Võ Nguyên Giáp
Võ Nguyên Giáp (1911 – 2013), generale, politico e scrittore vietnamita.
Citazioni di Võ Nguyên Giáp
[modifica]Intervista di Jacques Decornoy, La Stampa, 8 dicembre 1966
- Vediamo i cinque punti di Westmoreland. Primo obiettivo: annientare le forze di liberazione. Ma le forze di liberazione non sono state annientate. Secondo obiettivo: attrarre la popolazione pensando che col dollare potevano riuscirvi. Ma il piano è fallito, politicamente e militarmente. Terzo obiettivo: rinforzare il potere e l'esercito di Saigon, ma ciò non è avvenuto. Quarto obiettivo: cercare con tutti i mezzi di isolare il Sud, per terra e per mare, ma non sanno che il Sud, coi suoi 14 milioni di abitanti, è sufficiente per rinforzare le schiere dell'esercito di liberazione. Col blocco, volevano costringere le forze del Sud a capitolare, ma il popolo del Sud è in piedi contro di loro. Ed è la forza principale. Quinto obiettivo: intensificare i bombardamenti al Nord per costringerlo a sedersi al tavolo della pace... Strano tavolo della pace a cui siamo invitati a colpi di bombe. Ma non abbiamo capitolato.
- Città come Hanoi e Haiphong possono essere distrutte: ci batteremo lo stesso. Ricostruiremo poi il nostro paese, e con la nostra risolutezza, col nostro morale, la nostra fede nella vittoria, gli americani non raggiungeranno mai il loro scopo: disorganizzare la nostra vita economica. Avete visto che la vita continua. C'è di nuovo, invece, che il contadino nei campi è anche preparato alla lotta contro il nemico.
- Il popolo vietnamita ha la sua potenza, il suo morale, un patriottismo altissimo e grandi capacità tattiche, e taluni possono pensare che, ciononostante, data la potenza tecnica americana, non si può credere in una vittoria del Vietnam. Invece vinceremo, politicamente e militarmente.
- Gli americani vivono nelle contraddizioni. Se vogliono conservare il terreno devono disperdersi. Se non vogliono disperdersi non possono conservare il terreno.
- Dal punto di vista tattico io credo, e certuni lo riconoscono anche al Pentagono, che le truppe americane, oltre a non sapere perché vengono qui, non hanno un ideale. E ciò influisce sul loro morale.
Dall'intervista di Oriana Fallaci
in Intervista con la storia, Rizzoli, Milano, 1974.
- Gli americani hanno commesso un errore gravissimo: scegliere come campo di battaglia il Vietnam del Sud. I reazionari di Saigon sono troppo deboli: questo lo sapevano anche Taylor, MacNamara, Westmoreland. Ciò che non sapevano è che, in tanta debolezza, non avrebbero saputo mettere a profitto l'aiuto americano. Perché qual era lo scopo dell'aggressione americana in Vietnam? Chiaro: una neocolonia basata su un governo fantoccio. Ma per fare una neocolonia ci vuole un governo stabile, e il governo di Saigon è un governo estremamente instabile. Non ha alcun effetto sulla popolazione, la gente non gli crede. Sicché in quale paradosso si trovano gli americani? Il paradosso di non potersi ritirare dal Vietnam del Sud anche se lo vogliono perché, per ritirarsi, devono lasciare una situazione politica stabile. Cioè alcuni servi che li sostituiscano bene. Servi sì, ma forti. Servi sì, ma seri. Il governo fantoccio di Saigon non è forte e non è serio: non vale nemmeno come servo, non sta in piedi neanche a puntellarlo coi carri armati. E allora gli americani come fanno ad andarsene? Eppure devono andarsene: non possono mica tenere 600.000 uomini in Vietnam per altri dieci, quindici anni!
- La Corea costò agli americani venti miliardi di dollari, il Vietnam è già costato oltre cento miliardi di dollari. La Corea gli costò più di 54.000 morti, il Vietnam ha già superato questa cifra...
- Gli americani [...] fanno la guerra con la strategia aritmetica. Interrogano i loro computer, fanno somme e sottrazioni, estraggono radici quadrate: e su quelle agiscono. Ma la strategia aritmetica non è valida qui: se lo fosse, ci avrebbero già sterminato.
- Quando tutto un popolo insorge, non c'è nulla da fare. E non c'è ricchezza al mondo che possa liquidarlo. Di qui la nostra strategia, la nostra tattica che gli americani non sanno comprendere.
- Nella guerra contro gli Stati Uniti ci vuole tempo, tempo... Gli americani vanno sconfitti col tempo, stancandoli. E per stancarli, noi bisogna continuare, durare... a lungo... Abbiamo sempre fatto così. Perché noi, sa, siamo un piccolo popolo. Siamo appena trenta milioni, la metà dell'Italia, ed eravamo appena un milione all'inizio dell'era cristiana: quando vennero i mongoli. Dopo aver conquistato l'Europa e l'Asia, i mongoli vennero qui. E noi, che eravamo appena un milione, li sconfiggemmo. Vennero qui tre volte, i mongoli, e tre volte li sconfiggemmo. Non avevamo mica i loro mezzi, eppure resistemmo e durammo e ripetemmo: bisogna che tutto il popolo si batta. Ciò che era valido nel 1200 è ancora valido nel ventesimo secolo. Il problema è lo stesso. Siamo buoni soldati perché siamo vietnamiti.
Intervista di Mixer, la Repubblica, 3 maggio 1991
- Da un punto di vista storico i mutamenti fondamentali di questo secolo sono stati segnati dalle guerre. La prima guerra mondiale, poi, nel 1917, la Rivoluzione Russa e la nascita dell'Unione Sovietica. La seconda guerra mondiale, con la vittoria degli alleati e la nascita dei Paesi socialisti. Parallelamente c'è stato un mutamento nell'ambito capitalista, che ha visto gli Stati Uniti diventare la prima potenza mondiale. Senza falsa modestia devo dire che il terzo avvenimento marcante è stata la guerra del Vietnam. La nostre vittorie hanno determinato il crollo dell'antico colonialismo e l'indebolimento del neo-colonialismo, con la conseguente apparizione di più di cento Stati indipendenti.
- [Su Ho Chi Minh] Lui ha influenzato molto il mio modo di pensare. Era principalmente un umanista e diceva «Il mio amore per il popolo è immenso e non cambierà mai!». Per lui il primo grande passo era ottenere l'indipendenza e l'unità nazionale; poi la liberazione sociale, in cui ogni uomo è padrone del suo destino e può migliorare le sue condizioni materiali e intellettuali. Io non ho mai visto nessun dirigente di partito percorrere tanti Paesi per cercare la verità, per trovare la via della liberazione. Ha vissuto in Francia, in Inghilterra, in America e così via, in ventisette Paesi, per vedere, lavorare, studiare il modo di ottenere e poi di mantenere l'unità nazionale. Ha potuto constatare che i reietti non esistono solo in India, o nei Paesi colonizzati, ma sono ovunque. Per questo, dopo aver liberato la nazione, è indispensabile costruire buoni rapporti con tutti gli altri paesi e contemporaneamente liberare la società, liberare l'uomo. Ci ha veramente insegnato ad amare gli altri come noi stessi.
- Nella vita ci sono valori preziosi che a volte, temporaneamente, si perdono qua e là, dei momenti in cui si rimette tutto in causa: rivoluzioni, grandezze e decadenze; ma finalmente l'uomo si ritrova e arriva a vedere che l'ideale è umano: fare in modo di avere una vita migliore in quanto parte di una nazione e della civiltà. Io sono ottimista e credo che questa vita migliore l'avremo, avremo la pace vera, la democrazia vera, una società in cui l'emancipazione dell' individuo sarà completa.
- Io non sono né cattolico né buddista, ma rispetto le credenze religiose e cerco di capire la psicologia del credente. La mia fede è sempre stata l'identità nazionale e il socialismo. E se abbiamo raggiunto l'unità nazionale è grazie a questa fede.
- Come si è formato questo spirito di identità nazionale così forte? Già all'inizio della nostra era abbiamo avuto talmente tante aggressioni esterne che hanno spinto i vietnamiti ad essere più solidali. Tutta la nostra storia è ricca di coesione nazionale e di lotte per l'indipendenza. La lotta è la nostra vita quotidiana: il Vietnam è un Paese in cui bisogna lottare anche contro i tifoni e gli allagamenti. In quanto storico, posso dire che non ho trovato popoli che si sono formati come nazione così presto come il popolo vietnamita, a parte alcuni casi della storia europea. In Italia avete avuto la coesione nazionale solamente con Cavour e Mazzini, in Germania c'è stata solo nel XIX secolo con l'apparizione del capitalismo. Da noi non è così, al tempo del feudo, il re riuniva i rappresentanti del popolo, per chiedere il loro punto di vista sull'aggressione. Nelle lotte difficili, quello che conta non sono le direttive politiche o la strategia, ma l'energia creatrice, e solo se si ha questo ardore si può battere qualsiasi nemico, perché è un popolo intero che si alza. Gli americani non capiscono ancora perché sono stati battuti. Non avevano capito la nostra fondamentale caratteristica: la coesione nazionale.
- Quando mi siedo al piano penso alle note, seguo il movimento delle mani, ascolto la musica che esce... e nella testa non ci sono più altri pensieri. La musica trasforma in poesia anche la vita più dura.
Intervista di Jaime Spitscovsky, La Stampa, 28 aprile 1995
- Adesso che la guerra fredda è finita, penso che sia venuto meno il rischio di conflitti di vaste proporzioni. Assistiamo ancora a guerre su scala minore. Ma quelle che intraprendevano le vecchie potenze coloniali sono cosa del passato. Dopo l'indipendenza, il Vietnam è stato costretto a opporsi al colonialismo vecchio stile nel conflitto con la Francia. Poi abbiamo subito l'aggressione neocolonialista nella guerra che l'America ha perso. Dopodiché in Vietnam le forze neocolonialiste non hanno più intrapreso operazioni di vaste proporzioni. Ad ogni modo, oggi assistiamo a un nuovo tipo di guerra fra le nazioni, quella economica, che sta diventando sempre più aspra.
- Guardando la storia dell'Onu vediamo che molte cose sono state fatte, ma i risultati complessivi sono ancora limitati. Le Nazioni Unite non sono state capaci di impedire conflitti etnici come quelli dell'Africa o della ex Jugoslavia.
- Io ho combattuto colonialismo e neocolonialismo, ma ora penso che dobbiamo stare all'erta di fronte a un nuovo tipo di dominazione, basata sul potere economico e tecnologico.
- L'Inghilterra ha impiegato trecento anni a svilupparsi. Gli Stati Uniti duecento. Il Giappone sessant'anni. I nuovi Paesi industrializzati della nostra area, come Taiwan e la Corea del Sud, ci hanno messo solo trent'anni.
- Dobbiamo elevare il popolo vietnamita culturalmente e intellettualmente per raggiungere i nostri scopi. Questo è un aspetto del pensiero di Ho Chi Minh: è l'uomo che decide.
- Nella campagna di Dien Bien Phu avevamo pianificato un'azione lampo della durata di due o tre giorni. Ma avendo acquisito nuovi elementi sulla situazione cambiammo i nostri piani. Optammo per una campagna prolungata e l'azione durò 55 giorni. Ancora adesso penso che questa decisione di cambiare i piani fu la più difficile della mia vita. Il secondo momento decisivo fu la campagna primaverile del 1975. Inizialmente avevamo pianificato due o tre attacchi. Ma comprendemmo che si poteva intensificare l'azione e così pianificammo una campagna di due o tre mesi. Di fatto essa durò solo 55 giorni, esattamente come quella di Dien Bien Phu. Le due esperienze furono differenti: nel primo caso prolungammo l'azione, nel second l'accorciammo.
- Io avevo uno slogan: vedere il Vietnam riunificato e indipendente. Adesso ne ho un altro: vedere il Vietnam recuperare il ritardo con i Paesi sviluppati e diventare una nazione moderna.
- La guerra ci ha fatto pagare un prezzo molto alto. Il nostro Paese ha subito perdite umane e materiali enormi. Incalcolabili. Nel frattempo, altri Paesi godevano della pace sviluppando la loro economia. Nel 1945 la situazione socio-economica del Vietnam era migliore, ad esempio, della Thailandia. Oggi, a causa delle conseguenze della guerra, siamo molto indietro rispetto alla Thailandia. Ma abbiamo ottenuto qualcosa di molto importante: come diceva Ho Chi Minh, niente è più importante della libertà.
- Certi americani mi hanno domandato se ho qualche lezione da dare agli Stati Uniti; io ho sempre risposto che pur avendo vinto la guerra, noi siamo un popolo modesto. Non abbiamo mai pensato di dar lezioni ad altri. Gli americani non sono stati capaci di sconfiggerci in guerra, nonostante la loro formidabile potenza militare ed economica. Perché? Perché il nostro popolo era assolutamente determinato a combattere per l'indipendenza nazionale. Dico sempre che il potere militare ed economico ha i suoi limiti. La potenza più grande risiede nell'uomo, nella nazione.
- Noi vietnamiti amiamo la pace, ma non saremmo mai disposti a piegarci e diventare schiavi.
- A Dien Bien Phu non abbiamo perso neanche un aeroplano, per la semplice ragione che non ne abbiamo impiegato. Nella guerra contro gli Usa non abbiamo perso neanche un B-52 perché non ne avevamo.
Il manifesto, 30 aprile 1995
- L'opinione pubblica mondiale, dopo la caduta del muro di Berlino e dell'Urss, ha pensato che anche la nostra rivoluzione sarebbe crollata. Ma noi siamo andati avanti a piccoli passi e abbiamo ottenuto alcuni successi come l'innalzamento del livello di vita della nostra gente.
- Oggi ci sforziamo di lavorare per la felicità del popolo che vuol dire democrazia e libertà per tutti. I nostri obiettivi primari sono quelli di far sì che tutti mangino e si vestano, che i ragazzi vadano a scuola, che i malati siano curati e che le minoranze etniche siano salvaguardate e rispettate con il loro coinvolgimento nella società.
- Per anni i francesi hanno tentato di imporci i loro modelli culturali e non ci sono riusciti. Poi sono arrivati gli americani con le loro mode occidentali e anche loro caso hanno fallito. La mia fiducia che i giovani non perdano la straordinaria memoria storica del loro paese, sta nell'identità culturale che per millenni ha sempre resistito.
- Considero McNamara uno degli uomini più intelligenti del suo paese, ma questo dimostra che l'intelligenza non è bastata a sconfiggere la volontà di un popolo in lotta per l'indipendenza.
Lo zio Ho e la rivoluzione
[modifica]- Scoprii l'internazionalismo: tutti i miei problemi si illuminarono come alla luce di un nuovo giorno. Da ogni pagina scaturiva una forza irresistibile che mi esaltava. (p. 107)
- Quando ritornavamo in servizio dopo una missione, rivedendo lo zio Ho, avevamo la sensazione di rientrare a casa da un padre che sapeva tutto ciò che la rivoluzione esigeva in pazienza davanti alle difficoltà. (p. 123)
- Decidere in fretta, decidere tempestivamente: in queste parole, in sintesi, il carattere di Ho Chi Minh. (p. 144)
L'uomo e le armi
[modifica]In oltre mezzo secolo di esistenza, l'imperialismo, che ha gettato l'umanità in due grandi guerre mondiali, le pone ora di fronte al gravissimo pericolo d'una nuova guerra mondiale con armi nucleari d'un terribile potere distruttivo mai visto prima d'ora. Tutti i popoli del mondo hanno pertanto il compito urgente di lottare per scongiurare un nuovo conflitto internazionale, per impedire lo scoppio della guerra e per la difesa della pace mondiale.
Citazioni
[modifica]- Dalla fine della seconda guerra mondiale, la classe capitalista monopolista nordamericana è divenuta la capofila delle forze d'aggressione e di guerra dell'imperialismo. Sono stati gli imperialisti americani a lanciarsi per primi nella corsa agli armamenti, a realizzarla nelle proporzioni più vaste, a installare migliaia di basi militari in tutto il mondo, a organizzare numerose alleanze militari di aggressione, ad alimentare e sostenere i revanscisti tedesco-occidentali e i militaristi giapponesi, e a iniziare una serie di gerre contro i popoli. L'affermazione secondo la quale i rappresentanti ufficiali della classe capitalista monopolista statunitense quali Eisenhower e Kennedy anelano alla pace, è un'affermazione senza fondamento. (p. 14)
- La volontà di guerra dell'imperialismo è una volontà feroce, una volontà violenta, che nasce dall'economia imperialista; se si vuole prevenire la guerra, occorre avere una forza capace di far fallire i disegni e i piani nati da questa volontà. Qusta forza non può risiedere al di fuori delle masse popolari. (p. 19)
- Dato che, con l'apparizione delle armi nucleari, il pericolo di guerra non viene più dall'imperialismo, ma dalle armi e dagli strumenti di guerra in se stessi, nella nostra epoca il miglior metodo per scongiurare la guerra consisterebbe nel togliere alla guerra i mezzi per esistere. (p. 28)
- La guerra di oggi annienterebbe completamente l'umanità, i popoli dei paesi aggrediti come i popoli dei paesi aggressori. Per questo non vi sarebbe più distinzione fra guerre giuste e guerre ingiuste. (p. 29)
- La vita è il bene più prezioso dell'uomo. Finché non si sia risolto definitivamente il problema di mantenere in vita l'umanità, tutte le altre questioni, come quella di sapere sotto quale regime vivano i popoli, il capitalista o il socialista, diviene privo di significato. (p. 30)
- L'assenza di guerra fra i vari paesi non sarebbe precisamente la coesistenza pacifica: essa costituirebbe uno stadio nel quale i vari paesi sono decisi ad abbandonare per sempre la politica di guerra, a rinunciare alla violenza, a convertire le armi in ferraglia, a utilizzare solo la competizione economica e la lotta ideologica per risolvere i problemi fondamentali della nostra epoca, a impiegare solo il metodo dei negoziati per regolare le questioni internazionali controverse e a realizzare la stretta cooperazione in tutti i settori per dar impulso al progresso della società umana; cooperazione diretta a liquidare il regime colonialista in tutte le sue forme e a prestare aiuto economico a tutti i paesi arretrati. Perciò la linea fondamentale per la salvaguardia della pace si riassumerebbe così: realizzare la coesistenza pacifica per mezzo del disarmo generale e completo. (p. 31)
- Oggi gli Stati Uniti sono divenuti la guida dell'imperialismo, il centro della reazione internazionale, il baluardo principale delle forze di aggressione e di guerra, il nemico numero uno della pace mondiale. (p. 33)
- Per conseguire la pace, occorre appoggiarsi principalmente sulla lotta delle masse popolari contro gli imperialisti, contro la loro politica di aggressione e di guerra allo scopo di sconfiggerla. L'imperialismo non sarà annientato dalle armi nucleari, ma dalla rivoluzione delle masse popolari. Questa rivoluzione scoppierà, e non attenderà il momento in cui il campo socialista supererà il campo imperialista nella produzione globale e in quella "pro-capite". La Rivoluzione d'Ottobre ha aperto l'epoca del crollo dell'imperialismo. Da allora, esistono le condizioni perché i popoli del mondo facciano a loro volta la rivoluzione, e soprattutto dopo la seconda guerra mondiale, le condizioni perché la rivoluzione scoppi e trionfi aumentando ogni giorno di più. (p. 35)
- Dal punto di vista dei paesi socialisti, i missili e le armi nucleari non costituiscono le uniche forze di difesa nazionale. L'elemento decisivo è il morale del popolo e dell'esercito. La propaganda sulla "buona volontà di pace" dell'imperialismo nordamericano non fa che indebolire lo spirito antimperialista e combattivita rivoluzionaria del popolo e dell'esercito, vale a dire debilita fondamentalmente le forze di difesa nazionale del campo socialista, e ciò ha come effetto quello di stimulare i disegni di aggressione e di guerra degli imperialisti. (p. 36)
- Nella loro lotta per la pace, i marxisti leninisti non rifiutano mai di negoziare con gli imperialisti, ma non considerano i negoziati come metodo supremo, il più efficace e di per se stesso capace di risolvere i problemi in discussione. Pensano piuttosto che i negoziati devono basarsi sulla lotta delle masse per conseguire il loro risultato. (p. 37)
La società si sviluppa secondo le proprie leggi. Nessuno può indirizzare il cammino dello sviluppo sociale secondo il proprio desiderio soggettivo. I comunisti, armati del marxismo leninismo, devono comprendere le leggi che governano lo sviluppo della società, e in accordo con queste leggi obiettive, devono elaborare la propria strategia e la tattica opportuna, condurre la classe operaia e il resto del popolo lavoratore a fare la rivoluzione e ottenere la vittoria, dando così impulso allo sviluppo della società. La classe operaia di un paese e il suo Partito devono ideare la propria forma di lotta appropriata, secondo le condizioni concrete di ciascun paese, per la presa del Potere statale. Che la rivoluzione debba essere realizzata con la violenza o con mezzi pacifici, è solo la classe operaia e la sua avanguardia in un determinato paese che possono deciderlo. Ma qualunque sia la forma di lotta adottata per impadronirsi del potere statale, le condizioni essenziali per la vittoria di una rivoluzione sono: un grande movimento di masse, e una assoluta decisione dell'avanguardia della classe operaia - che deve ispirare alle masse la stessa decisione - di abbattere il nemico, di affrontare i sacrifici e la difficoltà, di essere pronta in qualsiasi momento a distruggere la macchina dello Stato delle classi sfruttatrici per stabilire la dittatura del proletariato. Solo operando in questo senso il proletariato può vincere il suo nemico di classe e liberare se stesso.
Citazioni su Võ Nguyên Giáp
[modifica]- Egli ha elaborato anzitutto la norma che prima dell'offensiva finale le forze di guerriglia devono accertare l'esistenza di alcune condizioni: che l'esercito e il popolo siano persuasi in assoluto della loro superiorità morale sul nemico, che siano garantiti i rifornimenti, che la situazione internazionale sia favorevole, che sia diffusa la certezza psicologica del successo. (Alberto Ronchey)
- La vecchia foto in bianco e nero immortala un orientale in uniforme. Posa marziale. Espressione decisa. Occhi tranquilli. Nonostante le atrocità. Nonostante gli orrori della guerra e le insidie mortali della giungla che ricopre in lungo e in largo l'Indocina. Occhi che hanno visto oppressioni secolari, massacri inenarrabili, ma anche vittorie imprevedibili, la disfatta degli eserciti nemici, la liberazione di un popolo.
Occhi che hanno visto cadere Dien Bien Phu.
Il volto del leggendario Vô Nguyen Giap è stato un'icona per i rivoluzionari di mezzo mondo. All'inverso, uno spauracchio per le centrali imperialistiche dell'Occidente. (Wu Ming) - Penso che sia stato un buon generale ma nient'affatto il Napoleone asiatico che lui crede d'essere. La grandezza di Giap è stata inventata dalla stampa francese dopo Dien Bien Phu. E Dien Bien Phu resta la sua unica grande vittoria, sebbene non sia stata la vittoria straordinaria che egli sostiene e che i francesi hanno sempre sostenuto sui loro giornali. (Nguyễn Văn Thiệu)
- Questa guerra durerà fino al giorno che Giap vorrà, cioè fino a quando egli vorrà imporcela. (Nguyễn Văn Thiệu)
- Alla sua durezza non era estraneo il cinismo e infatti aveva ben poco in comune con gli austeri marxisti di Hanoi. Indossava sempre uniformi nuove e ben stirate, abitava in una bella palazzina coloniale, costruita dai francesi, possedeva un'automobile con le tendine, e s'era riposato con una bella ragazza di molti anni più giovane di lui. Insomma, non conduceva affatto l'esistenza di un monaco o di un Ho Chi Minh.
- Era l'uomo il cui nome veniva pronunciato più spesso durante la guerra in Vietnam. E non perché fosse il ministro della Difesa ad Hanoi, il comandante in capo delle Forze Armate, il vice primo ministro, ma perché era colui che aveva sconfitto i francesi a Dien Bien Phu. Gli americani vivevan nell'incubo di una nuova Dien Bien Phu e, appena le cose andavano peggio, si diceva: «È Giap che prepara una nuova Dien Bien Phu». Oppure, semplicemente: «È Giap».
- Gli occhi eran gli occhi più intelligenti, forse, che avessi mai visto. Acuti, astuti, ridenti, crudeli: tutto. Brillavano quanto due gocce di luce, bucavano quanto due coltelli affilati, e trasmettevano una tal sicurezza. Una tale autorità.
- I bambini li spaventi sussurrando «Ora chiamo l'orco». Gli americani li spaventavi sussurrando «Ora viene Giap».
- Giap aveva carisma, aveva la fama di un duro, e lo era, ma era giudicato anche un giusto. Era semplice e inflessibile come i soldati che aveva ammirato da ragazzo nei libri di storia.
- Giap non fu sempre un vincitore, subì anche serie umiliazioni. Fu spesso dato per sconfitto e senza possibilità di riprendersi. Non fu certo un liberale. Il suo irriducibile patriottismo coabitava con lo spirito, puro e duro, del dirigente comunista, pronto a reprimere, con slancio stalinista. La lotta armata, per lui, non consentiva debolezze. Nei limiti del possibile garantiva però l'assistenza sanitaria ai suoi soldati e, nell'ambito dei villaggi, aiutava le loro famiglie.
- Ha sconfitto l'Armée della Quarta repubblica a Dien Bien Phu avviando il successivo crollo dell'impero coloniale francese, sulle cui rovine, quattro anni dopo, nel 1958, durante la guerra d'Algeria, sarebbe nata la Quinta repubblica fondata dal generale de Gaulle, richiamato d'urgenza al potere. In quanto all'America, vittoriosa in due guerre mondiali, ha sentito l'umiliazione della sconfitta inflittale da un esercito di contadini. Ma è durante quella guerra, vinta da Giap, che si è consumata la rottura tra Unione Sovietica e Cina, i due grandi sostenitori del Vietnam comunista. Rottura che ha accelerato, ha contribuito all'implosione dell'Urss nel decennio successivo. È morto dunque, a centodue anni, nel suo Vietnam, non più coloniale come alla sua nascita, non più diviso come nei decenni delle sue guerre, meno comunista di come forse lo voleva, ma saldamente riunificato e indipendente, un personaggio che ha lasciato un segno profondo nel secolo alle nostre spalle.
- Ho imparato a conoscerlo a distanza, leggendo i suoi scritti, anche le sue poesie, non segrete ma ignorate, e seguendo le sue epiche offensive, che hanno umiliato i grandi strateghi occidentali.
- I principi di Giap erano semplici. Il primo era che bisogna sempre sorprendere il nemico. Un'altra sua convinzione era che dove passa una capra può passare un uomo, e dove passa un uomo può passare un battaglione.
- Per chi ha seguito per anni il conflitto indocinese, Giap era un personaggio sempre presente. Era un'ossessione. Un mito. Un incubo. Un eroe. Un genio. Un vulcano coperto di neve, dicevano in tanti, perché lo giudicavano carico di energia ma freddo nel comportamento.
- Per vincere la battaglia di Dien Bien Phu, Giap si era servito dell'arte della guerra imparata nelle foreste e nelle risaie del Viet Nam. I suoi studi erano stati di tutt'altra natura. All'università di Hanoi aveva frequentato disordinatamente corsi di legge e di filosofia. La sua passione era la storia. E nella storia aveva incontrato due maestri: Alessandro Magno e Napoleone. Dei quali aveva tratto insegnamenti che aveva poi adeguato alla sua realtà. Un altro suo ispiratore nell'arte della guerra era il Mao Tse Tung che non si accaniva contro i punti inespugnabili del nemico, che evitava le battaglie dall'esito incerto, che si sottraeva alla forza dell'avversario, e che sapeva mobilitare i contadini con parole d'ordine semplici, elementari, e cariche di passione.
- Vo Nguyen Giap era un generale autodidatta con le qualità di un grande capo militare. Le sue straordinarie doti, nel comando, nella logistica, nella tattica, l'hanno elevato al rango dei più celebrati generali del secolo scorso. È stato giudicato dai suoi avversari, da lui sconfitti, della stessa stoffa di un MacArthur e di un Rommel. Ma quell'uomo di non imponente statura, un po' impacciato, esitante nell'avviare un discorso quasi fosse timido, appassionato di storia, senza la minima frequentazione di un'accademia militare o di una scuola di guerra, nei capitoli di storia, non solo militare, già dedicatigli, supera quei celebri capi di guerra, poiché vi figura come il solo generale che ha sconfitto separatamente due potenze occidentali: la Francia e gli Stati Uniti. Per quel che riguarda questi ultimi è una vittoria senza precedenti. Nessuno li aveva battuti prima di lui. Nessun esercito di quel che chiamavamo terzo mondo aveva mai battuto due eserciti occidentali moderni (a parte la remota vicenda italiana di Adua).
- È straordinario come egli ha indottrinato le sue truppe. Io penso che dai giorni delle SS di Adolf Hitler non abbiamo mai visto truppe così indottrinate...
- Il gen. Giap ebbe successo a Dien Bien Phu, ma non ne ha avuto fino ad ora, ed è discutibile se a lui vada il merito di quel che succederà.
- Io penso che le qualità militari di Giap siano state sopravvalutate e lo dico perché nel corso di questa guerra egli ha subito durissime perdite.
Bibliografia
[modifica]- Võ Nguyên Giáp, Lo zio Ho e la rivoluzione, in Ho Chi Minh, Diario dal carcere, traduzione di Joyce Lussu, Garzanti, Milano, 1972.
- Võ Nguyên Giáp, L'uomo e le armi, Maquis, 1973.
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