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António de Oliveira Salazar

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António Salazar nel 1968 circa

António de Oliveira Salazar (1889 – 1970), politico ed economista portoghese, dittatore del Portogallo dal 1932 al 1968.

Citazioni di Salazar

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  • La nostra Dittatura si avvicina, evidentemente, alla Dittatura fascista nel rafforzamento dell'autorità, nella guerra dichiarata a certi principi della democrazia, nel suo carattere accentuatamente nazionalista, nelle sue preoccupazioni di ordine sociale. Se ne discosta, però, nei suoi metodi di rinnovamento. La Dittatura fascista tende ad un cesarismo pagano, ad uno Stato nuovo che non conosce limitazioni di natura giuridica nè morale, che marcia alle sue méte, senza trovare ingombri nè ostacoli. Mussolini [...] è un meraviglioso opportunista dell'azione.[1]
  • Non dimentichiamo che Mussolini è un Italiano discendente dai Condottieri del Medioevo, e non dimentichiamo, parimenti, le sue origini, la sua formazione socialista, quasi comunista.[1]
  • Non pongo in dubbio l'azione moralizzatrice di Mussolini. Dico che certe affermazioni e certi atteggiamenti nell'ordine morale sono imposti da Mussolini al Fascismo, non sono imposti dal Fascismo a Mussolini. Egli vuole così, e potrebbe volere tutto l'opposto senza contraddirsi. Invece, i limiti entro i quali noi pretendiamo di agire, sono imposti dai principi fondamentali dello Stato Nuovo portoghese alla nostra azione, all'azione degli uomini di governo. Le nostre leggi sono meno severe, i nostri costumi meno rigorosamente vigilati, ma lo Stato, esso, è meno assoluto, e non lo proclamiamo onnipotente.[1]
  • [Su Adolf Hitler] L'Europa deve a lui il grande servigio di aver fatto retrocedere, con una energia sorprendente e dei muscoli di ferro, le frontiere del comunismo. Temo soltanto ch'egli non vada troppo lungi, nel campo economico e sociale.[2]
  • [Sulla Guerra d'indipendenza dell'Angola] L'invito del Consiglio di Sicurezza ad arrestare quelle che vengono definite misure di soppressione nell'Angola è semplicemente teatrale, anzi, si può dire che offende i diritti di uno Stato sovrano.[3]
  • Attraverso la Nato gli Stati Uniti appoggiano chiaramente l'Europa occidentale contro i pericoli del comunismo, ma in Africa il governo di Washington persegue una politica identica a quella dell'Unione Sovietica. Tale politica è incompatibile con gli obblighi assunti dagli americani in base al trattato nord-atlantico. Essa inoltre indebolisce la resistenza dell'Europa che si trova ad essere privata di qualsiasi base umana, strategica ed economica, per la sua difesa e quella dell'Africa.[3]
  • Noi riteniamo di avere il diritto di sapere se la nostra presenza e la nostra collaborazione sono già inutili alle Nazioni Unite. Anche se non lo sono posso dire che non so se saremo il primo paese ad abbandonare le Nazioni Unite, ma certamente saremo fra i primi.[4]
  • Il Portogallo si rifiuta di riconoscere la conquista di Goa come un fatto compiuto.[4]
  • L'India può farci la guerra senza provocazione, ma senza di noi non può fare la pace. Non vi è stata una dichiarazione di guerra ma soltanto una situazione "de facto". Certamente il fatto che Goa dopo essere stata per 450 anni portoghese sia ora occupata dalla nazione indiana costituisce uno dei più gravi disastri della nostra storia.[4]
  • Lasciare Goa ad un piccolo paese, ch'era stato l'artigiano delle grandi scoperte geografiche al prezzo di sacrifici immensi, doveva essere un punto d'onore per ogni nazione civile... L'occupazione indiana rappresenta uno dei peggiori disastri della nostra storia.[5]
  • Aprendo il giornale del mattino, ci si può chiedere se esista ancora un posto sulla terra che non sia preda di cospirazioni, rivoluzioni, conflitti sociali, assassini politici.[6]
  • I Paesi felici non hanno storia.[7]
  • Nulla ci obbliga a credere che l'origine del potere sia nelle masse, che i governi debbano essere opera della moltitudine e non d'una élite.[7]

Dal discorso del 23 novembre 1932

Antonio Ferro, Salazar - Il Portogallo e il suo capo, traduzione di Corrado Zoli, Sindacato italiano arti grafiche, Roma, 1934

  • [Su Manuele II del Portogallo] Il Re deposto nel 1910 visse nel suo esilio di Londra una vita che direi, più che di Principe, di grande Portoghese. Soffrì, studiò, osservò molto. Vinse sè stesso e le possibili suggestioni di un dolore immeritato, portando agli estremi il suo amore del Portogallo; si istruì e fu accolto per meriti propri nell'alto mondo dell'intelligenza; accumolò nel suo spirito osservazioni ed insegnamenti tratti dalle cose e dai fatti, dai fatti che la sua posizione gli permetteva di vedere e son, molto volte, diversi da quelli che vediamo; noi praticò in sommo grado, e serviva a tutti d'esempio, le virtù domestiche e sociali. Ed ecco che, quand'ebbe finito di formarsi questo modello d'uomo, di Principe e di Portoghese, nel giungere al pieno vigore dell'età, dell'intelligenza, della coltura e delle energie morali, quando finalmente poteva considerarsi preparato ad esser Re, la morto lo porta via, senza discendenti nè successore.
  • Ho osservato quanto sia nociva allo sviluppo e alla purità della vita religiosa la interferenza della politica nella religione, la confusione degli interessi materiali cogli interessi spirituali dei popoli, della Chiesa con qualsivoglia organismo che, agendo nel terreno politico, possa esser preso come un partito, che aspiri o no al Governo.
  • La Dittatura sorse contro il disordine nazionale. Era uno degli esponenti di questo disordine il parlamentarismo e la vita sregolata dei partiti: la nostra prova democratica fu incontestabilmente lamentevole. La colpa era o del regime parlamentare o dei suoi servitori: quanto più assolveremo questi, tanto maggior colpa dovremo far risalire a quello; responsabilità ce ne sono, tuttavia, più che non occorrano per schiacciare tutti quelli che parteciparono al dramma.
  • In Portogallo, abbiamo molte volte sacrificato troppe cose ad un umanitarismo che disconosce la giustizia dovuta alla grande massa innocente, vittima costantemente immolata alle furie di coloro che quell'umanitarismo assolve. Noi possiamo perdonare le pene, ma non possiamo dimenticare le colpe, e saremmo dei criminali se da questo generoso atteggiamento non deducessimo la necessità di una più stretta vigilanza, di una più ferma sicurezza, di una repressione più severa, se fatti trascorsi dovessero ripetersi.
  • Noi abbiamo una dottrina e siamo una forza. Come forza, ci spetta di governare: teniamo il mandato da una Rivoluzione trionfante, senza opposizioni e colla consacrazione del Paese; come seguaci di una dottrina, ci tocca d'essere intransigenti nella difesa e nell'attuazione dei principi che la costituiscono. In tali condizioni, non ci sono accordi nè transizioni nè transazioni possibili. Coloro che consentono nel nostro programma fanno opera patriottica, dichiarando il proprio consenso e lavorando apertamente accanto a noi; coloro che non consentono, possono essere parimenti sinceri e degni, confessando il loro dissenso, sono anche liberi di proclamarlo, ma, quanto a svolgere un'attività politica effettiva, li tratteremo nel miglior modo possibile perché non ci disturbino troppo.
  • A tutti quelli che son dei nostri o desiderano esserlo, dobbiamo dire, chiaro e alto, in nome della Nazione da ricostruire, che dalle forze della Dittatura si esige disciplina, omogeneità, purezza di ideale.
    Non son con noi quelli che preferiscono all'obbedienza la loro libertà d'azione, nè quelli che sovrappongono alle direttive tracciate dall'alto le suggestioni della loro intelligenza, anche se illuminata, o gli impulsi, anche se nobili, della loro volontà. Non son con noi quelli che non sentono profondamente i principi essenziali della ricostruzione nazionale, quelli che restriongono la loro adesione ai criteri ne' quali consentono o che loro convengono, nè quelli che entrano e rimangono ancor fuori, ricevendo da più parti suggestioni e ordini. Non son con noi quelli che pensano di trarre dalla loro adesione un titolo di benemerenza, quelli che cercano di vataggio invece di un posto disinteressato di combattimento, quelli che non sentono in sè nè vocazione per servire la Patria nè disposizione a sacrificarsi per il bene comune.

Dalla prefazione di Salazar - Il Portogallo e il suo capo

Antonio Ferro, Salazar - Il Portogallo e il suo capo, traduzione di Corrado Zoli, Sindacato italiano arti grafiche, Roma, 1934

  • Le ultime decine d'anni della storia portoghese sono di decadenza profonda; questa colpì, si può dire, tutte le manifestazioni della vita nazionale - la produzione, la cultura, la pubblica amministrazione, la politica. Tuttavia, se si esaminino le cose più da vicino, si constata che questa depressione non fu conseguenza di una assoluta mancanza di uomini. Nelle arti, nelle scienze, nell'insegnamento, nel giornalismo, nell'industria e nell'agricoltura, nella colonizzazione, si affermarono o soltanto operarono, ignorati, alcuni valori di primo ordine.
  • Tutti che abbiamo, per l'intelligenza, per la voce del sangue o soltanto per l'istinto del cuore, la coscienza della nostra unità e indipendenza, della nostra passata grandezza, della nostra collaborazione all'opera civilizzatrice dell'Europa, dei nostri interessi presenti in Africa, in Asia, in Oceania, tutti sentiamo - ferita aperta nell'animal - il riso universale, la beffa di popoli in nulla a noi superiori, se non nella loro linea esteriore, a causa delle nostre agitazioni rivoluzionarie, della nostra incapacità di governarci, delle nostre irregolarità amministrative, della nostra impreparazione e del nostro discredito.
  • Io non dico, come molti, che la vita della città sia falsa; è quella che è, viva e reale nei suoi artifizi e nei suoi difetti; dico che è incompleta, specialmente se da essa si vuol giudicare della vita nazionale, e se si suppone esser vita della città la vita, nella città, di una classe. Quando si scende dalla Capitale alla provincia, dalla città al borgo, dal club, dalla redazione del giornale, dal salone delle feste alla campagna, alla fabbrica, all'officina, l'orizzonte delle realtà sociali si allarga ai nostri sguardi, e si ha un'impressione diversa di quel che è una Nazione.
  • L'origine militare della Dittatura portoghese deve dar sempre alla nostra rivoluzione un carattere speciale. Qui, non fu un partito, una forza rivoluzionaria che s'impossessò del potere; fu l'esercito, organo della Nazione, che intervenne, nel senso di creare le condizioni necessarie per l'esistenza di un governo contro i partiti e nazionale. La forza armata non costituisce un partito, non può difendere il «partitismo». Il suo intervento non può essere considerato da nessuno come l'intromissione abusiva di una forza in armi, di una minoranza audace, bene o male intenzionata, che vuol governare contro la maggioranza. In ciò è manifesta la nostra superiorità.
  • La tempesta rivoluzionaria che agita il mondo e minaccia le fondamenta dell'ordine sociale impone, come prima di tutte le necessità, quella di impadronirsi dei pubblici poteri: la conquista dello Stato e la difesa intransigente dell'ordine pubblico. Per chi ami la Patria e i principi fondamentali della nostra civiltà, questo è oggi il problema basilare.
  • L'opera educativa da compiersi, specialmente in quest'epoca di rinascenza nazionale, deve partire da un atto di fede nella Patria portoghese ed ispirarsi ad un sano nazionalismo. Bisogna amare e conoscere il Portogallo - nel suo passato di grandezza eroica, nel suo presente di possibilità materiali e morali, indovinarlo nel suo avvenire di progresso, di bellezza, di armonia. Soltanto si ama quel che si conosce, ma per conoscere è già necessario un principio di amore. Ripeto: bisogna amare e conoscere il Portogallo.
  • Sfiorando un po' il ridicolo (per uno straniero che non vive la vita dell'Italia d'oggi) giovani appena adolescenti imitano la ferma andatura, l'aggrottar di ciglia, l'espressione dura, lo sguardo altero, l'aria di sfida e di assoluta padronanza di sè con che Mussolini si impone alle masse italiane. A me non stupisce il fatto, essendo certo che le moltitudini hanno tendenza a copiare i tratti salienti dei propri idoli, a volte anche i loro più gravi difetti.
  • Soltanto noi avemmo un Vasco di Gama, un Giovanni di Castro, un Alfonso d'Albuquerque, i trionfi, le glorie sfolgoranti dell'India; dopo di noi, mercanti inglesi, incomparabilmente meno illustri, crearono per l'Inghilterra, senza accorgersene, un grande Impero. Soltanto noi avemmo un Re Giovanni I, l'«inclita generazione dei grandi Infanti», un Re Alfonzo V, per allargare il Portogallo oltre lo Stretto e conquistare l'Africa settentrionale; ma chi domina oggi e vende i propri prodotti nel Marocco sono Francia e Spagna. Soltanto noi avemmo un Pietro Alvarez Cabral, delle missioni gesuite, un Brasile; ma ancorchè questa sia la nostra più brillante corona di Paese colonizzatore e che la nostra colonia di Portoghesi vi sia la più numerosa, oggi i nostri connazionali sono laggiù soltanto dediti ai commerci e ai mestieri più umili, superati in molti Stati da Tedeschi e da Italiani. Soltanto noi insegnammo le rotte dei grandi oceani a tutti i popoli della terra, fummo nel commercio e nella pesca all'avanguardia di molti altri; e compriamo oggi il baccalà in Norvegia e imbarchiamo le nostre mercanzie su navi dell'Inghilterra e della piccola Olanda. A volerci afferrare alle idee dei tempi eroici, corriamo il rischio di apparire come degli oziosi in un mondo nuovo che non ci intende.
    Ecco perché una nuova direttiva dev'essere impressa alla Nazione e alla sua esistenza collettiva, profittando delle formidabili qualità di razza e neutralizzando alcuni dei suoi principali difetti. Una mentalità nuova darà risorgere il Portogallo.

Citazioni su Salazar

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  • Fino alla morte di Salazar, la cui arcaica mentalità non poteva ammettere che neppure concessioni fittizie fossero fatte agli africani, non c'era altra via che la radicalizzazione della guerra coloniale. Salazar, che ripeteva a chi voleva capirlo «L'Africa non esiste» (affermazione che esprime sì un razzismo demenziale, ma sintetizza anche alla perfezione i principi e la pratica della politica coloniale portoghese in tutti i tempi), alla sua età non poteva sopravvivere a questa prova dell'esistenza dell'Africa: la resistenza armata vittoriosa dei popoli africani alla guerra colonialista portoghese. (Amílcar Cabral)
  • Salazar non era che un fanatico credente del dogma della superiorità dell'europeo e dell'inferiorità dell'africano. Come tutti sanno, Salazar è morto malato d'Africa. (Amílcar Cabral)
  • Secondo me è un onore per gli italiani che Mussolini abbia fatto la fine che ha fatto ed è una vergogna per i portoghesi che Salazar sia morto nel suo letto. (Alexandros Panagulis)
  • Un uomo politico portoghese molto autoritario, ma poco incline a quella organizzazione ideologica della società che caratterizzò fascismo e nazismo. (Sergio Romano)
  • Antonio de Oliveira Salazar non volle considerarsi un dittatore; la parola gli era sgradita.
  • Chiuso nella sua dignità di capo incontrastato d'una società arcaica, Salazar argomentava sul terreno giuridico da professore anziano di Coimbra, sogliando antichi trattati.
  • Durante la guerra, Salazar cedeva le basi delle Azzorre agli alleati e in pari tempo esponeva sulla sua scrivania un ritratto di Mussolini. Ordinò lavori pubblici e curò l'escudo; nel dopoguerra aderì alla NATO, ma chiudendo il Paese all'aria dell'Ovest. Aveva adottato una politica devota al semplice pareggio contabile delle finanze. Era stato, per l'appunto, professore di diritto finanziario: conosceva la scienza delle finanze dei suoi tempi, non l'economia.
  • Per Salazar, professore cattolico e nazionalista figlio di un piccolo amministratore terriero, la miseria era castità.
  • Salazar non credeva nei piani d'investimento e nell'industria. Non sperava in un proletariato industriale, che avrebbe potuto essere comunista. Ma era questo un timore disceso da nozioni superate: ad onta delle profezie marxiste, il comunismo ha trionfato solo nel mondo pre-capitalistico e quasi feudale, dalla Russia alla Cina.
  • Gli anni della formazione (il seminario dei Gesuiti, dove prende gli ordini minori), le abitudini di vita (niente fumo, neinte alcool, pasti a base di uova), la misoginia. Erano questi gli elementi che influivano sulla sua visione del mondo, una visione apocalittica, paurosa, in cui tutto gli sembrava andare verso l'abisso, mentre nessuno, o quasi nessuno, credeva più alle cose in cui credeva lui: la missione civilizzatrice dell'Occidente in un universo barbaro, il Portogallo ultima diga contro l'ateismo e il comunismo, le élites, l'autorità.
  • «I Paesi felici», aveva detto un giorno Antonio Oliveira de Salazar, «non hanno storia». Salazar si riferiva al Portogallo, e certo esagerava perché è difficile, molto difficile, poter definire il Portogallo un Paese felice. Il trentacinque per cento della popolazione è analfabeta, il reddito annuale pro capite è di centoquarantacinquemila lire, forse il più basso d'Europa. Ma lì dove aveva ragione era quell'affermare che il Portogallo non ha avuto in questi decenni, e non ha ora, «storia». La sua storia è ferma a quel giorno del 1929 in cui i militari al potere, incapaci di venire a capo della crisi economica che minacciava il Paese, richiamarono a Lisbona il giovane professore dell'Università di Coimbra Oliveira Salazar.
  • Nessuno parla del «dopo Salazar». Non si parla neppure nei caffè del Chado e del Rossio, i luoghi di ritrovo della borghesia liberale, dove Salazar aveva sempre tollerato (limitandosi a infittire le reti dei confidenti della polizia, i «bufos») che si raccontassero le storielle contro il regime e si facesse qualche critica. Dopo aver detto per anni che il futuro del Portogallo, un futuro migliore del presente, era legato all'evento biologico della morte di Salazar, gli «avocados» e gli intellettuali sembrano spaventati che l'evento sia ormai così vicino.

Note

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  1. a b c Citato in Antonio Ferro, Salazar - Il Portogallo e il suo capo, traduzione di Corrado Zoli, Sindacato italiano arti grafiche, Roma, 1934, pp. 111-113
  2. Citato in Antonio Ferro, Salazar - Il Portogallo e il suo capo, traduzione di Corrado Zoli, Sindacato italiano arti grafiche, Roma, 1934, pp. 222-223
  3. a b Da Salazar respinge l'invito ad una tregua nell'Angola, La Stampa, 1 luglio 1961
  4. a b c Da Salazar minaccia di ritirarsi dall'Onu per il mancato intervento a difesa di Goa, La Stampa, 4 gennaio 1962
  5. Citato in Non bastano le ingiurie agli inglesi e all'Onu per salvare le minacciate colonie del Portogallo, La Stampa, 20 gennaio 1962
  6. Citato in Il silenzio di Salazar, La Stampa, 4 settembre 1966
  7. a b Da L'agonia di Salazar paralizza il Portogallo, La Stampa, 19 settembre 1968

Voci correlate

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Altri progetti

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