Utente:OppidumNissenae/Sandbox029

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Torrone di Caltanissetta
Barrette di torrone di Caltanissetta, con ben visibili le mandole intere e i pistacchi verde intenso
Origini
Luogo d'origineItalia (bandiera) Italia
RegioneSicilia
Dettagli
Categoriadolce
RiconoscimentoP.A.T.
Settorepaste fresche e prodotti della panetteria, biscotteria, pasticceria e confetteria
Ingredienti principali
  • miele
  • mandorle
  • pistacchio

«[Al magnifico rettore] Ha mangiato del magnifico torrone?»

«O torrone, torrone,
Dolce consolazione
Del menestrello afflitto.»

Il torrone di Caltanissetta è un prodotto dolciario tipico della città di Caltanissetta.[2] Questo tipico torrone si caratterizza per la lunga cottura, circa otto ore, e per la presenza, solamente, di mandorle, pistacchi e miele locale.[3]

Origine degli ingredienti

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Il Barone francesco Morillo di Trabonella, produttore di pistacchi di Sicilia prima del 1830

Nei territori del centro Sicilia, sin dall'antichità, v'è stata la tradizione agronomica della coltivazione del mandorlo (Prunus dulcis) e dei pistacchio (Pistacia vera), che insieme al miele di sulla caratterizzano la ricetta antica del torrone di Caltanissetta. I territori nisseni erano ricchi, oltre che di mandorleti,[4] di pistacchieti[5][6] detti fastucchere, dalla parola fastuca che deriva, secondo un'ipotesi linguistica contestata da alcuni, dall'arabo (fustuaq).[7]

Pistacchio

Diversi documenti storici confermano la peculiare vocazione del territorio nisseno alla coltivazione del pistacchio, tra i documenti più interessanti si ricordano secondo Samsonoff (1912) il pistacchio in Sicilia fu importato dagli arabi; esso veniva coltivato in territori quali Agrigento, Bronte, Caltanissetta, Petralia e Ventimiglia di Palermo.[8][9]

Il M. Grilli sul Bollettino della R. Società Toscana di Orticultura (1877), scrive: «... questa pianta non soltanto si coltiva estesamente a Favara, ma anche in altre parti della provincia di Caltanissetta», individuandone così nel 1877 i maggiori centri di coltivazione in Sicilia.[10] Nella Rivista della Società Toscana di Orticultura (1941) a p. 181 leggiamo: «... la provincia più produttiva è quella di Caltanissetta, seguita da quella di Agrigento, Catania, Palermo, Enna e Messina».[11]

Storicamente è noto come il feudo di Trabonella, fin dal 1747 di proprietà dei Morillo, sia stato uno dei luoghi dove si coltivava in modo importante il pistacchio. Nel 1830 il Barone Morillo diede in affitto l'area ai f.lli Morelli che iniziarono lo lo sfruttamento dello zolfo del giacimento nel sottosuolo del feudo; ciò ha inevitabilmente frustato lo sviluppo del suolo agronomico sovrastante l'area della miniera e con esso la coltivazione del pistacchio.[12]

Mandorlo

Le coultivar di mandorlo storiche del centro Sicilia, secondo F. G. Crescimanno, sono: la Cavaliera, la Moliese da tavola,la Moliese Pizzuta, la Pistacchio e la Mollisetta.[13]

Inoltre, il miele prodotto in Sicilia storicamente è originata dall'ape siciliana (Apis mellifera sicula, Dalla Torre 1896), che è una sottospecie dell'ape comune e la cui area di distribuzione naturale sono le provincie della Sicilia occidentale. L'apis mellifera sicula si contraddistingue per un aplotipo genetico africano (A);essendo stata un rifugio per le api del gruppo mediterraneo durante l'ultima glaciazione nel quaternario.[14][15] Essa a temperature superiori ai 40 °C, è capace di ridurre o interrompere l'allevamento della covata durante i periodi estivi più caldi, quando le risorse nettarifere e pollinifere sono scarse, nonché l'abilità nel controllo dell'infestazione da parte di Varroa destructor, ne fanno la sottospecie preferita per la produzione di miele nelle aride regioni centrali della Sicilia.[14] Il miele prodotto dall'apis mellifera sicula è un Presidio Slow Food.[16]

I mieli di ape nera possiedono un notevole potere riducente e un potenziale antiossidante,[17] questo miele vanta fino a 10 volte più fenolici totali e una capacità antiossidante maggiore rispetto ad mieli di altre regione italiane ed estere. Rilevante, inoltre, è il contenuto in acido gallico che si ritrova nel miele di fiori di nespolo e di mandorlo.[18]

Uno studio pubblicato nel 2022 sostiene che grazie all'analisi filogenetica v'è una stretta relazione mitocondriale tra apis mellifera sicula e altre sottospecie africane come:

  • Apis mellifera sahariensis o ape del miele del Sahara vive nelle oasi desertiche marocchine dell'Africa nord-occidentale. Questa sottospecie affronta pochi predatori diversi dall'uomo ed è quindi molto gentile. Inoltre, a causa della bassa densità di vegetazione che produce nettare intorno alle oasi che colonizza, si nutre fino a cinque miglia, molto più lontano delle sottospecie provenienti da regioni meno aride.
  • Apis mellifera interrmissa o ape tunisina vive nella parte settentrionale dell'Africa nell'area generale del Marocco, Libia e Tunisia. Queste api sono completamente di colore nero. Sono estremamente feroci, ma non attaccano senza provocazione. Sono laboriose e resistenti, ma hanno molte qualità negative che scoraggiano il loro allevamento per l'industria del miele o dell'impollinazione.
  • Apis mellifera ruttneri o ape delle isole maltesi fa parte delle varietà europee.
  • Apis mellifera iberiensis o ape iberica.

Ciò suggerisce una recente discendenza condivisa tra queste sottospecie e posiziona l'apis mellifera sicula nel lignaggio africano.[19]

Riguardo le caratteristiche organolettiche dei tipi di mieli ottenuti in Sicilia usati per la produzione del torrone si può dire che:[20]

  • I mieli di Sulla e di Agrumi sono i più dolci e i più aspri.
  • I mieli di castagno hanno ottenuto i valori più bassi per il gusto agrodolce, risultando il più amaro.
  • I mieli di agrumi ed eucalipto hanno mostrato il più alto contenuto di fruttosio.
  • i mieli di agrumi e di sulla hanno avuto il più alto contenuto di saccarosio.
  • Il rapporto fruttosio/glucosio più alto era 1,59, trovato per i mieli di castagno, che avevano anche il valore di pH più alto.
  • Il potassio è l'elemento più abbondante nel miele e i valori più alti sono stati riscontrati per il miele di Castagno ed Eucalipto.
  • Tra i microminerali, lo Zinco ha mostrato la concentrazione più alta.

Per la valutazione del colore i colori scuri sono correlati al sodio e ai microelementi, mentre il colore chiaro mostra una correlazione negativa con potassio e magnesio.

Origini storiche

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La produzione di torrone di Caltanissetta si è affermata nel tempo sovrapponendosi alla preesistente produzione della cubaita.[21]

Il torrone fa parte di una famiglia assortita di dolci di antica origine, tutti composti da frutta secca amalgamata con una pasta dolce. Esso va considerato come un "fossile commestibile", tipico della tradizione alimentare del mediterraneo, esso viene venduto durante le feste religiose nelle strade intorno alle chiese.[22] Il ruolo della cucina spagnola nella nascita del torrone è dovuto alla lenta cottura in opportune caldaie (bassine dove il miele dopo ore di cottura (da 8 a 10 ore a seconda della stagione climatica) incorpora la frutta secca aggiunta, vetrificando la consistenza dell'impasto che diventa duro e friabile ovvero croccante.[22]

Ricevono il nome generico di halva, (dall'arabo: حلاوة (طعام) o halwä) un nome è usato per indicare una grande varietà di dolci. Gli halva sono diffusi su un vasto territorio che va dall'Asia: India, Pakistan, Bangladesh, al Medio Oriente dove sono molto diffusi come in Turchia, Iran, Iraq, Arabia, Egitto fino all'Europa sudorientale come in Russia, Ucraina, Armenia, Albania, Bulgaria, Romania, Grecia, Cipro. Gli ingredienti variano a seconda della regione e possono essere pasta di sesamo, semi di girasole o semola di grano; il dolce addensante può essere il miele o lo zucchero; e può contenere vari tipi di frutta secca: noci, nocciole, datteri, uvetta, mandorle, pistacchi ecc.

Ipotesi greca

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Il torrone ha origine nell'area mediterranea, probabilmente è un'invenzione greca sviluppata successivamente dagli arabi[23] che è arrivata in Sicilia «dopo una deviazione in Spagna», dove fu ideato un nuovo modo di amalgamare le mandorle[22] al miele. Insieme alla Giurgiulena (sesamo), alla cubaita (mandorle) e alla petrafennula[24] (scorza di agrumi e mandorle), il torrone si fabbrica amalgamando frutta secca (mandorle e pistacchio) ad un legante come il miele.[22]

Il filosofo peripatetico greco antico Clearco di Soli allievo di Aristotele,[25] vissuto nel IV-III secolo a.C., descrisse un dolce a base di frutta secca e miele, chiamato koptè;[26][27] dolce dal quale potrebbe essere successivamente derivato, con il nome “cuppedia”, il primo croccante, e poi nell’arabo “cubaita”.[23] Oggi in Turchia viene chiamato Baklava un dolce con gli stessi ingredienti.

Un autore spagnolo: Rodríguez afferma che i torroni sono già menzionati nel 662 aC durante la prima Olimpiade, attorno al tempio di Zeus.[28]

Ipotesi romana

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Secondo altre fonti l'origine del torrone è romana; infatti, Tito Livio, vissuto nell'epoca di Cristo, già parla di una preparazione molti simile in alcuni suoi scritti. Un dolce molto simile al torrone, chiamato cupedia (tradotto in ghiottoneria); da questo termine cupedia deriverebbero i gerghi regionali con cui si indica il torrone o le specialità simili come la cupeta in Salento e Calabria, copata a Siena e la copeta in Campania. In origine l'uso di questi alimenti, altamente energetici, era preferito dagli atleti prima delle gare in Grecia o dai soldati romani durante le loro imprese militari.[29] L'uso in ambito militare è verosimile visto l'alto valore nutritivo in poco peso ed anche la facile trasportabilità e conservabilità a temperature ambiente.

Successivamente nel “De re culinaria” di Marco Gavio Apicio gastronomo, cuoco e scrittore romano vissuto a cavallo fra il I secolo a.C. e il I secolo d.C., scrive di un dolce a base di miele, mandorle e bianco d’uovo, descrivendolo così: "Torta soda da arrovesciare. Arrostisci pinoli e gherigli di noci, e tritali con miele, pepe, latte ed uova. Poco d’olio".[30]

La parola cupedia non si trova da nessuna parte, però esiste una parola molto simile, cuppedia, che significa delicatezza e compare nei testi di Cicerone e Plauto tra gli altri. In Sicilia, invece, la cupeta è chiamata cubaita, parola di origine araba che dà motivazione dell'origine araba del torrone.[29]

Ipotesi araba

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Furono sicuramente, gli Arabi i portatori del torrone, sin dai primi contatti con la Penisola Iberica, cioè dai tempi degli Omayyadi; popolo arabo dell'odierna Siria e primi coloni musulmani nella penisola iberica. Va però detto che secondo un'altra ipotesi, fu prima la Sicilia a conoscere il torrone arabo, per poi diffonderlo in Spagna successivamente.[28]

Luijan scrive: che il primo documento scritto della parola "torrone" è successivo, al 1507; inoltre, nel testo Le mille e una notte, vengono descritti dolci sono molto simili al torrone di Alicante.[31] Fernando Galiana, afferma che il torrone era già conosciuto prima del XIV secolo nella città di Jijona.[28] L'ipotesi araba dell'origine del torrone di Caltanissetta e in generale del torrone nel meridione d'Italia è supportata dal fatto che in Sicilia abbiamo addirittura due diverse terminologie per indicare tipi di torrone, la cubaita o cubbaita e la giuggiulena. Proprio questi due termini farebbero pensare che siano stati gli arabi a portare il torrone nel bacino Mediterraneo, in Sicilia, in Spagna e in tutto il resto d’Italia. Inoltre va detta che furono gli arabi che importarono lo zucchero di canna dall'Oriente per primi, questo alimento entrò nella cucina araba dal VII secolo. Con i termini cubbaita e giuggiulena, gli arabi si riferiscono ad un dolce fatto di miele e sesamo; il torrone, quindi, non è altro che una variante con semi tostati e abbrustoliti. Inoltre molti dolci arabi (Kanafeh, Qatayef, Lokma), come anche i dolci turchi (Baklava su tutti) vedono l'ampio utilizzo del miele e della frutta secca.[32]

Per altro in siciliano si usa la parola atturrare per indicare la parola italiana abbrustolire o tostare.[33]

Tra il 1100 ed il 1150 Gherardo da Cremona tradusse un libro del medico di Cordova Abdul Mutarrif in cui si esaltavano le virtù del miele e veniva citato un dolce arabo: il “turun”.[34]

Frontespizio del "Tesoro della lingua castigliana" di de Covarrubias del 1611. Biblioteca Nazionale di Spagna

Sebastián de Covarrubias (1539 - 1613) nel suo dizionario Tesoro de la lengua castellana o española|Tesoro della lingua castigliana o spagnola del 1611, scrive chela parola torrone non deriva dall'arabo turun ma dal latino torrere, che significa abbrustolito, e allude al modo in cui il gli ingredienti sono cotti; sembrerebbe quindi che sia il termine arabo a derivare dal latino.[29]

Una delle prime citazioni scritte del torrone si trova in un passaggio dell'opera teatrale: La Generosa paliza (1570) di Lope de Rueda, la trama dell'opera consiste in una lite di un padrone con i suoi servi perché hanno mangiato la sua libbra di torrone di Alicante che era sulla scrivania.[35] Nel 1582, un documento del comune di Alicante indica che da tempo immemorabile, ogni anno, la città di Alicante pagava (...) i propri stipendi, parte in denaro e parte in un regalo che veniva loro dato per le feste di Natale, di un arroba di torrone (...).[36]

A Jijona in Spagna prima del XIV secolo, gli ebrei facevano una pasta dolce: l'halva con miele con sesamo, noci o mandorle. Successsivamente nel XVI secolo fu il torrone di Alicante a diventare famoso in tutta la Penisola iberica. Nel 1610 lo storico valenciano Gaspar Juan Escolano scriveva nei suoi Decades:[37][38] «il torrone di Jijona, messo in piccole scatole, viene esportato in tutta Europa come dono unico».[29]

Insieme questi elementi storici ispanici, è noto, come diverse testimonianze e documenti testimoniano, il legame tra la pittrice Sofonisba Anguissola (1532 - 1625) e i Moncada di Caltanissetta, come scrive la storica nissena Rosanna Zaffuto-Rovello.[39]

Cleveland Museum of Art - Juan van der Hamen y Leon (1622); Natura morta con il torrone

Nel XIV secolo il torrone costituiva un cibo regale, con il quale si presentavano o si pagavano le autorità, è questa un'usanza esistente sia in Spagna che anche in Italia.[40]

La cremonese Sofonisba che lascia la corte spagnola di Filippo II e Isabella per sposare Fabrizio Moncada, fratello del vicerè di Sicilia, «E proprio al palazzo dei Moncada viene chiesto di recapitare a natale un quantitativo di cubaita per tutte le nobili del palazzo, come attestano dei documenti storici della fine del 500».[39]

A Caltanissetta «nel 500 e nel 600 si faceva un censimento della popolazione, una sorta di dichiarazione dei redditi chiamata "riveli". In uno dei riveli del 1623 troviamo le dichiarazioni di un artigiano, Michele Bisco, che dichiara di avere nella sua bottega di Caltanissetta, poco dietro la Cattedrale, "8 salme di mandorle, pari a circa 2200 kg, 15 kg di miele e varie attrezzature per la preparazione"».[39]

Altri documenti, sempre secondo la Zaffuto-Rovello, attestano inoltre la tipicità del dolce per le feste natalizie, infatti: «Nel 1617 troviamo traccia dell’imposizione del prezzo da parte dei giurati nisseni, prezzo stabilito poco prima del natale».[39]

Suore Benedettine intente a produrre dolci conventuali
Ditta Infantolino premiata ditta di torrone sin dal 1889
Storica pubblicità di un noto torrone di Caltanissetta

In Spagna si segnala che Turrones la Colmena è il primo marchio di torrone registrato presso l'Ufficio Brevetti e Marchi il 12/04/1897.[36]

La storiografia più nota del torrone, non universalmente condivisa, farebbe nascere a Cremona la prima produzione artigianale del torrone; infatti, secondo Vergani, «nel 1881 nacque a Cremona la prima ditta pensata espressamente per la produzione del torrone.»[34]

A sostegno però dell'ipotesi di una produzione artigianale di torrone più datata a Caltanissetta vi sono alcuni fatti che confermerebbero questa tesi, essi sono:

  • In Sicilia, soprattutto nel territorio del consorzio agrario di Caltanissetta, nel 1879 si assisteva ad una importante produzione di pistacchio, considerata merce di lusso, e mandorle delle varietà cavalera e ciminnesa.[41][42]
  • A ciò si aggiunge il fatto che, già nel 1838, documenti d'archivio riportano acquisti di mandorle e pistacchi da parte dei frati del convento di Santa Maria degli Angeli insieme a cannella, chiodi di garofano e spezie varie necessarie per fare il torrone. Questi frati lo confezionavano come oggi, avvolgendolo in una carta colorata che mettevano in cassette di legno per regalarlo ad esempio ai confratelli di Palermo, così scrive la studiosa nissena Vullo.[39]
Sono note anche le liste della spesa per gli ingredienti della pasticceria delle monache della Chiesa e monastero di Santa Croce, monache benedettine che fino al 1908 produssero dolci conventuali, come le Spine Sante le crocette insieme al torrone.[43][44]
  • Nel 1874 si parla negli Annali del Ministero dell'Agricoltura, Industria e Commercio della notevole produzione delle mandorle nella provincia («l'intera produzione di mandorle si fa ascendere a quintali metrici 12.832») per la produzione del torrone, testualmente si legge: «le mandorle ... sono adoperate per l'estrazione dell'olio e per la composizione del così detto torrone[4]
  • Nel 1875 erano censiti a Caltanissetta cinque confettifici, (NB: nella produzione dei confetti si usano le stesse attrezzature del torrone); essi erano:[45]
  • Amico Salvatore
  • Giannone Luigi§
  • Giannone Salvatore
  • Infantolino Giuseppe§
  • Romeres Intravaia Giuseppe§
§ questi tre erano censiti anche come fabbriche di torrone (vedi Annuario d'Italia guida generale del Regno, Anno XIV pag.2434[45])
  • Inoltre, vi sono numerosi documenti che testimoniano dell'importanza commerciale della produzione del torrone nisseno, già in epoca ottocentesca;[46] infatti, nel 1895 si contavano in città ben 8 torronifici e 2 monasteri che fabbricavano torrone, confetti e frutta candita esportandolo in tutta l'Italia ed anche all'estero.[39][47]

L'eccellenza di questa fiorente attività economica cittadina è dimostrata dal fatto che il torrone di Caltanissetta, della ditta di Salvatore Amico,[41] fu premiato con il primo premio all’Esposizione generale italiana del 1884, per la categoria “torroni e panforte”, premiati con il loro torrone furono anche le ditte di Luigi Giannone e di Giuseppe Infantolino con la menzione d’oro.[23][48] Il commercio del prodotto nisseno era molto sviluppato tanto che a Londra, nel 1885, esisteva un esportatore di torrone di Caltanissetta per il Regno Unito: la ditta di Miche De Fazio & Co..[49]

Nel 1895 il numero dei torronifici crebbe per importanza, in particolare i due torronifici più importanti erano quelli della ditta Giuseppe Romeres[50] e della Giuseppe Infantolino, oltre queste v'erano le ditte: Ottaviano Alessi, Francesco Paolo Amico, Salvatore Amico, Luigi Giannone, Salvatore Giannone e Salvatore Geraci. Aziende queste che occupavano stabilmente 34 operai; nello stesso periodo la ditta di liquori dei Fratelli Averna occupava 16 operai.[47]

Sono censiti nel 1908 a Caltanissetta 6 fabbriche di torrone, insieme ad 11 produttori di mandorle, 9 produttori di miele e 7 produttori di pistacchi.[51] Successivamente sono censiti nell'Albo dei produttori italiani per ogni ramo industriale, 1918-19 - Anno II a pag. 102 i seguenti torronifici:[52]

  • Bruno Marco
  • Giannone Luigi
  • Geraci Michele

Nella città nissena nel tempo altre produzioni minori di interesse locale e non solo sono sorte durante tutto il XX secolo, si ricordano tra queste il torronificio di Bruno e Figlio,[53] il noto Caffè Romano, insieme ad altre pasticcerie e bar-pasticcerie che producevano torrone.

Sono citati nell'Annuario generale d'Italia e dell'Impero italiano, 1937-38 le seguenti ditte produttrici di torrone a Caltanissetta:[54]

  • Geraci Michele,
  • Gruttadauria Emanuele,
  • Marco Bruno, che nel 1940 deposita il marchio proprio di fabbrica.[53]
  • Romano Carmelo,
  • Romano M.,
  • Scarlata Luigi,
  • Siracusa Francesco,
  • Taibi Salvatore.

Diversi produttori di torrone sono presenti in città, fra tutti si ricorda la storica Azienda Geraci nata nel 1870 e giunta alla quarta generazione imprenditoriale.[39][55]

Al settembre 2022 è in corso l'iter per il riconoscimento da parte di Slow food come prodotto di presidio tutelato;[3][56][57][58] ciò insieme all'attivazione di un percorso burocratico per il riconoscimento dell’IGP;[59] IGP di cui al 2022 godono solo due torroni in Europa.[60] Sono questi due: il Turrón de Jijona e il Turrón de Alicante, che vivono la contradizione tra una produzione interamente autoctona come richiesto dal disciplinare e la realtà che inevitabilmente privilegia la produzione di mandorle di produzione intensiva provenienti dagli Stati Uniti.

Il concetto di qualità per il torrone, e più in generale per i prodotti agroalimentari della tradizione, è in altri termini «"... un obiettivo mobile plasmato non solo da eredità culinarie, ma anche forgiato da un'economia politica globale dell'agricoltura che soffre di una sovrapproduzione cronica».[61]

Il torrone di Caltanissetta è di recente è stato individuato come un obiettivo nell'ambito di un progetto di sviluppo della città; città che vuole diventare: la citta del torrone.[62]

In data 23 settembre 2022 in occasione del Salone del gusto di Torino organizzato da Terra Madre viene presentato in un incontro degustazione: Il torrone tradizionale di Caltanissetta e la sua economia circolare.[63]

Torrone di Caltanissetta e dieta mediterranea

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Il torrone di Caltanissetta entra a far parte della progettualità del Primo parco mondiale dello stile di vita mediterraneo, entrando così all’interno del paniere della dieta mediterranea; cosa questa che determinerà per l’intera filiera produttiva un prevedibile notevole sviluppo economico, grazie anche al suo riconoscimento come Presidio Slow Food a vantaggio del territorio.[3][64]

Proprietà nutraceutiche

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Ricerche scientifiche condotte in Spagna documentano come il torrone si caratterizza per la notevole presenza di polifenoli ad attività antiossidante, come l'epicatechina e la catechina che sono i composti più presenti.[65]

Inoltre secondo un'altra ricerca spagnola sono stati rilevati «un totale di 58 composti nelle mandorle tostate; questi includevano chetoni, aldeidi, pirazine, alcoli, idrocarburi aromatici, furani, pirroli, terpeni e idrocarburi lineari. Le pirazine, insieme ai furani e ai pirroli, hanno contribuito in modo significativo al caratteristico aroma tostato di mandorla».[66]

La ricetta originale del torrone di Caltanissetta prevede solamente tre ingredienti: miele, mandorle e pistacchi; alcune produzioni prevedono l'uso dell'albume d'uovo e dello zucchero. Le varianti con glucosio o sciroppo di glucosio, zucchero, uovo o altro non sono da ascrivere alla ricetta del torrone di Caltanissetta originale; pur essendo oggi ampiamente accettate nelle produzioni locali.

L'uso dell'albume d'uovo, che ha la funzione di anti-schiuma e anti-cristallizzazione, e soprattutto chiarificante il colore della pasta.[21] Mentre lo zucchero e lo sciroppo di glucosio sono succedanei economici del miele ed hanno caratteristiche reologiche semplificanti il processo di cottura del torrone.[67]

Il miele di ape nera sicula, con il quale storicamente il torrone di Caltanissetta era prodotto fino agli anni 70[16], non differisce organoletticamente, da quello prodotto dalle api di altre razze. L'ape nera siciliana è molto produttiva, anche a temperature superiori ai 40°, quando le altre api si bloccano, e inoltre sopporta bene gli sbalzi di temperatura ed inoltre ancora l'ape nera siciliana consuma meno miele delle altre api.[16]

In generale il miele ha diverse proprietà nutraceutiche ed anche medicamentose.[68][69][70] Il miele, come prodotto naturale, vanta infatti effetti antinfiammatori, antiossidanti, antibatterici, antiipertensivi e ipoglicemizzanti.[71][72]

  1. ^ L. Luzzatti, L'inchiesta industriale e i trattati di commercio, Tip. del Senato di Forzani e c., 1878, p. 212.
  2. ^ Gazzetta Ufficiale della Repubblica, Aggiornamento dell'elenco nazionale dei prodotti agroalimentari tradizionali, su gazzettaufficiale.it, 10 febbraio 2020. URL consultato il 15 aprile 2020.
  3. ^ a b c 3 settembre 2022 - Diretta dell'incontro su “Il Torrone di Caltanissetta, futuro Presidio Slow Food, espressione della Dieta Mediterranea”. By ins.ref.Primo Parco mondiale dello Stile di Vita Mediterraneo, su facebook.com.
  4. ^ a b Annali, 1874, p. 102. URL consultato il 4 settembre 2022.
  5. ^ Quante varietà di pistacchio esistono?, su Frutta e Bacche, 30 luglio 2020. URL consultato il 4 settembre 2022.
  6. ^ Pietraperzia, su MammaSicily. URL consultato il 4 settembre 2022.
  7. ^ Ateneo (Atheneus), Δειπνοσοφισταί - The learned banqueters - Translated by S. Douglas Olson, Harvard, Loeb Classical Library, 2011.
  8. ^ Samsonoff, Caterina. “Sulla coltivazione del pistacchio in Italia.” Bullettino Della R. Società Toscana Di Orticultura, vol. 17, no. 11, 1912, pp. 282–88. JSTOR, http://www.jstor.org/stable/42885769. Accessed 24 Sep. 2022.
  9. ^ Cazzuola, F. “Il pistacchio, il terebinto ed il lentisco.” Bullettino Della R. Società Toscana Di Orticultura, vol. 3, no. 1, 1878, pp. 10–16. JSTOR, http://www.jstor.org/stable/45243264. Accessed 24 Sep. 2022.
  10. ^ M. Grilli, POMICULTURA, in Bullettino della R. Società Toscana di Orticultura, vol. 2, n. 3, [Dipartimento Di Scienze Delle Produzioni Vegetali, Del Suolo E Dell'Ambiente Agroforestale – DiPSA – University of Florence, Firenze University Press], 1877, pp. 77–84.
  11. ^ Libri e riviste, in Rivista della Società Toscana di Orticultura, vol. 26, n. 9/12, Dipartimento Di Scienze Delle Produzioni Vegetali, Del Suolo E Dell'Ambiente Agroforestale, University of Florence, 1941, pp. 179–183.
  12. ^ Pinella Di Gregorio, Nobiltà e nobilitazione in Sicilia nel lungo Ottocento, in Meridiana, n. 19, Viella SRL, 1994, pp. 83–112.
  13. ^ F. G. Crescimanno, Ricerche sulla biologia fiorale di alcune cultivar di mandorlo premici coltivate in Sicilia, in Rivista di ortoflorofrutticoltura italiana, vol. 44, n. 1/2, Dipartimento Di Scienze Delle Produzioni Vegetali, Del Suolo E Dell'Ambiente Agroforestale, University of Florence, 1960, pp. 13–23.
  14. ^ a b Angela Sinacori, Thomas E. Rinderer e Vicki Lancaster, A morphological and mitochondrial assessment of Apis mellifera from Palermo, Italy, in Apidologie, vol. 29, n. 6, 1998, pp. 481–490, DOI:10.1051/apido:19980601. URL consultato il 4 ottobre 2018.
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  16. ^ a b c Ape nera sicula - Presìdi Slow Food, su fondazioneslowfood.com, 29 giugno 2022.
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