Pietro Pensa
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Pietro Pensa (1906 – 1996), ingegnere, storico, dirigente d'azienda e alpinista italiano.
Noi gente del Lario
[modifica]- Cerco, nell'esporre, di illustrare un folclore schietto. (p. 11)
- Mi diceva mio padre – e ne scrisse anche lo storico Orlandi – che percorrendo le terre del Lario poco dopo la prima guerra mondiale non era difficile rendersi conto che qualcosa di profondo si era rotto e che il mondo del passato stava per essere definitivamente sommerso. (p. 14)
- Nelle guide, della montagna si descrivevano gli itinerari, le preziosità della flora e della fauna, ci si soffermava sulle bellezze del paesaggio, ma si sorvolava sugli abitanti: si parlava dei personaggi famosi che vi ebbero natali, di fatti storici, di qualche vecchia leggenda, degli straordinari affreschi delle chiese, mai della dura misera vita della gente che vi stava. (p. 16)
- Io pure, quando vidi Bellano per la prima volta, col suo mercato, il bel porto, il battello, la stazione, le carrozzelle per il forestiero e le slitte per condurre i villeggianti sulle mulattiere, lo trovai più bello e ricco di Milano, dove pur trascorrevo i mesi della scuola. (p. 17)
- L'abitato superiore, con necropoli di incinerati che rivelano la presenza di guerrieri-pastori giustificata da necessità di difera della strada rivierasca che vi passava, era chiamato in dialetto Crées, nome celtico pure, indicante la presenza di abitazioni in pietra; quello inferiore, con sepolture più tarde di inumati era invece Piaàg, di probabile derivazione latina da plaga. Ebbene, la popolazione del primo villaggio era estroversa, allegra, malleabile, piuttosto variabile nelle opinioni e nei rapporti sociali, a costituzione familiare in cui l'uomo faceva sentire maggiormente la propria podestà; alla sera le vie del paese erano animate sino alla mezzanotte; al mattino, in compenso, gli uomini si levavano tardi e andavano al lavoro sulla montagna a giorno fatto; non era raro il caso che sue bisticciassero oggi, venendo anche alle mani, e che domani li si incontrasse a braccetto. Al contrario la gente di sotto era piuttosto taciturna, sensibilmente introversa. Se nasceva uno screzio tra famiglie, ne veniva un'avversione che durava talora per generazioni. La donna era più considerata che nell'altro villaggio e il marito le si rivolgeva con il "voi", anziché col "tu" come lassù. Al mattino – e io ho fra i ricordi della mia fanciullezza il battere a notte sul selciato sotto le mie finestre degli scarponi di chi passava – gli uomini andavano al lavoro prima che baluginasse l'alba; alla sera, viceversa, dopo le otto le vie del paese diventavano deserte. La parola data era sempre mantenuta e assai difficile era far mutar parere. [...] I diversi caratteri dei due paesi portarono, all'inizio di questo secolo, a comportamenti assai diversi di fronte alla depressione in atto. Mentre la gente di sotto emigrava piuttosto che contrarre un debito, quelli di sopra ipotecarono con facilità anche le terre, allorché accennò il ruttiamo e, buoni muratori quali erano, costruirono case d'affitto procurandosi denaro a prestito. Rimontarono la china mentre, di sotto, il paese, un tempo più fiorente per territorio ricco di campi e di boschi, si spopolava. (p. 496)
- Non vi era abitato, borgo villaggio o frazione di qualche importanza che fosse, a non esser contraddistinto con un epiteto dai propri vicini. Né si trattava di qualifiche benevole, anzi talora erano durissime: nate da secolare esperienza di rapporti, colpivano con cattiveria i difetti e le abitudini locali, ricambiate peraltro con altrettanto livore. (p. 498)
- Quando il popolo accoglie, mantiene e si fa sue certe storie, è errato respingerle, perché rispondono a un gusto e a una forma di cultura. (p. 499)
Bibliografia
[modifica]- Pietro Pensa, Noi gente del Lario, editore Cairoli, Como, 1981.
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