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Shakuhachi

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Shakuhachi
Esempio di Shakuhachi
Informazioni generali
OrigineCina
Classificazione421.111.12
Aerofoni labiali
FamigliaFlauti diritti
Uso
Musica dell'Asia Orientale
Genealogia
 Antecedenti
Xiao

Shakuhachi (尺八 (しゃくはち)? ɕakɯhatɕi) indica genericamente i flauti dritti giapponesi.

Lo strumento moderno presenta cinque fori digitali, quattro anteriori e uno posteriore. Dello shakuhachi si usano dieci taglie: la più piccola di circa 39 cm, la maggiore di 91 cm. Il modello più diffuso, di 54,5 cm, produce come nota di base Re4 e ha un'estensione di oltre due ottave e mezza.

Il flauto di bambù arrivò in Giappone dalla Cina durante il VI secolo d.C. Lo shakuhachi, tuttavia, è leggermente differente dalla sua controparte cinese, da cui esso deriva, per via di secoli di evoluzione isolata in Giappone.

Insieme al koto e allo shamisen, lo shakuhachi è stato protagonista della musica del periodo Edo (1603-1867). Infatti, pur se apparso nel contesto buddhista, esso trova diffusione anche in àmbito secolare, sia come strumento solistico che in ensemble con i già citati cetra e il liuto.

Tutt'oggi lo shakuhachi continua ad essere al centro della pratica tradizionale. La due scuole principali sono la Kinko, fondata nel XVIII secolo, e la Tozan, creata nel 1896. Il repertorio si divide tra honkyoku, pezzi sviluppati come forma di meditazione da parte di monaci Zen, e gaikyoku, brani inizialmente esterni al repertorio per shakuhachi.

Già alla fine degli anni Venti del XX secolo, lo shakuhachi raccoglie l'attenzione di musicisti che tentano di unire strumenti giapponesi con elementi occidentali. Ne è primo esempio Haru no umi (1929), duo per shakuhachi e koto, composto da Miyagi Michio (1894-1956). Nel 1967 Takemitsu Tōru (1930-1996) scriverà invece November Steps, per shakuhachi, biwa (liuto a manico corto) e orchestra occidentale.[1]

  1. ^ Daniele Sestili, Programma di sala per il concerto di Tajima Tadashi, 19 novembre 2012, Istituto giapponese di cultura, Roma, estratto in http://www.jfroma.it/index.php?option =com_content&view=article&id=43&Itemid=52&lang=it#shaku
  • Blasdel Yohmei Christopher, The Single Tone. A Personal Journey into Shakuhachi Music, Tokyo, Printed Matter Press, 2005
  • Iwamoto Yoshikazu, The Potential of the Shakuhachi in Contemporary Music, “Contemporary Music Review”, 8/2, 1994, pp. 5-44
  • Kamisango Yūkō, The Shakuhachi: a manual for learning, translated and adapted by Christopher Yohmei Blasdel, Tōkyō, Ongaku no tomosha, 1988
  • Sallustio Roberto, Lo shakuhachi tra locale e globale. Ideologie, pratiche e protagonisti in Giappone e in alcuni Paesi europei, Università di Roma "La Sapienza", 2010, tesi di laurea non pubblicata (relatore Daniele Sestili)
  • Sallustio Roberto, Between global and local. The Shakuhachi and its European ‘Identities’, The European Shakuhachi Society Journal, 2011, vol. 1, pp. 86-95
  • Sestili Daniele, Il racconto dello shakuhachi. Come uno “strumento dello Zen” divenne strumento musicale, “Avidi lumi”, V/13, 2001, pp. 22-25
  • Sestili Daniele, Shakuhachi, il piacere del gesto-suono. Incontro con Mitsuru Saitō, musicista ed etnomusicologo, “Il giornale della musica”, febbraio (168), 2002, p. 35
  • Seyama Tōru, The Re-contextualisation of the Shakuhachi (Syakuhati) and its Music from Traditional/Classical into Modern/Popular, “the world of music”, 40/2, 1998, pp. 69-84
  • Tsukitani Tsuneko, The shakuhachi and its music, in Alison McQueen Tokita, David W. Huges (edited by), The Ashgate Research Companion to Japanese Music 7, Aldershot, Ashgate, 2008, pp. 145-168

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