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Reattore nucleare CIRENE

Coordinate: 41°25′37″N 12°48′27″E
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Reattore nucleare CIRENE
A destra la centrale nucleare di Latina con il reattore nucleare Magnox, a sinistra invece il CIRENE.
Informazioni generali
StatoItalia (bandiera) Italia
LocalitàBorgo Sabotino (fraz. del Comune di Latina)
Coordinate41°25′37″N 12°48′27″E
Situazioneaccantonata
ProprietarioSOGIN S.p.A.
GestoreEnel/ENEA
Anno di costruzione01/01/1979
Chiusura01/01/1988
Reattori
TipoHWLWR
Accantonati1 (35 MW)
Mappa di localizzazione
Mappa di localizzazione: Italia
Reattore nucleare CIRENE
Dati aggiornati al 18 marzo 2010

CIRENE è stata una filiera di reattori nucleari ad acqua pesante bollente[1][2] di concezione e realizzazione italiana ispirata all'esperienza nucleare canadese, ed è acronimo delle parole CISE REattore a NEbbia, in quanto sviluppata dal CISE (Centro Informazioni Studi ed Esperienze) di Segrate, inizialmente centro di ricerca finanziato da varie società private (Edison, Montecatini, SADE ed altre), in seguito controllato dall'Enel.

Pur avendo una filosofia di progetto differente, parte dello sviluppo si è basato sulle ricerche effettuate col reattore sperimentale RB1 sito a Montecuccolino.[3]

La scelta dell'acqua pesante, che è un moderatore meno efficace dell'acqua leggera, ma con un minore coefficiente di assorbimento neutronico, migliorando così l'economia neutronica, consente l'utilizzo di uranio cosiddetto naturale, ovvero non arricchito come è necessario per i più diffusi reattori BWR e PWR che usano acqua leggera come moderatore e quindi necessitano di una concentrazione di isotopo intorno al 3% (uranio arricchito).

Ciò poneva assai meno problemi a paesi come Italia e Canada, dove la tecnologia per l'arricchimento dell'uranio era al di là delle capacità sia tecnologiche indigene che quelle economiche, mentre quella della distillazione dell'acqua pesante più facilmente raggiungibile; benché i trattati di pace della fine della Seconda Guerra Mondiale e, successivamente, il Trattato di non proliferazione nucleare non escludessero aprioristicamente la tecnologia dell'arricchimento dell'uranio, il mercato che si era creato, comunque molto limitato negli offerenti, ne disincentivava profondamente lo sviluppo autonomo. Il CIRENE comunque differiva sostanzialmente dal progetto canadese che era di tipo pressurizzato, invece che ad acqua bollente.

Lo studio della filiera CIRENE è stato abbandonato a seguito dei referendum abrogativi del 1987. Il prototipo, di piccola potenza con appena 130 MW di potenza termica[4] e circa 40 MW elettrici [2], era in avanzato stato di costruzione (praticamente ultimato a parte la macchina per il carico e lo scarico del combustibile [2]) e giace tuttora inutilizzato a Latina, sebbene alcuni sistemi siano stati alienati nel corso degli anni '90 e 2000, inclusa la riserva di acqua pesante presente in un deposito del sito (materiale "strategico" sottoposto a controllo internazionale).

Il difetto principale di questo reattore era l'assenza di un sistema di compensazione spontanea della reattività a seguito di una evaporazione del moderatore, difetto simile alla (comunque molto diversa) filiera degli RBMK, a cui apparteneva la centrale di Chernobyl. L'utilizzo di una miscela bifasica acqua-vapore come refrigerante permetteva, teoricamente, di attenuare questa mancata autoregolazione, grazie anche a sistemi di controllo creati allo scopo. Studi effettuati sul reattore di Gentilly confermarono comunque queste difficoltà e vennero interrotte altre prove. Il reattore svedese di Marviken, di una filiera simile al CIRENE, venne completamente costruito, ma non venne mai avviato[2].

Riferimento, almeno inizialmente, per tale progetto era il professor Mario Silvestri [1] del Politecnico di Milano.

  1. ^ a b Il giornale dell'ingegnere Archiviato il 29 aprile 2011 in Internet Archive..
  2. ^ a b c d Le Scienze, numero 490 - giugno 2009.
  3. ^ Il laboratorio nucleare di Montecuccolino, 6 luglio 1963, su bibliotecasalaborsa.it. URL consultato il 4 febbraio 2023.
  4. ^ Università di Bologna, su masternucleare.ing.unibo.it. URL consultato il 31 maggio 2009 (archiviato dall'url originale il 13 febbraio 2011).

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