rinvenute colà[5]: alcune raffigurano l'esilio del dio Seth accanto ai simboli di Horus (motivo iconografico già comune ai tempi di Khasekhemui).

Il più importante monumento del regno di Djoser è la piramide a gradoni, la più antica piramide egizia, nata dall'intuizione di edificare più mastabe una sopra l'altra[17]. La sua forma costituì il modello di tutte le altre piramidi dell'Antico Regno. Oltre due millenni dopo, Manetone menzionò il notevole progresso nell'architettura raggiunto durante il suo regno, affermando che Tosorthros scoprì come edificare utilizzando pietre tagliate, cioè conci, assimilandolo inoltre all'eroe e dio greco della medicina Asclepio e attribuendogli alcune innovazioni nel campo della scrittura:

La Stele della carestia, sull'isola di Sehel, che menziona Djoser.

«[Djoser] era adorato presso gli Egiziani come Asclepiade [Asclepio] per la sua abilità di medico e come quello che inventò la scienza delle costruzioni in pietra tagliata; egli si dedicò anche alla scrittura.[5]»

Alcuni egittologi ritengono che Manetone si riferisse, o intendesse riferirsi, a Imhotep, il famoso sacerdote, architetto e ingegnere, ministro di Djoser, che progettò la piramide a gradoni (successivamente deificato e identificato con il dio greco Asclepio)[18].

Alcuni rilievi frammentari provenienti da Eliopoli e Gebelein menzionano Djoser, suggerendo che avesse commissionato costruzioni in quelle città; potrebbe inoltre aver fissato il confine meridionale dell'Egitto alla Prima cateratta del Nilo. Un'epigrafe dell'isola di Sehel, nota come Stele della carestia, che asserisce di risalire al regno di questo faraone, sarebbe stata creata in realtà in epoca tolemaica, probabilmente sotto Tolomeo V (205 a.C. - 180 a.C.): racconta di come Djoser ricostruì il tempio di Khnum sull'isola Elefantina, alla Prima cateratta, donandogli il territorio compreso fra Assuan e Takompso e ponendo fine, in questo modo, a una carestia che durava ormai da 7 anni[19]. Alcuni studiosi reputano che si tratti della semplice trascrizione di una leggenda più antica, altri di una frode attuata dai sacerdoti del tempio di Khnum. In ogni caso, la stele mostra come la fama di Djoser persistesse più di duemila anni dopo la sua morte[20].

Benché abbia iniziato l'edificazione di una tomba ad Abido, nell'Alto Egitto (mai conclusa), fra quelle dei suoi predecessori, Djoser fu sepolto nella sua piramide a Saqqara, nel Basso Egitto. Suo padre Khesekhmeui fu l'ultimo faraone a essere sepolto ad Abido, segno che il graduale spostamento del potere in una capitale più a nord fu completato durante il regno di Djoser.

Djoser e Imhotep

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Uno dei più famosi contemporanei di Djoser fu il suo visir Imhotep, Capo del Cantiere navale del re e Ispettore di tutte le Opere in pietra. Imhotep presiedette alla costruzione delle piramidi di Djoser e Sekhemkhet. È possibile che Imhotep compaia nel celebre Papiro Westcar, e precisamente nel racconto chiamato Cheope e il mago. Ma, essendo lacunosa la parte iniziale del papiro, il suo nome risulta mancante. Un papiro proveniente dall'antico tempio egizio di Tebtunis, risalente al II secolo a.C., riporta in scrittura demotica una narrazione su Djoser e Imhotep. Ai tempi di Djoser, Imhotep ebbe un'importanza e una fama tali da venire menzionato sulle statue del faraone nella necropoli di Saqqara.

Ernest Board, Un'invocazione a Imhotep, il dio egizio della medicina, ca. 1912, Wellcome Library, Londra.
La Piramide di Djoser in una fotografia d'epoca, precedente il 1923. Brooklyn Museum, New York.

Djoser fu inumato nella sua famosa Piramide a gradoni a Saqqara. La sua tomba fu originariamente progettata come una grande mastaba tradizionale di forma quasi quadrata, a cui furono sovrapposte successivamente altre cinque mastabe, sempre più piccole. Nacque così la prima piramide egizia a gradoni[21]. Imhotep, sacerdote, visir, matematico, ingegnere, architetto, supervisionò e diresse i lavori.

La Piramide a gradoni è in pietra calcarea. È massiccia e contiene solo uno stretto corridoio che porta nel cuore della costruzione, fino a una camera poco elaborata, dove era celato l'ingresso al pozzo sepolcrale, riempito di massi e detriti dopo l'inumazione del faraone. La piramide era originariamente alta 62 metri e misurava alla base 125 X 109 metri. Esternamente, era ricoperta di calcare bianco finemente levigato[22][23].

Pareti decorate con piastrelle in faience bluastra, nei sotterranei della piramide, in una fotografia d'epoca.

La struttura sotterranea

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Sotto la Piramide a gradoni si trova un labirinto di corridoi, camere e gallerie, per un totale di 7 chilometri di lunghezza, collegati a un pozzo centrale largo 7 metri e profondo 28[21]. La camera sepolcrale, rivestita di granito, si trova al centro di questi ultimi ambienti: un pozzo profondo 28 metri, la cui entrata fu ostruita con un masso pesante 3,5 tonnellate, conduce direttamente dall'esterno alla sepoltura di Djoser[24]. Il dedalo di ambienti al di sotto della piramide annovera quattro gallerie-magazzino, accuratamente orientate verso i quattro punti cardinali. La galleria orientale è decorata con tre rilievi raffiguranti Djoser durante la celebrazione giubilare dell'Heb-Sed[25]; intorno alle rappresentazioni, le pareti sono coperte di piastrelle in faience azzurrognola. Si ritiene che intendessero imitare stuoie di canna, forse in riferimento alle acque sotterranee dell'Amduat, cioè del mondo dei morti egizio.

Nella parte orientale della piramide, molto vicino alle camere in faience, undici pozzi sepolcrali scendono per 30-32 metri, per poi deviare verso occidente. I pozzi I-V furono utilizzati come sepolture per membri della famiglia reale, i pozzi VI-XI erano cenotafi per gli antenati di Djoser, ossia i suoi predecessori della I e II dinastia, contenendone inoltre vari corredi funerari; vi furono rinvenuti più di 40'000 vasi e ciotole ricavati da ogni genere di pietre semipreziose[26]. Sul vasellame compaiono i nomi di faraoni come Den e Semerkhet (I dinastia), Ninetjer e Sekhemieb (II dinastia). Si ritiene comunemente che Djoser abbia restaurato tombe originarie dei suoi predecessori per poi sigillarne i corredi funebri nelle gallerie nel tentativo di preservarli dalle razzie.

Lo stesso argomento in dettaglio: Liste reali egizie.
Lista di Abido Lista di Saqqara Canone Reale Anni di regno
(Canone reale)
Sesto Africano Anni di regno
(Sesto Africano)
Eusebio di Cesarea Anni di regno
(Eusebio di Cesarea)
Altre fonti:
Pietra di Palermo
16
HASHD45V17

ḏsr s3 - Djoser-za

12
D45
r

ḏsr - Djoser

3.5
D45riHASH
t

ḏsr it -Djoser-it

19 Tosorthros 29 Sesorthos registro V
28 anni di regno
Lo stesso argomento in dettaglio: Titolatura reale dell'antico Egitto.
Titolo Traslitterazione Significato Nome Traslitterazione Lettura (italiano) Significato
G5
ḥr Horo
R8D21
F32
nṯr ẖ.t Netjerykhet Divino nel corpo
G16
nbty (nebti) Le due Signore
R8D21
F32
nṯr ẖ.t Netjerykhet Divino nel corpo
G8
ḥr nbw Horo d'oro
N33
S12
nbw nebu L'uno dorato
M23
X1
L2
X1
nsw bjty Colui che regna
sul giunco
e sull'ape
D45
r
Y1
D21
ḏsr nbw Djoser nebu Djoser d'oro
G39N5
s3 Rˁ Figlio di Ra
Non ancora in uso

Altre datazioni

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Autore Anni di regno
Redford 2687 a.C.-2668 a.C.[27]
von Beckerath 2665 a.C. - 2645 a.C.[28]
Málek 2628 a.C.- 2609 a.C.[29]

Djoser nella letteratura moderna

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  1. ^ a b c Franco Cimmino, Dizionario delle dinastie faraoniche, Milano, Bompiani, 2003 ISBN 88-452-5531-X. p.467.
  2. ^ a b Dodson & Hilton, pp.45, 48.
  3. ^ a b c Dodson & Hilton, p.48.
  4. ^ Alan Gardiner, La civiltà egizia, Einaudi, Milano, 1989. p.74.
  5. ^ a b c Cimmino (2003), p.65.
  6. ^ Malek, Jaromir. 2003. "The Old Kingdom (c. 2686–2160 BCE)". In The Oxford History of Ancient Egypt, ed. Ian Shaw. Oxford-New York: Oxford University Press. ISBN 978-0-19-280458-7, p.83.
  7. ^ Aidan Dodson & Dyan Hilton, The Complete Royal Families of Ancient Egypt, Thames & Hudson (2004) ISBN 0-500-05128-3, p.45.
  8. ^ Toby A. H. Wilkinson: Early Dynastic Egypt. Strategies, Society and Security. Routledge, London, 1999, ISBN 0-415-18633-1. pp.101-4.
  9. ^ Official Catalogue of the Egyptian Museum - Cairo, Verlag Philip von Zabern (ed.), Mainz (1987), reperto n°16.
  10. ^ Tour Egypt :: The Egyptian Museum, Cairo, Egypt - King Djoser, su touregypt.net. URL consultato il 26 novembre 2016.
  11. ^ Jaromìr Màlek, Egitto. 4000 anni di arte, Phaidon (2003) ISBN 0-7148-9761-2 p.43.
  12. ^ a b Cimmino (2003), p.64.
  13. ^ Cimmino (2003), p.468.
  14. ^ Wilkinson (1999), pp.83, 95.
  15. ^ Jaromir Malek in The Oxford History of Ancient Egypt, p.87.
  16. ^ Toby Wilkinson, Royal Annals of Ancient Egypt, Routledge, 2000. ISBN 978-0-7103-0667-8. pp.79, 258.
  17. ^ Atiya, Farid (2006). Ancient Egypt. American Univ in Cairo Press. ISBN 978-977-17-3634-9. p.103.
  18. ^ Gardiner (1989), p.71.
  19. ^ P. Barguet: La stéle de la famine á Séhel. Institut français d´archaéologie orientale - Bibliothéque d´étude Paris, volume 34. Cairo, 1953.
  20. ^ Miriam Lichtheim: Ancient Egyptian Literature: The Late Period. University of California Press, Berkeley 2006, ISBN 0-520-24844-9, pp.94-100.
  21. ^ a b Miroslav Verner, The Pyramids (New York: Grove Press, 1998), pp.105-39.
  22. ^ Harry Adès A Traveller's History of Egypt (Chastleton Travel/Interlink, 2007) ISBN 1-905214-01-4. p.48.
  23. ^ Lehner, Mark (1997). The Complete Pyramids. New York: Thames and Hudson. ISBN 978-0-500-05084-2. p.84.
  24. ^ George Hart, Pharaohs and Pyramids, A Guide Through Old Kingdom Egypt (London: The Herbert Press, 1991), pp.57-68.
  25. ^ Dick Parry, Engineering the Pyramids (Phoenix: Sutton Publishing Limited, 2004), p.14.
  26. ^ Kathryn A. Bard, An Introduction to the Archaeology of Ancient Egypt (Oxford: Blackwell Publishing Ltd, 2008), pp.128-33.
  27. ^ History and Chronology of the 18th dynasty of Egypt: Seven studies. Toronto: University Press, 1967
  28. ^ Chronologie des Pharaonischen Ägypten (Chronology of the Egyptian Pharaohs), Mainz am Rhein: Verlag Philipp von Zabern. (1997)
  29. ^ (con John Baines), Atlante dell'antico Egitto, ed. italiana a cura di Alessandro Roccati, Istituto geografico De Agostini, 1980 (ed. orig.: Atlas of Ancient Egypt, Facts on File, 1980)
  • Franco Cimmino, Dizionario delle dinastie faraoniche, Bompiani, Milano 2003, ISBN 88-452-5531-X
  • Alan Gardiner, La civiltà egizia, Einaudi, Torino 1997, ISBN 88-06-13913-4
  • W.S. Smith, "Il Regno Antico in Egitto e l'inizio del Primo Periodo Intermedio", in Storia antica del Medio Oriente, 1,3 parte seconda, Il Saggiatore, Milano 1972
  • John A. Wilson, Egitto, I Propilei volume I, Arnoldo Mondadori, Milano, 1967
  • Nicolas Grimal, Storia dell'antico Egitto, Laterza, Bari, 1990, ISBN 88-420-3601-3

Voci correlate

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Altri progetti

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Collegamenti esterni

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