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Battaglia di Montebello (1859)[1]
parte della seconda guerra di indipendenza
Data20 maggio 1859
LuogoMontebello, (Pavia)
EsitoVittoria franco-sabauda
Schieramenti
Comandanti
Effettivi
6.933 fanti
900 uomini della cavalleria
12 cannoni
23.483 fanti
1.164 uomini della cavalleria
68 cannoni[2]
Perdite
92 morti, 529 feriti, 69 prigionieri
17 morti, 31 feriti, 3 dispersi
331 morti, 785 feriti, 307 dispersi o prigionieri
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La Battaglia di Montebello fu il primo evento bellico importante della Seconda guerra di indipendenza italiana. Fu uno scontro importante, perché dimostrò l'efficacia bellica delle truppe leggere dell'esercito sardo, le quali, dopo aver avvistato il nemico austriaco e segnalato ai comandanti della divisione francese, non si ritirarono ma riuscirono a respingerle con numerose cariche.

A seguito di questa battaglia, i piemontesi, si distinsero talmente tanto che venne istituito un nuovo reggimento di cavalleria, che ancora oggi è attivo, di nome Lancieri di Montebello, unico reggimento che ha preso il nome da una battaglia.

L'importanza della battaglia

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Nel 1859, dopo dieci anni di pace dalla fine dell Prima guerra di indipendenza italiana, il Regno di Sardegna, alleato con l'Impero francese di Napoleone III, tornava a sfidare gli austriaci sul campo di battaglia, i quali non volevano lasciare il controllo delle province piemontesi, che erano molto ricche e popolose. La Guerra d'Italia di questo anno[3], fu molto importante sia per le conseguenze politiche, sia per le innovazioni della scienza che della tecnologia bellica, che influenzò il pensiero e la dottrina militare fino all'inizio della Prima Guerra Mondiale. A seguito di questa guerra infatti la geografia politica di quei tempi cambiò, consegnando l'Impero d'Austria a un lento declino e favorendo la nascita del nuovo regno d'Italia, proclamato il 17 marzo 1861.

La battaglia di Montebello, pur non potendo paragonarla alla successiva Battaglia di Solferino e San Martino, per il numero dei combattenti e la distensione dello scontro, fu la prima di una certa importanza per gli eserciti franco- piemontesi e austriaci, per i quali costituì il battesimo del fuoco. Inoltre l'esito di questo primo scontro, impresse un decisivo slancio, grazie anche alla positiva valenza psicologica della vittoria, alle seguenti operazioni militari degli Alleati, che presero l'iniziativa strategica per tutta la campagna. Infatti l'impatto psicologico di questo scontro fu subito avvertito in entrambi gli schieramenti: dalla parte degli Alleati, questa vittoria riportata su truppe notevolmente più numerose, confermò negli alti comandi l'idea dell'inferiorità qualitativa delle truppe austriache e la scarsa qualità dei loro comandanti e instillò nei Piemontesi la consapevolezza che l'armata sarda, piccola ma solida, poteva misurarsi con i maggiori eserciti europei. Mentre dalla parte degli austriaci, questa battaglia provocò un trauma morale e psicologico, vedendosi sconfiggere una robusta armata, protetta per giunta da ottime difese naturali, da un piccolo contingente delle forze nemiche. Infatti nonostante la disciplina delle truppe, la mancanza di slancio e la difficoltà di reagire con rapidità e decisione durante lo scontro, che caratterizzava gli ufficiali dell'armata austriaca, difficilmente avrebbero consentito la vittoria difronte a un avversario dinamico dotato di iniziativa e fortissime motivazioni ideali.

Dal punto di vista strettamente militare, questa battaglia è importante per numerosi ragioni: si trattò, infatti, del primo scontro tra i più moderni e potenti eserciti dell'epoca, che utilizzarono nuovi tipi di armi (come i fucili e i cannoni rigati) e nuove soluzioni tecniche (il telegrafo per le comunicazioni sul campo di battaglia) e logistiche (l'uso della ferrovia per il trasporto rapido delle truppe). Inoltre ci fu anche un utilizzo moderno della cavalleria: i cavalleggeri piemontesi, infatti, con numerose cariche e azioni di disturbo, agganciarono il nemico e ne ritardarono l'avanzata in attesa dell'arrivo della propria fanteria. Anche l'utilizzo di quest'ultime fu più moderno, con tattiche di assalto innovative basate su un breve e intenso fuoco delle artiglierie francesi seguito da una rapida avanzata delle colonne della fanteria di linea.

Tuttavia la Guerra d'Italia si caratterizzò per una concezione strategica legata ancora alla tradizione napoleonica, con enormi masse di fanteria che si fronteggiavano a campo aperto e squadroni di cavalieri che si lanciavano in avanti, nonostante che l'utilizzo più corposo delle artiglierie rigate e il miglioramento tecnologico dei fucili portavano molto avanti ad alcune idee più moderne della concezione di guerra.

Contesto Storico

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Dopo la sconfitta nella prima Guerra d'Indipendenza, il Piemonte si ritrovò isolato nella scena internazionale, così per riguadagnare il credito perduto e riportare l'attenzione dell'opinione pubblica sulla "questione italiana" dovette rompere questo isolamento e cercare di riguadagnare i favori delle potenze europee, in particolar modo della Francia e della Gran Bretagna. A questo proposito si schierò al loro fianco nella Guerra di Crimea, nella quale l'esercito sardo risollevò il suo prestigio e dette a Vittorio Emanuele II la possibilità di presentarsi presso i governi, ora alleati, per presentare la "questione italiana".

La pace si concluse nel 1855, con il trattato di Parigi. Il primo ministro piemontese, Camillo Benso, conte di Cavour, riuscì a porre la condizione che il Congresso di pace riservasse una seduta ai problemi dell'Italia e, precisamente, sollecitò la rapida soluzione del problema dell'oppressione di governi stranieri nel suolo italiano. Nello stesso momento i rapporti diplomatici tra Vienna e Torino si interruppero formalmente. Lo scenario internazionale, intanto, si fece sempre più favorevole al Piemonte e incominciarono a intensificarsi i rapporti con il Regno di Sardegna e l'Impero Francese, cosa necessaria per potersi coprire le spalle in caso di guerra contro l'Austria e per avere il supporto dell'esercito di Napoleone III, considerato, a ragione, il migliore d'Europa.

La guerra, per Cavour, doveva portare al recupero dei territori persi durante il precedente conflitto con l'Austria e l'acquisto della Lombardia e del Veneto, per la creazione di un Regno d'Italia nel nord. Mentre per Napoleone III, la formazione di uno Stato d'Italia settentrionale, alleato con la Francia e in contrapposizione al nemico di sempre austriaco, era solo favorevole per la politica francese. Inoltre, nella società francese l'esercito aveva assunto un importanza enorme e un'avventura militare era vista molto favorevolmente nelle gerarchie militari. Fu così che, essendo entrambi interessati, si creò un accordo segreto franco- piemontese, secondo il quale il Piemonte, in cambio del supporto militare francese (che sarebbe avvenuto solo in caso di attacco dell'Austria), avrebbe ceduto alla Francia Nizza e la Savoia. Inoltre Parigi non si sarebbe opposta alla creazione del Regno d'Italia del nord, ma avrebbe avuto mano libera nel centro e nel sud della penisola. Una volta preso questo accordo non restava che trovare un pretesto per provocare l'Austria e spingerla a dichiarare guerra al Regno di Sardegna, cosa che maturava rapidamente grazie all'abile politica di Cavour e all'ottusa diplomazia austriaca che metteva in cattiva luce sempre più spesso il governo di Vienna di fronte all'opinione pubblica europea, sempre più favorevole alla causa italiana, in particolare da parte della Francia e dell'Inghilterra.

Anche Vittorio Emanuele II era favorevole alla guerra e in un discorso tenuto al Parlamento di Torino dichiarò:

«Il nostro Paese, piccolo per territorio, acquistò credito nei Consigli d'Europa perché grande per le idee che rappresenta, per le simpatie che esso ispira. Questa condizione non è scevra di pericoli, giacché, nel mentre rispettiamo i trattati, non siamo insensibili al grido di dolore che da tante parti d'Italia si leva verso di noi!»

Il discorso fu preso immediatamente come un chiaro annuncio di guerra imminente, e subito migliaia di volontari provenienti da la maggior parte delle regioni d'Italia si arruolarono nell'esercito sardo per prepararsi allo scontro per la liberazione dell'Italia. Lo stesso giorno una brigata austriaca arrivò a Milano come segno di resistenza da parte degli austriaci e contemporaneamente l'Austria chiese il congedo dei volontari arruolati. Torino rifiutò e come provocazione incominciò a concentrare le truppe lungo il Ticino, linea di confine dei due stati. Così preoccupata per il riarmo sabaudo, l'Austria nell'Aprile del 1859 trasmise un ultimatum al Piemonte, con il quale si intimava al Regno di Sardegna, in massimo tre giorni, la smobilitazione dell'esercito e il congedo dei volontari, pena la guerra. Però questo ultimatum era partito il giorno stesso in cui Cavour dovette accettare il disarmo, sotto la pressione delle diplomatica inglese, per poter partecipare al Congresso di pace europeo, ma il conte austriaco nonostante fosse stato informato dal capo delle diplomazia francese, non ritirò l'ultimatum. Questo apparve a tutti come un gesto di arroganza e prepotenza di un grande Impero contro un piccolo stato. Non c'era più nulla da fare, la diplomazia aveva fallito e si passava alle armi.

Il campo di battaglia

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Il territorio dove ci fu la battaglia è costituita da un grande rettangolo di terreno; a sud ovest vi sono gli ultimi speroni degli appennini e le zone collinose che diminuivano verso la pianura, su questi colli si posizionavano alcuni centri abitati come Casteggio, Genestrello e Montebello. A ovest vi era la delimitazione della Staffora, un corso d'acqua che passava per Voghera e Oriolo. A nord si distendeva una grande pianura, dove la campagna coltivata a frumento e vigneti, era spesso interrotta da piccoli corsi d'acqua e canali d'irrigazione, i quali ritardavano le marce dei fanti e rendevano difficile il passaggio della cavalleria e dell'artiglieria. In questa grande area si snoda la strada principale che collega Pavia a Voghera, che ripercorre il tracciato della Via Emilia. Un poco più a nord di questa strada vi era la nuova linea ferroviaria che costeggiava la strada quasi costantemente, un dato molto importante per la strategia franco- piemontese. In questo tipo di territorio, quindi, per la maggior parte pianeggiante, i migliori punti strategici erano i centri abitati sopraelevati nelle colline, e maggiormente Casteggio e Montebello, quest'ultimo ottimo punto di osservazione per la protezione che offrivano le mura di pietra ai soldati che vi presenziavano.

L'arrivo degli austriaci

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La battaglia fu preannunciata già nei giorni precedenti, quando numerose pattuglie di ussari del Reggimento Haller si erano spinte verso Montebello in avanscoperta per guardare il terreno dell'imminente battaglia. Questi finirono invece contro gli avamposti piemontesi e furono respinti verso Casteggio, da dove dovettero ritirarsi a causa della sollevazione della popolazione, aiutata da uno squadrone dei Novara, che uccise alcuni dei loro, tra cui un ufficiale.

L'inizio della battaglia venne fissato per il 20 maggio, giorno in cui l'armata austriaca avrebbe mosso in avanti, suddiviso nelle tre colonne di marcia, in direzione sud- ovest. Le tre colonne austriache erano divise in questo modo:

  • La colonna centrale era formata da due brigate della prima divisione del V corpo austriaco, la brigata Gaal e la brigata Bils. La prima si sarebbe mossa in direzione di Casteggio lungo una strada alberata, la seconda avrebbe seguito un altra strada parallela un poco più a est.
  • La colonna di sinistra era composta dalle brigate Schaffgotsche e Braum della seconda divisione del V corpo austriaco. Le due brigate dovevano muoversi percorrendo la Via Emilia.
  • La colonna di destra era formata dalle brigate Prinz von Hessen e Bils, unita a tre squadroni di ulani del reggimento Re delle Due Sicilie, che si doveva muovere più a nord parallelamente alla colonna di sinistra, per prevenire eventuali contrasti dei francesi, che si pensavano in posizione più arretrata vicino Alessandria.

Nella prime ore della data stabilita, le unità austriache erano pronte a muovere, e si diressero prima nell'abitato di San Giulietta, quindi mossero ancora in avanti verso Casteggio, secondo i piani stipulati.

L'inizio della battaglia

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Quando le vedette piemontesi, dalle alture di Casteggio, iniziarono a vedere le colonne austriache erano circa le 11.30 del mattino. Fu dato così l'allarme nel momento in cui gli ussari finivano contro gli avamposti dei cavalleggeri piemontesi del primo squadrone di Novara. Questi si ritirarono nel paese e, aiutati dai volontari armati, organizzarono la difesa del paese proteggendosi con le case e dietro alcune barriere poste ad ostruire la strada principale. Inizialmente la difesa ebbe successo, anche perché gli austriaci non si aspettavano una reazione così decisa. Ma la pressione nemica era molto grande, ed ogni momento aumentava per l'arrivo continuo dei nuovi reparti, così a seguito della distruzione delle barricate a causa dei colpi di cannone, lo squadrone dovette battere in ritirata contrastando il nemico a colpi di carabina. Nel frattempo era giunto anche il terzo squadrone di Novara. I due squadroni decisero di alzare una nuova linea difensiva lungo il torrente Coppa, ma essendosi avvicinati troppo i cannoni nemici, anche questa linea fu presto abbandonata. Gli austriaci vedendo questa seconda ritirata iniziarono a prendere coraggio e cercarono di caricare i cavalleggeri, che tuttavia reagirono con i loro moschettoni. Seguì un furioso combattimento in cui gli squadroni di Novara effettuavano cariche di contenimento solo per ritardare l'avanzata nemica. All'una, circa due ore dopo l'inizio della battaglia, i piemontesi si ritirarono.

L'occupazione di Montebello

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A seguito la brigata Schaffgotsche, superò Casteggio e proseguì lungo la strada principale, anche se sempre disturbati dai cavalleggeri sardi, fino ad arrivare a Montebello e occuparla; la brigata si posiziono in posizione di ventaglio tra il paese e Genestrello. Dietro, la brigata Braum rimase in posizione arretrata a Casteggio. L'avanzata degli austriaci però si era fatta progressivamente più difficile e lenta, sotto gli attacchi degli squadroni piemontesi, infatti tra le colonne incominciò a mancare sempre più coesione e si sgranavano lungo la strada, lasciando grossi varchi tra un'unità e l'altra, da cui attaccavano i cavalleggeri sardi. Già in questa fase della battaglia le due brigate apparivano disperse lungo un fronte troppo ampio da essere difeso.

La colonna centrale intanto che all'inizio dell'operazione era discesa su Casteggio con la brigata Gaal e la brigata Bils si muoveva in maniera molto lenta. La seconda delle due brigate, in particolar modo, era rimasta notevolmente indietro. All'inizio del pomeriggio la brigata Gaal era sparsa poco a nord di Casteggio, mentre la brigata Bils era ancora più arretrata a Robecco. Nel frattempo la brigata Boer era rimasta in copertura per proteggere una possibile ritirata.

Anche a nord i cavalleggeri sabaudi avevano impegnato notevolmente la colonna di destra, che procedeva in maniera molto lenta in direzione di Voghera senza mai raggiungerla, e si fermarono invece lungo un piccolo corso d'acqua poco distante dal paese. La manovra di queste brigate era sempre disturbata dai cavalleggeri piemontesi che li costrinsero a disporsi in maniera sparsa lungo la direttrice di marcia. Lo scontro durante la mattinata anche a nord era di tipo disorganico, con gli austriaci che procedevano lentamente cercando di ricompattarsi ad ogni attacco della cavalleria sabauda, che cercava di sfruttare ogni varco formatosi nella marcia per caricare le linee nemiche.

L'obbiettivo dei cavalleggeri infine su tutto il fronte fu raggiunto con numerose perdite: rallentarono molto l'avanzata austriaca, guadagnando tempo prezioso per permettere alle truppe francesi di organizzarsi e intervenire nella battaglia con la divisione appostata a Voghera. Inoltre al momento culminante della battaglia, la colonna di destra posta a nord, era ormai fuori dalla zona principale dello scontro, che si sarebbe sviluppata tra Genestrello e Montebello.

L'avanzata francese

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A Voghera, dunque, risiedeva la divisione comandata dal generale Élie Frédéric Forey, parte del primo Corpo d'armata francese. Egli, già avvisato verso mezzogiorno dell'avvistamento delle truppe austriache, intuì che se le avanguardie austriache erano così vicine a Voghera, esse facevano parte della punta avanzata di una forza nemica molto consistente. Anche se non conosceva la situazione e quanti nemici avrebbe incontrato, il generale ordinò immediatamente alla sua divisione di muoversi in assetto di battaglia con i cannoni, in direzione di Montebello, contando sul fatto che le truppe imperiali fossero stanche per la giornata di marcia e gli attacchi continui dei cavalleggeri piemontesi. Si diresse, alla testa di un distaccamento, verso gli avamposti al corso d'acqua di Fossagazzo, riunendo il maggior numero di truppe che trovava per la strada.

Il comandante della cavalleria piemontese, saputo che i francesi si stavano muovendo, raggruppò nel frattempo gli squadroni del reggimento di Novara a nord di Genestrello per guadagnare altro tempo. Così appena la colonna austriaca, preceduta dagli ussari Haller, sbucarono dal colle di Montebello proseguendo nell'avanzata lungo la Via Emilia, fu ordinata la carica sul nemico che offriva il fianco scoperto. Questa respinse gli ussari dell'avanguardia, ma i fanti che li seguirono ebbero il tempo di organizzarsi e resistettero alla furia dei cavalleggeri, i quali, passato l'impeto iniziale, furono costretti a ritirarsi per riordinarsi. Le colonne austriache così si rimisero in marcia e ancora una volta due mezzi squadroni di Monferrato arginarono l'avanzata attaccando da est. Dopo questi attacchi, i cavalleggeri, provati dalla difficile lotta, si ritirarono dietro il Fossagazzo, aiutati da un ultima carica di una trentina di cavalieri. Proprio in quel momento il primo battaglione francese si poteva vedere sulla Via Emilia e questo fu attaccato da due battaglioni austriaci. Nonostante l'inferiorità numerica, quel battaglione sostenne l'attacco imperiale grazie al valore del suo comandante e al soccorso che gli fu portato dai cavalleggeri piemontesi. Infatti quest'ultimi caricarono uno squadrone di ussari e dopo averli messi in funga attraversarono il Fossagazzo per caricare la fanteria nemica sull'altra sponda. Conclusa quest'azione i fanti francesi attraversarono il canale e insieme ai due mezzi squadroni di Monferrato crearono una linea difensiva.

Nel frattempo il comandante imperiale aveva dato l'ordine di fermare l'avanzata, rinunciando a raggiungere Voghera, essendo necessaria una sosta per riordinare le unità. Egli pensava che le truppe francesi erano ancora lontane e non si curò della dispersione delle sue forze. Al contrario le truppe alleate, benché inferiori di numero, si stavano raccogliendo rapidamente sulla Via Emilia ai piedi della collina di Genestrello, acquisendo una superiorità numerica locale, che il generale Forey sfruttò attaccando immediatamente il paese. Così poco dopo le 14.00, senza attendere il grosso della sua divisione iniziò l'attacco: i battaglioni francesi si disposero in dense colonne di attacco e iniziarono a risalire il colle. Ma le cose non andarono come sperato, infatti in supporto dei difensori era giunto un altro battaglione che si era accorto dell'attacco francese, e che li attaccò sul fianco costringendoli alla ritirata. In quel momento la posizione dei francesi era molto difficile, la loro artiglieria era posizionata più in basso di quella austriaca e non poteva essere usata, inoltre erano racchiusi sulla Via Emilia in mezzo alle truppe imperiali schierate sulla ferrovia e quelle che si trovavano sul colle di Genestrello. Gli austriaci avrebbero avuto l'occasione di contrattaccare i francesi, facendoli ritirare facilmente a Voghera. Ma essendo così estesi nel fronte e la grossa confusione che c'era tra le colonne impedirono di ricevere i rinforzi e così l'occasione sfumò e tornò a favore degli alleati. In oltre in favore di quest'ultimi c'era anche l'opportunità di far giungere nuove truppe velocemente con l'utilizzo della ferrovia. Così in breve tempo il generale francese si ritrovò con quattordici battaglioni riposati pronti alla conquista del paese.

Forey predispose questa volta l'attacco con maggiore preparazione: furono trasportati a mano i cannoni sopra una collina dal quale incominciarono a colpire con molta precisione - grazie alla tecnologia dei nuovi cannoni rigati - le posizioni nemiche. Il generale si pose alla testa della brigata e ordinò di avanzare su Genestrello. Questa volta gli austriaci non riuscirono ad arrestare i francesi e, dopo una piccola resistenza, cedettero ritirandosi su Montebello. Inoltre un battaglione di granatieri imperiali, inviato in ritardo in supporto, fu caricato dai cavalleggeri di Novara e arrivò troppo tardi al paese. Genestrello fu conquistata, e il generale pensò di non dare tregua alle armate imperiali continuando immediatamente l'avanzata.

L'attacco decisivo a Montebello

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A questo punto il numero superiore degli austriaci fu un vantaggio annullato per la maggiore coesione e mobilità delle truppe francesi. Sul lato destro le truppe imperiali erano avanzate leggermente ma furono costrette a fermarsi dalla reazione delle forze alleate della brigata Blanchard e dei cavalleggeri piemontesi. Le colonne austriache a nord continuavano a essere attaccate dalle incursioni dei cavalleggeri sardi ed erano tanto disperse da non poter dare appoggio alla colonna di sinistra, unica che era riuscita ad arrivare agli obbiettivi prestabiliti ma che ora si trovava sotto assedio dei francesi a Montebello. A fronteggiare l'avanzata francese erano rimasti i reparti già provati dalla precedente battaglia della brigata Schaffgotsche e le unità delle brigate Graal. Essi si erano disposti su linee difensive in sequenza, mentre la riserva era posta più a est del paese. Inoltre tra le colline di Montebello e di Casteggio si trovava la riserva imperiale, mentre il grosso della brigata Braum si trovava ancora a Casteggio e non fu impiegata nella battaglia. Tutte le altre unità erano troppo distanzi dal luogo del conflitto.

Forey si trovava in un ottima posizione e così incaricò dell'attacco al generale Beuret, il quale ordinò i suoi uomini su tre colonne d'attacco:

  • La colonna di destra era composta dal 17° reggimento Chasseurs e da due battaglioni del 74° de ligne e avrebbe attaccato da sud- ovest.
  • La colonna centrale era costituita da un battaglione dell'84° reggimento e dal terzo battaglione del 74° di linea e avrebbe marciato al margine occidentale di Montebello
  • La colonna di sinistra era formata dai due rimanenti battaglioni dell'84° reggimento de ligne e avrebbe attaccato dalla Via Emilia per cercare di entrare dal lato nord della cittadina.

Alle 16.30 circa Forey ordinò l'attacco, ma, tuttavia, non ebbe il successo sperato poiché l'artiglieria rigata fu mossa in ritardo in posizione a causa delle cattive condizioni del terreno e non era riuscita a dare un adeguato appoggio alle truppe. Così i francesi si ritirarono per riorganizzarsi, mentre l'esercito austriaco ne approfittò per barricarsi nelle case del paese, nella chiesa e nel cimitero. Circa mezz'ora dopo l'artiglieria rigata era in posizione e tutto era pronto per un nuovo assalto. I francesi incominciarono a risalire la collina respingendo le truppe imperiali all'interno del paese. La resistenza era forte e concentrata, specialmente nel lato sud- occidentale del paese, ma dopo un lotta molto accanita, gli austriaci furono costretti a iniziare a ritirarsi a nord di Montebello. Ma anche da quel lato la colonna di sinistra alleata incominciò ad avere la meglio sulle truppe nemiche fino a restringere la resistenza solo al perimetro del cimitero, che dopo un combattimento corpo a corpo, fu conquistato catturando centinaia di prigionieri tra cui molti ufficiali. Nella battaglia perse la vita il generale Beuret, molto amato dai suoi soldati. Questo fece diventare la battaglia molto più feroce e si incominciò a non fare più prigionieri. Le truppe austriache incominciarono a scappare, sotto i colpi delle artiglierie francesi. La battaglia si stava volgendo al termine.

Essendo le altre colonne austriache troppo lontane dal campo di battaglia, fu dato l'ordine di ritirarsi, con la convinzione di essere attaccati da forze nettamente superiori alle loro e ritenendosi soddisfatti di aver resistito per tutta la giornata alle offensive dei franco- piemontesi. Montebello era conquistata, e le forze alleate si resero conto solo a posteriori di aver combattuto in gravi condizioni di inferiorità numerica, e questo portò un grande orgoglio nel aver battuto un nemico molto superiore di numero, così Forey consigliò di non inseguire le truppe in ritirata e di non avanzare oltre il paese appena conquistato.

La fine dello scontro

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La battaglia durò nove ore e gli austriaci, protetti dalle unità della colonna a nord e della brigata Braum ferma a Casteggio, si ritirarono in ordine, senza essere disturbati dagli alleati vittoriosi. Infatti la cavalleria piemontese era troppo provata per le continue cariche mattutine e per le numerose perdite ed era inutilizzabile. Mentre i fanti francesi, che avevano sopportato il maggior carico della battaglia, affrontando il grosso delle formazioni nemiche, avevano sofferto molte perdite, comprese tra gli ufficiali. Quindi essendo stanche le truppe, la nuova coscienza dell'inferiorità numerica e la mancanza di una cavalleria fresca da lanciare all'inseguiento del nemico furono i motivi principali che convinsero le truppe franco- piemontesi a fermare l'avanzata. Così gli austriaci superato Casteggio si diressero oltre il Po verso Pavia, nelle basi da dove erano partiti. Allo stesso modo i francesi si ritirarono verso Voghera, dopo aver lasciato acceso a Montebello i fuochi dell'accampamento per ingannare i nemici.

Paradossalmente nessuna delle due fazioni aveva compreso la reale consistenza numerica dell'avversario: i franco- piemontesi sapevano di essere in inferiorità numerica ma non pensavano che erano quasi un terzo del nemico. Allo stesso modo gli austriaci credevano di aver combattuto contro l'intero corpo d'armata di Baraguay d'Hilliers e non solo di una delle sue divisioni. In ogni caso la battaglia era costata molto ad entrambe le parti[4].

Ordini di battaglia

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Alleati Franco- Piemontesi

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Armée d'Italie

I° Corpo d'Armata francese- Prima Divisione

Comandante in capo: gen. di divisione Elie Frédéric Forey

Brigata Beuret

  • 17° Chasseurs (1 battaglione)
  • 74° de linge (3 battaglioni)
  • 84° de linge (3 battaglioni)

(totale: 3.417 fanti)

Brigata Blanchard

  • 91° de linge (3 battaglioni)
  • 93° de linge (1 battaglioni)
  • 98° de linge (3 battaglioni)

(totale: 3.516 fanti)

Brigata di Cavalleria piemontese

  • Cavalleggeri di Novara (3 squadroni) 300
  • Cavalleggeri di Aosta (4 squadroni) 350
  • Cavalleggeri di Monferrato (2 mezzi squadroni) 100

(totale: 750 cavalieri)

Artiglieria da campo della riserva di divisione (due batterie)

  • 1 batteria dell'8° reggimento di artiglieria
  • 1 batteria del 10° reggimento di artiglieria

(totale: 12 pezzi da 4 lb mod. "La Hitte")

  • 1 squadrone e mezzo del 1° reggimento Chasseurs d'Afrique 150 cavalieri

Imperiale e Regio Esercito

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V Corpo d'Armata

Comandante: FML conte Franz Stadion

Capo di Stato Maggiore: col. Ringelsheim

Colonna di sinistra

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Brigata Schaffgotsche (generale maggiore: conte Schaffgotsche)

(5 battaglioni, 2 squadroni, 8 pezzi di artiglieria)

  • 3° battaglioni Jager (841)
  • 2 compagnie del 1° battaglione, 4° Szluiner Grenz Regiment (404)
  • battaglione granatieri del 49° IR Hess (844)
  • 3° battaglione 39° IR Don Miguel (1.200)
  • 3° battaglione del 59° IR E.H. Rainer[5] (866)
  • 2 squadroni del 12° reggimento Ussari Haller (225)
  • mezza batteria a piedi da campagnia da 12 lb della riserva divisionale (3 cannoni e 1 obice)
  • mezza batteria di "racchette" (4 lanciatori)

(totale: 4.155 fanti e 225 cavalieri)

Brigata Braum (generale maggiore: Braum)

(3 battaglioni, 8 pezzi di artiglieria)

  • battaglione granatieri del 40° IR Rossbach (786)
  • 2° battaglione del 40° IR Rossbach (1.088)
  • 3° battaglione del 40° IR Rossbach (740)
  • 1 batteria di artiglieria da 6 lb (6 cannoni, 2 obici)

(totale: 2.614 fanti)

Colonna di centro

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I Divisione (FML Barone Paumgartten)

(9.769 fanti, 227 cavalieri, 20 pezzi di artiglieria)

Brigata Gaal (generale maggiore Gaal)

(6 battaglioni, 2 squadroni, 12 pezzi di artiglieria)

  • 1° battaglione del 1° Liccaner Grenz Regiment (1.250)
  • battaglione granatieri del 3° IR E.H. Karl- Ludwig[5] (770)
  • 2° battaglione del 49° IR Hess (840)
  • 1° battaglione del 3° IR E.H. Karl- Ludwig[5] (780)
  • 2° battaglione del 3° IR E.H. Karl- Ludwig[5] (1.160)
  • 3° battaglione del 3° IR E.H. Karl- Ludwig[5] (1.094)
  • 2 squadroni del 12° reggimento Ussari Haller (227)
  • mezza batteria a piedi da campagna da 12 lb della riserva divisionale (3 cannoni, 1 obice)
  • 1 batteria di artiglieria a piedi da 6 lb (6 cannoni, 2 obici)

(totale: 5.894 fanti, 227 cavalieri)

Brigata Bils (generale maggiore Bils)

(4 battaglioni, 8 pezzi di artiglieria)

  • 2° battaglione del 3° Oguliner Grenz Regiment (1.250)
  • 1° battaglione del 47° IR Kinsky (950)
  • 2° battaglione del 47° IR Kinsky (1.032)
  • 3° battaglione del 47° IR Kinsky (688)
  • 1 batteria di artiglieria a piedi da 6 lb (6 cannoni, 2 obici)

(totale: 3.875 fanti)

Colonna di destra

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I Divisione (FML Barone Paumgartten)

(5.184 fanti, 487 cavalieri, 12 pezzi di artiglieria)

Brigata Prinz von Hessen (generale maggiore: Prinz von Hessen)

(6 battaglioni, 3 squadroni, 12 pezzi di artiglieria)

  • 4° battaglione del reggimento Kaiser Jager (711)
  • battaglione granatieri del 31° IR Ungherese Culoz (776)
  • 1° battaglione del 31° IR Ungherese Culoz (1.004)
  • 2° battaglione del 31° IR Ungherese Culoz (1.003)
  • 3° battaglione del 31° IR Ungherese Culoz (984)
  • 1° battaglione del 61° IR Ungherese Zobel (670)
  • 3 squadroni del 12° reggimento Ulani Koenig beider Sicilien[6] (487)
  • mezza batteria a piedi da campagna da 12 lb della riserva di divisione (3 cannoni, 1 obice)
  • 1 batteria di artiglieria da 6 lb (6 cannoni, 2 obici))

(totale: 5.148 fanti, 487 cavalieri)

(2 battaglioni, 2 squadroni, 20 pezzi di artiglieria)

  • battaglione granatieri del 47° IR Kinsky (847)
  • battaglione granatieri del 39° IR Don Miguel (950)
  • 2 squadroni del 12° reggimento Ussari Haller (225)
  • mezza batteria a piedi da campagna da 12 lb (3 cannoni, 1 obice)
  • 1 batteria di artiglieria a piedi da 6 lb (6 cannoni, 2 obici)
  • 1 batteria di racchette (8 lanciatori)
  • 2 equipaggi da ponte
  • 1 compagnia di sanità

(totale: 1.797 fanti, 225 cavalieri)

  1. ^ Fonte: Piero Pieri, Storia militare del Risorgimento, p. 596.
  2. ^ Non tutte le forze sono state utilizzate effettivamente nella battaglia: quelli che hanno partecipato sono stati 18 battaglioni, 3 squadroni e 2 batterie, dunque 18.708 fanti, 600 cavalieri e 16 cannoni
  3. ^ Per gli Italiani è conosciuta come Seconda guerra di indipendenza italiana, per i francesi fu la Guerre d'Italie, mentre per gli austiaci la Der Krieg in Italien.
  4. ^ Vedi scheda della battaglia
  5. ^ a b c d e E.H.= Arciduca
  6. ^ Re delle Due Sicilie

Fiorentin F., Montebello, 20 maggio 1859, Milano, Ritter, 2011.

Piero Pieri, Storia militare del Risorgimento, Torino, Einaudi, 1962.

Giuseppe Massari, Rassegna Politica in Rivista Contemporanea, Volume 17, p. 271- 272.

Marziano Brignoli, Montebello: 20 maggio 1859 in Le grandi battaglie della storia, Volume 3.

Eva Coti Zelati, Contributo Cremasco alla prima vittoria della Guerra D’Indipendenza in Insula Fulcheria, numero 41, p.34- 49.